Cap 4 fine

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Il crepuscolo mattutino fece brillare le rade gocce di umidità che giacevano sui fili d'erba poco lontani. Il cinguettio dei passeri cercava di tenermi compagnia, di farmi sentire meno solo.

L'inizio di un'altra giornata era arrivato a tutti gli effetti, io mi trovai ancora lì. Seduto sulla soglia della porta d'ingresso, con le gambe accovacciate al petto e l'odore del fango sulle ginocchia, a fissare un'orizzonte nascosto dal freddo e immagini frutto delle mie fantasie.

Il mio cuore dondolava su e giù, ricadendo in tuffi che rabbrividivano ogni centimetro della mia pelle.

D'un tratto, non me la sentii più di rimanere in quel posto.

Scarsi raggi violacei illuminarono il mio cammino, sbattendo contro rami e tronchi ancora troppo poco illuminati per darne a vedere il bruno colore. Alzai gli occhi lucidi al cielo. Le foglie dei sempreverdi si aprivano in un corteo di sfumature pastellate dal sole, accolti da strascichi di nuvole passeggere, appena appena mosse dal vento di fine inverno.

Chissà quante albe e tramonti visse in questo bosco.

Mancarono pochi passi ad uscire da lì, quando il sibilo di un ramo calpestato mi fece girare il viso con uno scatto a dir poco sovrumano.

I miei occhi incominciarono a divagare a destra e sinistra, cercando di capirne la provenienza. "Poteva essere stato un animale, poteva essere stato il vento" mi autoconvinsi.

Ma quei capelli, quei capelli neri e brillanti negarono tutto. Come una sirena spinta dalle dolci profondità del mare, Jane scivolò via nel buio e nella luce, davanti ai miei occhi.

Sentii un forte senso di nausea crescere sempre di più dentro di me, mentre i piedi si attivarono in una corsa pesante e disperata. Ero certo che fosse lei, e quella certezza non fu mai tanto salda come allora.

Scostai dalla mia vista rametti e ramoscelli, foglie e foglioline, fisso sull'arieggiare dell'abito bianco e leggero che indossava.

<<Jane!>> gridai a pieni polmoni, liberando le braccia dalla pesantezza dell'accappatoio.

<<Jane!>> gridai ancora, e lei si voltò un attimo.

Quello sguardo fu tanto penetrante da farmi credere d'essermi bloccato, eppure stavo ancora correndo con tutta l'energia rimastami.

Sentii le vene guizzarmi dalle mani, e il desiderio di toccare la sua pelle lattea così fuggente al mio tocco. Continuai a chiamarla, a piangere il suo nome, fino a che non si fermò, dandomi le spalle. Forse si rese conto che non mi sarei fermato davanti a nulla, pur di arrivare a lei. O forse non voleva farmi arrivare al suo nuovo covo segreto.

Fu di fatto, che si fermò. E come si fermò lei, mi fermai io.

Mai come in quel momento desiderai rompere la distanza interposta a noi. Mai come in quel momento mi sentii tanto vulnerabile e gracile.

Feci un passo nella sua direzione.

<<Jane...>> sussurrai, accennando ad un sorriso triste.

Fece un passo nella mia direzione. Non disse nulla. Per un momento pensai che non si ricordasse di me.

Ci ritrovammo l'uno di fronte all'altro. Mi parve più esile di come la ricordavo. Riuscivo ad osservare con chiarezza la riga che separava la sua folta chioma scura. Guardavo in silenzio ogni dettaglio del suo viso, del suo corpo, mentre le labbra fremevano e mordevano l'interno nudo della guancia. Tenni la mascella serrata, tant'era dura non poterla neanche sfiorare. Avevo paura, non volevo che sfuggisse.

I raggi più decisi del sole tracciavano delle righe aranciate che la colpivano paralleli in punti diversi. Illuminarono una sua iride, che da nera passò al colore del caffè. Illuminarono il tessuto del suo abito, che fece trasparire ai miei occhi il colore rosato dei suoi capezzoli, e il marrone chiaro dell'ombelico. Per un attimo mi sentii geloso. Non c'era nessuno, eppure mi sentii geloso.

La sua presenza mi colpì tanto da costringermi a fare un passo indietro. Abbassai gli occhi dall'imbarazzo.

Ne avevo a fiumi di parole da trascinar via dalla bocca, eppure non ebbi il coraggio di pronunciare nulla che fosse diverso dal suo nome. Usciva con una facilità indicibile, accompagnava i suoni della natura, come se fosse fatto per essere lì.

Tutto si fece silenzioso. I nostri sospiri così infimi da essere udibili appena, si mescolavano in aria confinati dalle facce pacate. Fino a che i suoi occhi si posarono su di me, facendomi commuovere. Emisi un gemito strozzato dalla nostalgia, e cedetti tra le sue braccia. Quasi dovetti inginocchiarmi, per arrivare alla sua altezza. Mormorai quanto mi dispiacque mentre le sue dita sottili scacciavano dalle mie palpebre lacrime ribelli. Ed io facevo "no, no" con la testa consumato dal rimorso di anni andati perduti così. Ancora non pronunciò la minima parola, eppure fu in grado con un tocco di consolare sei anni di tormento e di mancanza e di patimento. Posai la guancia stanca sul suo palmo, assaporandomi la sua morbidezza e il suo calore. Era una mattina di gennaio, eppure non faceva affatto freddo. L'aria tiepida schiariva i nostri polmoni e gonfiavano i nostri capelli, e pensai che mai avrei potuto dimenticarmi di quel momento.

Riaprii gli occhi e la guardai bene. Jane non sorrideva, si teneva calma e mi guardava profondamente. Mi sentii nudo al suo cospetto, nudo di ogni paura e di ogni timore. Non mi importò di nulla se non della sua attenzione rivolta a me, e questo mio implacabile egoismo, lei lo soddisfò in tutto e per tutto.

Mi avvicinai ancora di più a lei, tanto da costringerla ad appoggiare le mani sulle mie clavicole per trovare lo spazio necessario a non sentirsi soffocare, e guardammo entrambi la terra che ci sosteneva in preda al bisogno della certezza che fossimo davvero sorretti. Lei era scalza. Le dita scavavano nel fango bagnato come se sotto non avesse che sabbia calda. Ciò mi fece scappare un sorriso sincero.

Una cosa era certa, sarei rimasto così per tutta la vita.

Tutto si fece improvvisamente buio.

Jane sgretolò via dalle mie mani come polvere.

Mi guardai attorno, cercandola con disperazione. La parte razionale della mia testa ritornò a funzionare come un macchinario da fabbrica alle sette in punto, e questa consapevolezza mi portò rinnegare tutto ciò che successe fino ad allora. Fu tutto frutto della mia mente?

Mi ritrovai dentro l'auto, sdraiato nei sedili posteriori, con la portiera ancora aperta e le gambe a penzoloni fuori.

<<No!>> squarciai in aria, alzandomi di colpo a schiena ritta.

<<Diamine, no!!>>

Realizzai di essermi addormentato, realizzai di essermi sognato tutto, e mai come allora grida strazianti riempirono i miei polmoni. Uscii fuori e mi presi la testa tra le dita. Tirai con forza i miei capelli mosso da una pazzia annebbiante, e iniziai a prendere a colpi la mia auto fino a che il sangue della pelle graffiata non sporcasse il grigio metallico. Sentii l'impotenza investirmi come un treno deragliato e le lacrime sgorgare in preda a un pianto amareggiato.

ATYPICALSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora