Treno

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«Posso entrare?» chiese mia madre, fuori dalla porta, in attesa.

Questa donna merita un Nobel per la pace per stare accanto ad un uomo rude e guardingo come mio padre.

«Certo Ma, entra pure» dissi io, mentre finivo di sistemare il blocco da disegno e le matite che a breve avrei dovuto ricomprare.

Si avvicinò a me, la sua figura esile sembrava ancora più minuscola rapportata alla mia, scura e muscolosa.

«Sai come è fatto tuo padre, a volte non riesce a controllare le emozioni. Sembra un cane rabbioso in alcuni frangenti» disse lei sorridendo e cercando il contatto, occhi negli occhi.

Gli occhi di mia madre, di un celeste intenso, mi guardavano carichi di un orgoglio che non meritavo.

Distolsi lo sguardo, colpevole, e continuai a chiudere ed impacchettare ogni cosa che riuscisse ad entrare nello zainetto.

«Sai Kookie, io non ho potuto scegliere molto nella vita» si fermò per sospirare «ma vorrei che per te fosse diverso. Voglio che tu scelga da solo la tua strada e voglio che da solo trovi la tua realtà.
In tutti questi anni, ti ho osservato e mi sei sempre sembrato estraneo ai fatti che ti circondano.
Da mamma so che il tuo posto non è questo» mi disse, rivelando una forza che non credevo potesse contenere un corpicino tanto esile.

Rovistò tra le tasche e ne cacciò un biglietto.

«Questo treno, domani, ti porterà a Seoul.
Per i primi mesi ti manterrò io, con i pochi risparmi che ho messo da parte... non sono molti» sorrise amareggiata, forse un sorriso di scuse.

Mi alzai di scatto e l'abbracciai, sperando di trasmetterle tutta la felicità, energia e positività che stavo provando in quel momento.

«Grazie» le dissi, senza aggiungere altro.

Veramente non avevo bisogno di nient'altro. 

Lei mi abbracciò in risposta e rimanemmo così per ore, minuti. Un'eternità.





Il cuore mi martellava nel petto, alla stazione.

C'era anche lei con me, mi diede un ultimo bacio sulla guancia e una carezza.

«Trova ciò che sei, ma stai attento» mi disse, con gli occhi pieni di lacrime.

Eternamente riconoscente, l'abbracciai nuovamente e salii sul treno, prendendo posto in una carrozza di classe "Economy".

Non importa, tre ore in treno non sono poi così tante e ho il mio fidato blocco da disegno, dal quale non mi separo mai.

Mentre il treno partiva, col cuore in gola, mimai con le labbra "ti voglio bene" e lei, si commosse. La osservai finché non scomparve come un piccolo puntino.

Sarò per sempre grato a mia madre.





Il viaggio proseguì lentamente mentre, tra uno schizzo e l'altro passò un'ora e mezza. Alla fermata di Daejeon la mia carrozza si svuotò un po', ma salirono tre ragazzi.

Il primo, scuro con gli occhi scuri, pelle candida e mani affusolate.

Il secondo veramente... femminile.

Il terzo, più alto, sicuro di sé e mascolino.

Appena entrarono, diedero i loro biglietti al controllore che indicò dove sedersi.

I due ragazzi, il piccolo e il gigante, si sedettero in prima classe, salutando con la mano il terzo.

Il ragazzo dalle mani affusolate, ovviamente, proprio al mio fianco.

Mentre riponeva la sua valigia sulla cappelliera, non potevo fare a meno di osservarlo.

Aveva una camicia molto semplice e leggera che gli scopriva, in quel momento, parte del ventre muscoloso e piatto.

Le gambe, anch'esse muscolose, si protendevano fino allo stremo, nel tentativo di mettere a posto la il bagaglio evidentemente troppo pesante per lui.

Un errore, stupido, la valigia in bilico e uno scatto, il mio, resero la situazione veramente buffa.

Fermai con il palmo la valigia che rischiava di cadergli in testa, notando di essere qualche centimetro in più al ragazzo.

Tutto il mio corpo poggiato contro il suo, i suoi capelli profumavano di lavanda. Fu una sensazione veramente... piacevole?

Mi staccai frettolosamente ed i miei pensieri mi riportarono alla realtà come uno schiaffo.

Lui si girò, mi guardò negli occhi e mi fissò, per un lungo istante.

«Grazie» mormorò con una delle voci più basse che avessi mai sentito.

Deglutii, rispondendo «figurati» sottovoce.

Mi sedetti ancora una volta al mio posto, un po' scosso.

Anche lui fece lo stesso col suo.

Passò qualche minuto di silenzio, veramente imbarazzante.

«Sono Kim Taehyung» mi disse, sfoderando un bellissimo sorriso, girandosi nella mia direzione.

«Jeon Jung-Kook» risposi io, contraccambiando con il mio.

Lui un po' si irrigidì e mi scrutò.

«Grazie per avermi salvato prima, Jung-Kook» disse lui, sempre sorridendo. «Mi hai evitato una commozione cerebrale prima del test d'ingresso all'Università» sorrise.

Subito replicai « Nell'Università Nazionale di Seoul?» cercando di non sembrare troppo invadente ma al contempo esuberante data la scoperta.

I suoi occhi si illuminarono «Si, ci vai anche tu?» mi chiese.

Scossi il capo in senso affermativo e gli sorrisi.

Sembrò arrossire per un secondo, per poi tornare sulle sue.

«Disegni?» mi chiese dopo un po'.

Annuii, ormai non sapevo fare altro. Presi una pagina del blocco e gliela mostrai. Ritraeva un simbolo: una luna piena con un Triskell in sovraimpressione.

«Sai, da bambino mia madre mi raccontava sempre storie sui lupi, sui druidi e sui celti, credo di aver unito le due cose che mi piacciono di più in un unico disegno» dissi sorridendo e posando lo sguardo verso il mio pallido compagno di viaggio.

Pallido si, più di prima!

«Ti senti bene Taehyung?» dissi io, veramente preoccupato.

Sembrò rilassarsi un po'. «Si, il tuo disegno è veramente bello» disse, con un sorriso forzato.

Richiusi il blocco e per il resto del viaggio non proferimmo più parola.

Non fu un viaggio molto lungo, ma mi dispiacque non trovare altri argomenti di conversazione.

Sembrò che il mio amico passeggero mi stesse evitando, ma non volli indagare.

Chi non mi vuole non necessita della mia attenzione, pensai sbuffando. Anche se quel ragazzo sembra un tipo simpatico

L'alfa e l'omega - TriskellDove le storie prendono vita. Scoprilo ora