Capitolo primo: il ponte

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Il tempo trascorse rapido, e la sua stretta ormai spossata si allentò su di me. Così, spinto dall'idea che forse la stavo schiacciando per la troppa massa, mi feci investire da un barlume di forza e mi alzai da lei.

Cercai in fretta e furia un modo per ripristinare l'ultimo briciolo di dignità rimasta, ma io non volevo collaborare con me stesso e finii per rimanere zitto e vergognoso. 

Mi piazzai gradualmente a sedere al suo fianco, sopra quella che ormai era divenuta una pozza d'acqua sporca, e non osai guardarla, né pronunciare alcunché. Ero mortificato. Ero abbattuto. Distrassi gli occhi verso la corsia su cui abbandonammo i nostri corpi sudici, e mi sorpresi del fatto che non fosse passata la minima auto, investendoci come porcospini a bordo autostrada. Dopo tutto, era un bel ponte a mio riguardo, con il suo fascino antico da mattoni raggrinziti e troppo umidi per essere ancora appiccicati l'un l'altro. Forse era troppo poco illuminato, ma ero sicuro che i fanali lassù stessero dando molto più di quello che gli acquirenti si aspettavano di ottenere. 

In quegli attimi c'eravamo stati solo noi. Noi e nessun altro. Un evento nascosto a 7 miliardi e 999 milioni 999 mila 998 persone. Forse un paio in meno, contando la telecamera appesa al collo di un lampione, sempre che fosse funzionante.

In ogni caso, proprio non sapevo come avrei dovuto sentirmi, in quel momento.

Con la coda dell'occhio, voltai di sottecchi l'attenzione verso di lei. Teneva le gambe al petto, e le avvolgeva con le braccia ossute e scoperte. Ancora non mi capacitai di come fosse riuscita a rimettermi in strada, a stenti sembrava un essere in vita.  

 <<S-stai bene?>>  borbottai, con voce più fredda e roca del previsto. Imitai la sua stessa posizione, e sentii il suo sguardo posarsi su di me mentre tiravo su con il naso, cosa che mi portò a schiarirmi nervosamente la voce in una tosse alquanto sospetta. 

<<No.>> replicò, qualche attimo più tardi. Non risposi. Non sapevo che cosa dire.

<<Ti stavi buttando giù da un ponte. Stavi per ammazzarti.>> aggiunse.

Se qualche momento prima mi aveva rivolto segni di estrema compassione, in quell'esatto, aveva girato la medaglia. 

<<Se ti turba tanto, dovevi lasciarmi morire, allora.>> feci spallucce, sapendo che mi stava guardando. Un paio di secondi e le sue iridi erano fisse su di me in una maniera così intensa da riuscire a sentirle trapassarmi il cranio, e come fossero un magnete, fui spinto a incrociare il suo volto. 

Restai spiazzato. 

Aveva un viso piccolo e alquanto scavato sugli zigomi e sulle guance. Le sue labbra erano  carnose, leggermente screpolate dal freddo, e appena appena asimmetriche. Quello inferiore era molto più pieno rispetto all'altro, ma nel complesso accompagnavano bene la forma del naso aggrottato dall'espressione. Gli occhi scuri, grandi, empatici. Il collo fine, incolore.

Era incredibilmente bellissima. 

Ne rimasi incantato.
Abbassai in fretta gli occhi dall'imbarazzo, e risposta si lasciò sfuggire un lungo, eterno sospiro che mi portò a deglutire d'istinto. Si allungò verso di me, e mi abbracciò. Non seppi cosa fare. Rimasi immobile.

<<Scusa>> mormorò. 

<<Non ti preoccupare>> guardai terra.

 Si scostò da me, e mi asciugò i rimasugli di lacrime sfuggitemi con il pollice tremante. Lo avvolsi immediatamente con il mio palmo, preso dallo spavento interiore. Non le strinsi la mano, ma rimasi con la mia sopra.

 <<Ti chiedo scusa a nome di tutto ciò che ti ha portato a compiere un gesto simile>> mi guardò.
La pioggia non cessò ed intrepide gocce mi continuarono a scorrere dai capelli al mento, con una frequenza che però riuscii a percepire appena. Si stava prendendo tutte le colpe?
Schiusi le labbra intento a ribattere, quando lei si alzò in piedi faticosamente e mi allungò la mano. <<Andiamo?>>
La presi. <<dove?>>
<<A casa mia>>  

ATYPICALSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora