Il mio corpo galleggiava sul nuovo letto idrostatico come fosse morto. Un muscolo non osò muoversi, mentre la mia testa vagava. Si erano fatte le tre e diciassette del giorno dopo, eppure i pensieri restarono i medesimi di quello prima. Pensai al perchè non avessi mai ripercorso i miei passi verso quella casa singolare, al perchè non fossi andato a trovarla neanche un giorno nei precedenti duemila. Cercai per anni di dimenticare, ma fu un'impresa impossibile.
Ogni volta che passavo affianco a quel vialetto leggermente imboscato, il piede riposto sull'acceleratore si alzava un pochino, e i miei occhi tiravano un'occhiata celata e svelta. Spesso il ciuffo a quell'ora non era ingellato, bensì ricadeva sulla palpebra e così camuffava un nascondiglio perfetto da cui poter guardare. Cercavo di scorgerla tra i venti o trenta tronchi divisori, ma non la vidi mai. Ed io, il coraggio di attraversarli, non l'ebbi mai. Il paesaggio cambiava e cambiava, si trasformava dettato dalle stagioni, le foglie sfoltivano i rami, o li adornavano colorate come pastelli a cera.
Poi riflettei. Forse, tra tutte, quella sarebbe stata la notte giusta. Forse l'insonnia mi stava parlando.
Sapevo che avevo bisogno di vederla. Ma, a quell'ora della notte, in quella condizione vuota e priva di significato? Un po' voletti farle sapere che il pacco che mi aveva spedito l'avevo ricevuto, ma rimasi titubante e teso dalle corde chi mi avevano tenuto fermo per tutto quel tempo, fino a che non realizzai, e mi decisi. Erano le mie stesse mani a stringere il capestro ed era ora di lasciare andare la presa.
Mi preparai in fretta e furia, indossando le prime cose che capitarono. Non mi ingellai i capelli, non stirai la camicia. Presi semplicemente le chiavi, e andai.
Non feci in tempo a sedermi sul sedile, che il calore divampò sulle guance, e mi sentii lo stomaco sotto sopra. Lo stavo facendo davvero.
Avrei superato il vialetto.
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