Calma

422 15 0
                                    

-1-

Guardare le nuvole scivolare in un cielo limpido ed azzurro è stata una cosa che mi ha sempre rilassato, sin da bambino.

Sono steso, su questo manto erboso, accarezzato da questa lieve brezza mattutina che mi scompiglia i capelli e mi porta a sorridere.

Il mio ultimo anno di liceo è stato un vero inferno, mollato dalla ragazza storica per il mio migliore amico, entrambi in classe con me.

Il ricordo di vederli scambiarsi effusioni in segreto, le continue occhiate loro e di chi provava pena per me, mi ha sempre portato alla nausea.

Oltretutto, il fiume incessante di domande che portavano a risposte come "università", "lavoro", "famiglia" non avevano affatto agevolato la situazione, ma piuttosto la complicavano e poi... erano tutte cose che non si addicevano affatto al mio modo d'essere libero.

Tutte cose che mi avrebbero reso "adulto", una parola da evitare con ogni fibra del mio essere.

La normalità è qualcosa di così...piatto.

A volte spero davvero di non crescere ed invecchiare mai.

Mi sollevo e mi siedo, passandomi una mano tra i capelli corvini.

Riprendo lo zainetto in pelle che custodisce gelosamente il mio blocco da disegno, do un ultimo sguardo a quella che definisco la mia radura incantata e mi incammino verso casa, assorto tra i pensieri.

Qualche minuto dopo, nel vialetto di fronte la mia abitazione, tutto tace.

Strano.

Cerco le chiavi nello zainetto ed apro la porta che scricchiola sotto il mio lieve tocco.

Mi dirigo verso le scale frettolosamente, ma con passo calmo, cercando di non guardare verso la cucina.

«Jeon Jung-Kook» tuona mio padre, perentorio.

Socchiudo gli occhi, con la mano già sulla ringhiera delle scale, immaginando come sarebbe stato bello poter salire quei gradini senza nessuna interruzione. 

Ben presto questa sensazione cede il posto al senso di colpa, che mi costringe a tornare sui miei passi ed entrare in cucina, dove ci sono i miei genitori visibilmente preoccupati.

«Siediti, dobbiamo parlare» dice mio padre, mentre mia madre con gli occhi ludici, sembra sull'orlo di una crisi di pianto.

Mi siedo, sbuffando silenziosamente. Nell'ultimo mese questa situazione si è ripetuta così tante volte che comincia ad essermi familiare.

«Hai deciso, allora?» chiede mio padre con sguardo torvo, sbattendo il piede a terra.

«Io... non lo so, mi piacerebbe continuare a studiare» dico, abbozzando un sorriso quasi dispiaciuto.

I miei genitori si fissano, e mentre i loro sguardi tornano su di me, vedo un barlume di speranza accendersi in loro.

«Mi sembra la scelta più saggia» dice mia madre, incoraggiandomi « qui a Busan troverai delle ottime università, l'ingegneria meccanica è uno dei campi più studiati e famosi quì...» continua, mentre mio padre si rilassa sulla sedia.

Li guardo interdetto e perplesso. 

Dio, ancora con la stessa solfa.

«Arte, mi piacerebbe studiare arte» dico sottotono, ma guardandoli negli occhi. 

Scruto le loro reazioni, impenetrabili. Si irrigidiscono dapprima e poi, lentamente, vedo montare la rabbia in mio padre e le lacrime negli occhi di mia madre.

Oh, andiamo, è davvero così impossibile che il figlio di un ingegnere e un'insegnate voglia fare l'artista?

«Preferisco farti lavorare piuttosto che farti perdere tempo per diventare uno straccione» tuona mio padre, duro.

Serro la mascella.

Ho bisogno di tenere banco, o non otterrò ciò che voglio.

«Voglio andare a Seoul e studiare arte lì» dico tutto d'un fiato.

Il respiro di mia madre si blocca, vedo la vena sul collo di mio padre pulsare, mentre una risata isterica si fa largo tra le sue fauci.

«Va in camera tua e non uscire finché non avrai le idee chiare, ragazzo» sputa tra i denti mio padre, poco dopo, guardandomi in cagnesco.

Riprendo lo zainetto con il blocco, le mie emozioni e salgo verso la camera.

Sono colpito e frastornato, ma otterrò ciò che voglio. Il mio istinto me lo dice.

Mi soffermo un attimo a fissare la porta con un cartello che porta la scritta "Kookie", come mi chiamava da bambino mia madre, afferro il pomello e lo ruoto mentre sorrido amareggiato.

Osservo la stanza nella penombra della luna piena, che inonda tutto ciò che riesce. Poggio lo zaino a terra e mi tuffo sul letto a scacchi rossi e blu, ancora con gli scarponcini.

La giornata è stata parecchio stressante ed in breve tempo mi assopisco.

Nei miei sogni è sempre tutto candido e limpido, giardini fiorati, brezza estiva e tanta calma. C'è sempre molta luce.

Mi beo di tanta tranquillità.

Ma c'è qualcosa di strano, qualcosa che stona.

Vedo una macchia, scura, in lontananza.

Cerco di avvicinarmi, incuriosito più che spaventato.

Non riesco a mettere bene a fuoco, inizio a correre in mezzo a tutta quella luce. Ma la macchia non si avvicina, nonostante io stia cercando in tutti i modi di raggiungerla.

Urlo, disperato, nel tentativo di farmi notare da quella cosa, ma annaspo, inciampo e cado.

Mi sveglio di soprassalto con la faccia sul pavimento legnoso, mentre dalla cucina sento provenire odore di pancake. Mi rialzo, ancora vestito dalla notte precedente e mi guardo allo specchio.

Ed ecco che inizia un'altra, incredibile giornata.


L'alfa e l'omega - TriskellDove le storie prendono vita. Scoprilo ora