Capitolo tre: Torture

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<< Ascolti, capo, lo sa che ha tutto il mio rispetto e che la ammiro dal primo momento in cui misi piede nella ES, ma questa...questa è una pazzia, è una dannata follia! Prendere in carico il progetto "The old cancer" è un passo troppo grande per la nostra gamba. Non disponiamo nemmeno del giusto personale per farlo. Questo non è il nostro ambito, non siamo medici, non siamo fisici. Perché spendere il 40% delle nostre finanze per una causa persa, quando potremmo utilizzare quei fondi per finanziare le ricerche del farmaco Xinu?! Ohh, l'ha sentito il gruppo di Marta, ieri? L'isotopo 30 del silicone sembra un'idea perfetta per...>> 

La voce di Robert, riecheggiava turgidamente su tutte le mura di questa stanza. Era aspra come il morso ad un limone cosparso di sale. Mi capitò di pensare che un paio di tappi nelle orecchie mi avrebbero giovato una futura ipoacusia.

<<Silicio. Isotopo 30 del silicio. >> presi un sorso di acqua dal bicchiere gentilmente portatomi dalla segretaria, che appoggiai lievemente irritato dai continui discorsi del capo reparto. 

<<S-sì, quello. Che ne pensa? Ieri sera mi disse che l'avrebbe preso in carico, no?>> cincischiò lui, mangiandosi le parole e accelerando con la fonazione. I tacchi dei suoi mocassini sbattevano sul parquet in maniera assordante, e il suo completo pareva stirarsi da solo dallo stress. 

<<Robert, Robert, Robert>> Interruppi il suo farfuglio senza fine.

<< Fermati un attimo. Fai riposare quella radio o rischierai di implodere.>> Alzai in modo lento la mano destra in aria, nascondendogli il palmo.

<< Dire che l'avrei preso in carico significava già no, lo sai. Perché sostituire l'isotopo maggiormente diffuso sul pianeta con uno più raro? I prezzi rincarerebbero, e non gioverebbe in alcun modo all'efficacia del farmaco. Alla gente non interessa dell'involucro delle capsule, interessano i benefici dei prodotti. Lavorate sulla formula chimica invece che sull'esterno. E poi, Marta..non l'avevo fatta licenziare un anno fa? Cristo...>> 

Lasciai andare il corpo pesante sullo schienale del divanetto nero, gli occhi fissi sull'enorme vetrata posta sul soffitto che si apriva ad un cielo poco sereno. 

Cinque anni.

Furono cinque anni da quella strana serata che non cambiò niente, come se niente fosse l'accaduto. 

Il conto in banca si fece sempre più pomposo, gli affari andavano a gonfie vele e mi guadagnai il rispetto di più gente. Era tutto così..così standard e perfetto. Sembrava che la mia vita stesse finalmente percorrendo un tracciato cosparso di fiocchetti d'oro e ghirlande d'argento. Eppure, mi bastava girare lo sguardo, e la vedevo lì, dritta a me. Quella fine selva nera, bagnata dalla pioggia, circondata dalla nebbia più fitta. Era lì che mi guardava, profonda, che mi attirava. Che aspettava solo me. 

Chiusi gli occhi stanchi dalla monotonia. 

Il mio inconscio gridava a corde dilaniate ciò che voleva guardare davvero. Il mio emisfero sinistro lo soffocava e lo trucidava.

 << Avanti, capo! E' solo una ragazzina!>> 

Li spalancai, il respiro mi si smorzò in gola. 

Voltai il viso verso Robert nello stesso modo in cui il corpo risponde ad uno schiaffo. Immediato, addolorato. Percepii le sopracciglia inarcarsi dal patema che quella parola mi provocò, e tempeste d'affanni impercettibili invalidarono i miei polmoni. Ragazzina, era solo una ragazzina..

<< E' la figlia del caporedattore. Quelli ci sputtanano se la licenziamo, inizieranno a scrivere articoli, lo sa meglio di me.  Non possiamo licenziare Marta.>>

L'aria tornò in circolo. Emisi un sospiro.

Raggruppai le forze e mi spinsi con le gambe sul tessuto, fino a ritrovarmi eretto sul corpo. La tibia toccava appena il tavolino da caffè, eppure quando mi mossi verso la mia scrivania barcollò un po'. Le pareti del bicchiere d'acqua accolsero i tentativi di gocce fuggiasche. Percepii i banali occhi scuri del uomo in stanza soffermarsi su ogni mio movimento, come se cercasse qualche approvazione da parte mia. Ciò che ottenne fu invece un semplice 

<<Fuori dal mio ufficio, Robert >>.

<<Ma non ho finito!>> tartagliò, mentre mano su schiena lo accompagnavo alla porta. Non cedette neanche nell'attimo in cui gli sbattei la porta in faccia, stanco della sua continua parlantina. 

Provavo sentimenti contrastanti per Robert. Capitavano i momenti in cui stravolgeva l'intero mercato farmaceutico tanto da meritarsi una medaglia e un bacio in fronte, altri in cui in quella fronte ci avrei sparato una pallottola. Ultimamente era più la seconda opzione. 

Mi diressi nuovamente verso il lungo tavolo di legno nero, la stanza si fece finalmente silenziosa. Dentro me invece, c'era ancora il caos. 

"Chissà cosa stai facendo in questo momento..." pensai. 

Passai la mano sulla miriade di plichi che disordinavano l'area e qualche occhiata più tardi decisi di finire di analizzarli e compilarli. Rimanere senza fare nulla non avrebbe aiutato a mettere a tacere il mio cervello, e c'era un progetto a cui dare il mio sostegno che necessitava delle mie firme. Mi misi a lavoro, senza pause e senza riflessioni, finché non conclusi tutto il da farsi. Passai l'ultima scia di inchiostro sulla ruvida carta, fino a che anche l'ultimo foglio fu posato alla mia destra. 

Nel tempo, intanto,  i pochi raggi di sole della giornata andarono via via ad affievolirsi, macchiando le nuvole stanzianti in scie di arancio e di rosso. Tutto l'ufficio si colorò a sua volta in fasci di luce labili come foglie in autunno. Legati ad un ramo momentaneo, che al primo forte vento li avrebbe spazzati via. Quando alzai gli occhi e me ne accorsi, mi sentii un pochino come una foglia in autunno. 

Quel vento era già arrivato? O avrebbe fatto il suo ingresso, tempestoso e lontano, più avanti? 

L'improvviso bussare della porta rimbombò come un eco dentro i timpani.

<<Avanti.>>

<< Signor Saint, ci sono altri pacchi per lei. Li mando via o preferisce darvi un'occhiata? Li ho già segnati sul registro.>>.

Le rughe della segretaria si integrarono al sorriso che mi regalò dopo averle detto che, per questa volta, li avrei presi in considerazione io stesso. Erano anni che avevo aperto un punto posta per le offerte alla società, ma solo raggiunto un certo livello iniziai a ricevere effettivamente qualcosa. Lettere di famiglie che mi ringraziavano per l'invenzione di un farmaco, critiche, scatole rese, minacce. C'era di tutto e di più, tranne ciò per cui lo aprii. I soldi. Ormai non fu più nel mio interesse trarre alcun tipo di contributo esterno, ma leggere ciò che la gente scriveva a volte distraeva la baraonda di pensieri suicida che mi trapassavano da un po' a quella parte, e spesso finii per spendere l'ultima mezz'ora legale di lavoro a leggere il parere di altri. 

Susan portò dentro una pila di scatoloni e buste dai colori più disparati, che chiesi di lasciare affianco al bicchiere d'acqua. Una volta andata, mi avvicinai ad essi. Li presi in mano uno per uno , avendo cura di non danneggiarli. Lessi e rilessi belle e brutte parole, fino a che i miei occhi si impuntarono su di uno scatolone color sabbia. Non era decorato, né vi era sopra alcuna scritta. Sembrava cartone preso direttamente dalla strada, e la cosa mi attirò assai. Lo scartai con un'insolita curiosità. 

Quando misi a fuoco il contenuto, il mio cuore cessò di battere, e il mio stomaco si fece nauseabondo. 

Sopra tutta la roba, vi era una bigliettino bianco panna formato da rustica tela che presi con una foga avventata. Vi lessi solo cinque parole:

"quello è il cotone idrofilo" .


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