CAPITOLO 15 [Finale]

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Trigger Warning: Scene di autolesionismo
-TaeTae sai che giorno è oggi?- mi domanda Seokjin spalmando un sottile strato di marmellata alle albicocche sulla sua fetta di pane. Rimesto la mia tazzina di cappuccino caldo e sbocconcello un biscotto disinteressato, scuotendo la testa. Mi lancia un opuscolo dell'università dove lavora part-time per ripetizioni di matematica, dove in grandi caratteri luminosi viene sponsorizzata una giornata di porte aperte per conoscere la struttura. Alzo lo sguardo confuso: sono sempre stato una schiappa nelle materie scientifiche, e la sua facoltà non mi è mai interessata.
-Sta iniziando la stagione degli esami di ammissione alle università!- spiega addentando la colazione con un sorriso. Mi mordicchio il labbro inferiore con gli incisivi nervosamente: sta cercando di buttarmi fuori di casa, ne sono convinto. Sto diventando un peso per lui, e vuole che faccia qualcosa con la mia vita oltre ad essere un'ameba attaccata alla sua persona. Sinceramente, non avevo nemmeno pensato ad un nuovo probabile percorso universitario. Mi consideravo un po' troppo vecchio per studiare, ed ero fuori corso da ormai anni.
-Se la cosa ti interessa ho qualche giorno di libero in settimana, possiamo fare qualche giro in città per andare a vedere delle scuole. Non la mia, qualsiasi università tu voglia.- Seokjin afferra la mia mano posata sul tavolo, la stringe emozionato, ma devo trattenermi dal ritirarla contro il mio corpo:
-Non ti piacerebbe andare a studiare Taehyung? Occuperesti le tue giornate con qualcosa di più divertente che pulire e cucinare. Quel tizio ti riempiva di soldi, no? Potresti permetterti una delle mie migliori scuole di Seoul. Ti aprirebbe un sacco di porte. Faresti anche conoscenza con qualche ragazzo della tua età magari...non sarebbe carino?-
Boccheggio come un pesce fuori dall'acqua del suo acquario, confuso e preso in contropiede dall'improvvisa proposta di Seokjin:
-I-io...è tutto un po' precipitoso...-
-Le porte aperte non sono un impegno! Andiamo solo a farci un giro e sbirciare l'ambiente. Ti farebbe bene aprire un nuovo capitolo. E poi, i tuoi genitori ne sarebbero felici.- mormora l'ultima frase incassato fra le spalle, quasi spaventato dalla mia possibile reazione. Ho un colpo al cuore quando sento nominare i miei genitori: non li vedo da quasi due anni ormai. Sento le lacrime riempirmi gli occhi rabbiose, ma le scaccio con uno scatto della testa. Sono sparito da troppo tempo senza neanche un tentativo di contatto, se mi presentassi davanti alla porta di casa farei prendere un colpo al cuore ad entrambi. Mi accoglierebbero con lacrime da coccodrillo e abbracci falsi, ma so che dopo poco tempo tutto tornerebbe come prima. Mia madre ricomincerebbe ad essere ossessiva, e a controllare ogni mio passo. Se poi dovessero scoprire quello che mi faccio e che mi lascio fare, le cicatrici candide che ricoprono il mio corpo in un intricato disegno di dolore segreto, credo potrebbero impazzire. Mio padre mi prenderebbe i polsi fragili, come quando ero piccolo, e mi agiterebbe in giro per la stanza con la stessa facilità, come se fossi una bambola di pezza di poche centinaia di grammi, per poi uscire di casa sbattendo la porta e sparendo per le restanti ore notturne, probabilmente chiuso in sé stesso al bancone di uno dei pub del quartiere, con una serie di bicchieri vuoti davanti a sè. Mia madre mi abbraccerebbe nel tentativo di consolarmi, ma le sue strette sono sempre deboli e vuote. Mi sembra di abbracciare una leggerissima statua di marmo freddo, e non carne viva: non mi piace farmi toccare da mia madre. I suoi occhi sono vacui e liquidi, sembrano non fissarsi mai su nulla di preciso. Quando mi guarda mi sento trasparente, il suo sguardo mi attraversa e si punta pigramente sulla parete dietro di me.
Scuoto la testa: i miei genitori non sono un buon incentivo, anzi spero che non vengano mai a scoprire dove mi trovo in questo momento.
Con una laurea in mano potrei però finalmente trovare un lavoro serio, e diventare indipendente, lasciando stare Seokjin una volta per tutte. Soppeso le mie possibilità ancora per qualche secondo. Jin continua a fissarmi speranzoso con gli occhi da cucciolo: non capisco perchè ci tenga così tanto alla mia istruzione. Sospiro pesantemente e infine annuisco sconfitto, mormorando:
-Va bene. Andiamo.-
Il the di Jin si spande sul tavolo quando esultando colpisce il bordo della tazza con il pugno chiuso, ma lui sembra non preoccuparsene. Mi rifletto nella macchia di liquido scuro e appiccicoso, e per qualche secondo mi sembra di non riconoscermi.

Qualche giorno dopo, durante il weekend, io e Seokjin prendiamo la sua macchina e lascio che mi trascini a visitare le università più interessanti che sono riuscito a trovare su internet. Sbirciamo qualche scuola dedicata alla tecnologia e all'informatica, due campi in cui c'è molta richiesta al momento, ma che non mi entusiasmano particolarmente. Le materie scientifiche e la matematica, d'altro canto, sono un "no" assicurato data la mia totale incapacità a capire tutto ciò che è formato da atomi o numeri. Al contrario, mi è sempre piaciuta l'arte. Sin da bambino mi divertivo a pasticciare con la pittura per le dita pile alte quanto me di cartoncini colorati, e nel tempo libero passavo le ore a leggere articoli riguardante la storia dell'arte e le ultime mostre in città. Quando ero un po' più giovane, preferivo di gran lunga risparmiare la mia paghetta settimanale, e invece di comprare il pranzo alla mensa della scuola mi tenevo i soldi da parte, fino ad averne abbastanza per passare un pomeriggio chiuso in qualche galleria del centro, lontano dal rumore.
In sintesi, non mi dispiacerebbe passare qualche anno circondato da bei quadri e odore di trementina.
Abbasso il finestrino di qualche centimetro e lascio entrare l'aria fredda all'interno dell'abitacolo, stringendomi nella mia giacchetta di jeans non adatta al tempo esterno, e sbircio oltre il vetro: un grosso edificio cubico fatto di vetro e cemento bianco ottico mi scruta a sua volta dall'altra parte della strada. Indico la targhetta dorata che decora la porta a scorrimento su cui si legge "Università di Arti Applicate" e mormoro, più per me che per Seokjin:
-Credo sia quella.-
Una volta scesi dalla macchina, parcheggiata strategicamente accanto alla scuola, ci dirigiamo all'interno e grazie ad alcuni cartelli posizionati sulle colonne che sostengono l'area centrale troviamo la grande aula dove viene tenuta la presentazione del programma scolastico. Non è pienissima, ma le prime file sono tutte occupate, quindi ci arrampichiamo sulla prima rampa di scale per andare ad accomodarci su due sedie poco comode a destra di una ragazza dai capelli turchesi. Sembra una fata, con lunghe dita pallide e decorate da anelli. Gioca con il portachiavi appeso all'angolo della sua borsa di pelle color cammello: sembra essere una piccola ranocchia di peluche con gli occhietti a spillo. Seokjin mi da un pugnetto sulla spalla e mi indica i professori che entrano in fila indiana nella classe, armati di cartellette rigide e alcune USB contenenti PowerPoint creati ad arte per questo momento. Ascolto con attenzione tutta la presentazione, che si rivela incredibilmente interessante e a tratti anche emozionante. Inizio ad immaginarmi all'interno dei corridoi, circondato da altri ragazzi con i miei stessi interessi, e un'estranea sensazione di benessere si fa strada fino al mio stomaco, dove si siede e ci rimane per tutta la durata della nostra visita. In seguito ci mostrano alcune classi, strabordanti di materiale e dagli odori caratteristici di creta, pittura e legno. Il piccolo sassolino alla bocca del mio stomaco diventa presto un macigno che fatico a contenere, e inizio ad emozionarmi sempre di più. Qualche sorriso eccitato rivolto alle persone che mi girano intorno, qualche tiratina alle maniche della giacca di Seokjin per mostrargli emozionato come un bambino a Disneyland le cose interessanti che riesco a scorgere, e mi basta ciò per innamorarmi di questo posto.
-Allora? Ti piace?- mi chiede Jin una volta soli, appoggiato contro una delle colonne tonde e bianche. Annuisco estasiato, continuando a sbirciare all'interno delle aule ogni volta che si apre una porta, e osservando con gli occhi che brillano i ragazzi con le loro salopette sporche di vernice e gesso che si fanno strada con le braccia colme di cartoncini, pennelli e zaini gonfi di libri. Seokjin ridacchia sotto i baffi:
-Si vede.- poi aggiunge più cautamente -Magari potremmo andare a prendere i documenti necessari all'iscrizione degli esami di ammissione in segreteria, non credi?-
L'emozione ha la meglio sulla razionalità, e ancor prima di accorgermene sto correndo su per le scale trafelato, alla volta di un ufficio sconosciuto, dove mi viene consegnato uno spesso fascicolo di fogli pinzati tra loro. Seduto in macchina li scartabello, leggendo superficialmente i requisiti principali per l'esame: qualche ripasso delle materie di maturità, lingua inglese, un esame di storia dell'arte e ben quattro esami pratici, più alcuni progetti da preparare a casa nel giro di un mesetto circa, con conseguente presentazione orale da recitare davanti ad una commissione specializzata. La quantità di lavoro mi spaventa e mi scoraggia, ma quando lo confesso a Jin lui mi da una pacca sulla spalla senza distogliere lo sguardo dalla strada:
-Non ti preoccupare, ti aiuterò io. Studieremo insieme.-
Annuisco poco convinto, e finisco con il passare tutto il viaggio di ritorno verso casa immerso nei fogli, a leggere e rileggere ogni paragrafo molteplici volte, nel tentativo di impararli quasi a memoria. Scopro che la retta annuale è piuttosto alta, e i posti liberi sono pochi, ma cerco di non scoraggiarmi: dopo una veloce controllata al mio conto bancario realizzo che in effetti i soldi non sono un problema.
Una volta tornati a casa, Seokjin recupera alcuni libri di preparazione agli esami universitari, e me li consegna fiero come un padre che ha appena visto il figlioletto vincere il torneo di calcio. Sostituisco le pulizie e la cucina con lo studio, e passo le mie giornate sui libri a studiare. Quando Jin torna dal lavoro alla sera mi aiuta sempre, tutti i giorni si prende un paio d'ore per trattarmi come se fossi uno dei suoi studenti, riempiendomi di domande e test orali, fino a quando non conosco il contenuto dei suoi libri a menadito. Nel frattempo, tra una sessione di studio e l'altra, mi dedico alla parte pratica dell'esame, creando pezzi d'arte su tela e su carta, riversando tutta la sofferenza imbottigliata nell'ultimo periodo nei colori e nelle pennellate. Smetto anche di tagliarmi durante questo breve periodo, troppo preso dagli impegni e con la testa decisamente occupata. Arrivavo alla sera stremato, con date e nomi che mi rimbalzavano per il cervello fino a quando non mi addormentavo, non avevo nemmeno la forza di tirare fuori la lametta. Non che fosse un male.
Il giorno degli esami arrivò piuttosto in fretta, e miracolosamente la mia ansia non si presentò: anzi, mi sentivo su di giri, come se avessi bevuto un bicchiere di troppo. Eseguii i miei test con una facilità quasi spaventosa, e l'orale, la cosa che mi preoccupava più di tutte, mi sembrò una passeggiata. La commissione mi pose qualche domanda a trabocchetto, ma credo di essere riuscito a gestirle piuttosto bene, intortandoli con parolone ben studiate e lunghe frasi create ad hoc per confonderli. È stato Jeon ad insegnarmi come lavorarsi le persone, avevo appreso per osmosi semplicemente standogli accanto durante i suoi meeting e le sue presentazioni, dove con il suo charme incantava intere stanze: quando parlava lui, tutti ascoltavano, anche i suoi superiori.

Esattamente una settimana dopo, la grande busta bianca che avrebbe cambiato il mio futuro era tra le mie mani. Per la prima volta da quando abitavo con Seokjin, le mie giornate non mi sembravano più vuote, e finalmente mi alzavo con un briciolo di voglia di vivere, e la cortina di depressione che mi accompagnava da mesi sembrava essersi leggermente alzata. Avevo passato gli ultimi sette giorni davanti alla finestra più vicina al divano, seduto con un occhio sempre sulla strada, e scendendo trafelato le scale ogni volta che vedevo il camioncino della posta.
L'aveva portata il postino di prima mattina. Come ero solito fare, lo avevo raggiunto prima che potesse schiacciare tutta la posta di Seokjin all'interno della stretta fessura della cassetta, e gliel'avevo quasi strappata di mano, per poi correre in casa e nascondermi emozionato dietro la porta. Non ero riuscito però ad aprirla, e l'avevo lasciata sul tavolo della cucina, mentre la scrutavo torvo da un paio di metri di distanza, come se potesse attaccarmi all'improvviso. Dopo un po' di tira e molla avevo infine deciso di aspettare che Seokjin tornasse dal lavoro prima di aprire la lettera. Le ore sembravano non passare più, ma bastò distrarmi con le pulizie della casa e dopo poco il campanello suonò: erano già arrivate le cinque e mezza. Aprii la porta a Jin con un involontario sorriso a trentadue denti, e lui, dopo una breve scansione dell'appartamento e la conseguente intercettazione della lettera sul tavolo, mi scansa di lato e la raccoglie, controllando il timbro della scuola febbrilmente.
-È arrivata?- chiede, nonostante ce l'abbia in mano. Annuisco mordendomi l'interno delle guance per mascherare la mia eccitazione. Me la batte sulla fronte con fare affettuoso:
-E non l'hai ancora aperta? Sei matto?-
-Volevo aspettarti. Ero troppo nervoso.- confesso evitando il suo sguardo. Sorride scuotendo la testa, si toglie la giacca e la lancia sul divano, per poi sedersi e pattarsi il ginocchio. Alzo gli occhi al cielo:
-Jinie, non sono più un bambino, non mi siederò sulle tue gambe.-
-È un'occasione speciale, facciamo un'eccezione.-
saltello sul posto da un piede all'altro, poco convinto, poi cedo e mi accomodo su una delle cosce magre di Seokjin. Il mio fondoschiena ossuto gli sta probabilmente perforando la carne, ma a lui sembra non dare fastidio.
-La apro io o la apri tu?- mi chiede.
-Lo faccio io.- rispondo dopo un paio di secondi. Faccio passare l'unghia sotto il bordo incollato, con delicatezza apro la busta, ed estraggo il foglio piegato in tre parti. Chiudo gli occhi, sospiro profondamente, e apro di scatto la lettera. Io e Seokjin leggiamo all'unisono in silenzio: quando arrivo alla terza riga appoggio il foglio sul tavolo a faccia in giù e mi alzo. Cammino in cerchio in giro per il salotto, mi passo le mani fra i capelli lunghi, e mi ficco un'unghia in bocca, spezzandola istantaneamente. Seokjin finisce di leggere la lettera con le spalle incassate, e si gira verso di me, con un sorriso malcelatamente triste.
-Taehyung...succede. Non è la fine del mondo.-
-Lo so. Non sono triste. Va bene così.-
Mi giro verso la finestra, dandogli la schiena, e nascondo gli occhi pieni di lacrime. Mi sento una nullità.

Seokjin passa la serata a tentare di consolarmi, e io a fingere di stare benissimo. Sorrido alle sue battute, mangio con gusto la cena ordinata dal negozio indiano sotto casa nonostante sappia di cartone e ne abbia anche la consistenza, guardo insieme a lui uno spettacolo di varietà, per poi dire di essere stanco verso le dieci di sera e rintanarmi in camera mia, con l'idea di andare a dormire il più velocemente possibile per non sentire più nulla.
Mi cambio d'abito, indossando il mio pigiama preferito, un morbido completo camiciola e pantaloni di cotone che mi ha regalato Seokjin a Natale, azzurro e bianco, con bottoncini di perla. Mi sdraio sotto le coperte e chiudo gli occhi, convinto e desideroso di addormentarmi istantaneamente. Ma le lacrime che trattenevo da tutto il giorno hanno la meglio su di me, e iniziano a scorrere tra le mie ciglia strette, colando lungo le guance e il profilo del naso, e andando a schiantarsi sul cuscino, che in breve tempo diventa impregnato di pianto e fradicio. Le ore passano senza che nemmeno io me ne accorga, mentre piango silenziosamente, e nonostante la finestra aperta dalla quale entra vento gelido mi ritrovo a boccheggiare alla ricerca di aria. Nonostante le mille promesse fattomi nell'ultimo mese, lentamente mi sposto verso il bordo del letto, cercando nel buio a tentoni la busta contenente la mia lametta. Alla fievole luce della luna che filtra tra le tende, mando a quel paese quasi un mese di pulizia: accarezzo le vecchie cicatrici, ormai chiuse e piatte, per poi attaccarle con violenza, incidendo a fondo e affondando la lama nella carne con rabbia. Finisco velocemente lo spazio sul braccio sinistro, e mi sposto sul destro, anche se tagliare con la mano sinistra mi risulta più scomodo. I tagli sono meno precisi, ma la presa stretta sulla lama mi permette di andare ancora più in profondità. Nonostante tutto, non sento nulla. Il sangue mi cola sul pigiama, dove si raccoglie tra le mie cosce e penetra nella stoffa, facendomi venire ancora più freddo, ma oltre a quello il dolore è quasi nullo. In un gesto disperato faccio un lungo taglio perpendicolare agli altri, ma credo di non beccare nessuna vena importante. Ho la testa leggera, e lentamente una piccola vocina inizia a farsi strada tra i corridoi deserti del mio cervello.
"Jeon, Jeon, Jeon, Jeon,..."
Scuoto la testa: non devo ascoltarla. Nonostante la pelle disponibile finisca e i miei pantaloni siano zuppi di sangue, io continuo a sentirmi incredibilmente vuoto. Nessuna quantità di dolore riesce a superare il disagio che provo mentalmente, nessuna punizione sembra adatta, e la frustrazione inizia a riempirmi lo stomaco. Ho bisogno di più. Ho bisogno di lui. Mi alzo di scatto, combattendo contro i giramenti di testa, e cerco un cappotto lungo fino alle ginocchia nel mio armadio. Lo indosso, prendo la borsa con i pochi soldi datemi da Seokjin per andare a fare la spesa, ci infilo dentro il cellulare e l'abbonamento del treno, per poi scivolare silenziosamente nel buio verso la porta d'uscita. Sento Seokjin russare profondamente, e questo mi rassicura. Apro il chiavistello lentamente, nonostante le mani che tremano, e senza fare rumore riesco ad uscire in corridoio senza essere visto da nessuno. Preso da un momento di lucidità e compassione per Jin, torno sui miei passi, scrivo un breve messaggio su un post-it e lo lascio accanto alla scatola dei suoi cereali preferiti che mangia praticamente ogni mattina:
"Buongiorno Seokjin, spero tu abbia dormito bene. Mi dispiace non poter essere qui con te stamattina. Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me. Ci rivedremo, credo."
Sporco il bordo del cartoncino con una goccia di sangue senza volerlo.

Seduto sulla panchina della stazione mi stringo nel cappotto, tentando di nascondere gli abiti sporchi di sangue e di ripararmi dal freddo notturno. I treni sono sempre puntuali qui solitamente, ma stanotte sembra che ci sia un leggero ritardo. Forse dovrei prenderlo come un segno e tornare indietro. Ma le mie gambe non si muovono,e continuo ad aspettare. Con un fischio il treno si ferma davanti a me: per fortuna sembra essere deserto. Mi siedo in uno dei posti più vicini alla porta a scorrimento, pronto a scappare alla velocità della luce se dovesse avvicinarsi qualcuno. Ho il terrore che chi mi passi accanto possa sentire l'odore del sangue che mi cola dalle braccia.
Seguo con lo sguardo il percorso segnato sullo schermino delle informazioni appeso davanti a me, e attendo pazientemente che il treno mi porti a destinazione, e nonostante si tratti di un viaggio piuttosto breve sembra durare un'eternità. Prego sottovoce per tutta la durata dello spostamento, prego che lui sia in casa, prego che qualcuno senta il campanello, prego di non venire preso a schiaffi nell'esatto momento in cui mi vedrà. O forse non mi dispiacerebbe. Potrebbe riuscire a risvegliarmi dal torpore che lentamente stava prendendo possesso del mio corpo. Scendo zoppicando dal treno e claudicante mi dirigo verso la villa di Jeon. Quando arrivo davanti al cancello, mi ci appoggio contro, sicuro di trovarlo chiuso. Mi ci aggrappo con entrambe le mani, e ispiro profondamente l'odore del metallo bagnato di rugiada. È così familiare.
Un fievole stridio mi fa rinsavire: il cancello si sta lentamente aprendo sotto il mio esiguo peso. Una delle cameriere deve averlo dimenticato aperto quando ha finito di lavorare in serata, e nella fretta non ha controllato che i cardini centrali fossero ben allineati. Raramente uscivo dalla villa, ma quelle poche volte Jeon si raccomandava sempre che chiudessi la casa alla perfezione. Qualcosa in fondo al mio cervello si illumina e inizia a lampeggiare pericolosamente: inizio a convincermi che tutto ciò sia destino. Il treno vuoto, il cancello aperto, il sonno profondo di Seokjin: sembra che l'universo si sia messo d'accordo per spianarmi la strada. Mi infilo all'interno del giardino, e lentamente mi avvicino ai cespugli di rose, che tocco con la punta delle dita: anche questa sensazione mi è familiare, dopo tutti i pomeriggi passati a curarmi di esse con dedizione e affetto. Sapevo quanto Jeon tenesse alle sue rose, e in un certo senso mi ricordava la Bestia, nel suo castello vuoto e solo. Immagino di essere la Bella a questo punto.
Mi allontano dai fiori, e mi avvicino piuttosto al mio ultimo obbiettivo: il campanello. Sono certo che a quest'ora Jeon stia dormendo beatamente nel suo largo letto, il corpo nudo aggrovigliato fra le coperte di seta rossa. Mi brillano gli occhi al solo pensiero, ma mi incupisco immediatamente dopo pensando alla faccia che farà vedendomi davanti alla sua porta: sarà contento, arrabbiato, deluso? Potrebbe non avere nessuna espressione, e quella potrebbe essere la peggiore delle opzioni. Odiavo lo sguardo vuoto che prendeva possesso del suo viso quando era talmente in collera da non riuscire più nemmeno a provare nessuna emozione nei miei confronti.
Respiro intensamente per qualche secondo, per poi poggiare la prima falange dell'indice sul bottoncino dorato che decorava il lato destro dello stipite, e premo per qualche secondo. Forse troppo. Non sento nessun rumore oltre la porta, solo l'eco del trillo del campanello. Aspetto ancora un momento, ma nulla. Quando sto per girare i tacchi sento un "clic" molto lontano, fievolissimo. Alzo lo sguardo: la luce della camera di Jeon è accesa, e lentamente anche quella delle scale e quella del salone si accendono. Passi pesanti si avvicinano alla porta: il mio respiro inizia ad accorciarsi. La chiave gira un paio di volte, e la porta, finalmente si apre.
É lui. È davanti a me, a petto nudo, con solo i pantaloni del pigiama a coprirlo. Vorrei lanciarmici contro, toccarlo per essere sicuro che sia reale, e poi baciarlo per tutta la notte lì, in piedi, sulla soglia di casa. Invece mi metto a piangere, tutte le lacrime che trattenevo iniziano a sgorgare come un fiume in piena, riempiendomi di pianto salato le guance e il mento. Non riesco nemmeno a parlare, scosso dai singhiozzi. Jeon mi fissa, e non ha nessuna delle espressioni che avevo immaginato: è confuso, sembra quasi non riconoscermi. È diffidente. Alzo le mani tremanti e ormai gronde di sangue per incorniciare il suo viso senza toccarlo, e con un filo di voce mormoro:
-Padrone...-
Improvvisamente Jeon sembra illuminarsi, mi afferra con forza per la vita e tenta di sostenermi in piedi, ma le forze iniziano ad abbandonarmi e il suo viso si fa sempre più sfocato e scuro. Riesco solo a sentire la sua voce che mi chiama, disperata:
-Taehyung...Taehyung!-

Apro gli occhi, e ci metto un poco a capire dove mi trovo. Il soffitto di legno scuro e lucido riflette un'immagine di me poco chiara: sono sdraiato sul divano del salone, coperto da un pile sporco di sangue. Lo lancio per terra spaventato, ma una mano gentile ferma le mie, sussurrando:
-Hai bisogno di riscaldarti.-
-I-io, mi dispiace, la sua coperta...il sangue non andrà più via. P-pagherò la tintoria.- balbetto ancora confuso. Ci metto qualche secondo di troppo per mettere a fuoco il viso di Jeon: ha le sopracciglia aggrottate, ma le labbra sono piegate in un sorriso.
-Tintoria?- ripete con una risatina nervosa -Taehyung, non pensare alla tintoria in questo momento e sdraiati. Hai perso molto sangue e se continui ad agitarti non potrò richiudere le tue ferite. Continua a dormire se ne hai bisogno.-
Scuoto la testa, e trattengo un conato. Jeon è piegato sul mio braccio, con un piccolo ago da sutura e con mani tremanti tenta di chiudere il qualche modo il brutto taglio verticale che mi sono procurato poche ora prima. Finisce il suo lavoro certosino con un nodo, e benda tutto quanto dopo aver applicato uno spesso strato di disinfettante. L'altro braccio è già medicato, e i miei abiti bagnati di condensa notturna e sangue sono spariti, sostituiti da una t-shirt e dei pantaloni di stoffa puliti.
-Li ho messi da lavare i tuoi vestiti. Non credo torneranno come prima, ma sto provando a smacchiarli con della candeggina. Te ne comprerò di nuovi.- spiega chiudendo la fasciatura con un pezzo di scotch medico. Poi si allunga verso il tavolino, che straborda di medicine e materiale, e prende un panno imbevuto di acqua calda, per poi appoggiarmelo sulle labbra. Mi specchio nella ciotola della frutta al centro del caos: ho le labbra tinte di azzurro, il viso pallido e magro, gli occhi infossati. Praticamente prossimo ad un ipotermia.
Jeon continua a scaldarmi il viso con il panno caldo, e lentamente torno ad avere un colorito leggermente più vivo e roseo. Si avvicina poco convinto, ma poi chiude gli occhi e con un breve sospiro mi da un bacio sulla fronte. Avere di nuovo la sua pelle contro la mia mi fa vedere le stelle.
-Scusami se non ti ho riconosciuto...è che sei così diverso adesso.- si stringe nelle spalle e indica i miei capelli, per poi lasciar scendere il dito a sottolineare il mio corpo. Mi passo una mano fra la chioma lunga fino alle spalle e tinta di scuro, sotto consiglio di Seokjin, e poi seguo con due dita il profilo del mio corpo magro e ossuto sotto le coperte. Osservo sconsolato il mio riflesso.
-Non va più bene...?- chiedo in un soffio.
-Non dire fesserie.- risponde lui con fare ovvio. Poi si avvicina al divano, si siede per terra e poggia la testa sul cuscino accanto alla mia. Rimane in silenzio per un paio di minuti, osservandomi soltanto.
-Dov'è finito il mio Taehyung...- sospira piantando i suoi occhi nei miei, più vuoti e annebbiati. Mi alzo di scatto, provocandomi l'ennesimo giramento di testa:
-Sono qui. Sono qui per davvero. Non è cambiato nulla, lo giuro.- quasi grido. Jeon mi prende per le braccia e mi fa risdraiare, continuando ad ammonirmi:
-Devi riposare, non fare il matto. Stai giù.- poi respira profondamente e volge lo sguardo verso il soffitto, dicendo sottovoce e velocemente, quasi facesse male come strapparsi un cerotto:
-Perchè sei scappato?-
Gli prendo il viso fra le mani e congiungo le nostre fronti, mentre in un soffio gli confesso:
-Non sono scappato, non scapperei mai via da lei. Io la amo più di ogni altra cosa.- per poi raccontare sottovoce, come fosse un segreto, tutto ciò che era capitato quel pomeriggio, e anche i seguenti mesi. Jeon si prende il ponte del naso fra le dita, confuso:
-Io...io non credevo. Pensavo fossi semplicemente sparito. Non sai cos'ho fatto per cercarti, uscivo tutti i giorni dalla mattina alla sera, e giravo per le strade che percorrevamo di solito insieme. Ero...disperato. Il mio Taehyung...sembrava ti fossi volatilizzato in una nuvola di fumo.- mormora mordicchiandosi una pellicina del pollice nervosamente. Ora che lo osservo da più vicino anche lui sembra stanco e magro: cerchi viola gli solcano lo sguardo, e ha le guance incavate. Anche la sua solita abbronzatura sembra aver preso una tonalità grigiastra.
Mi prende le braccia con delicatezza e le alza davanti al viso per osservare le fasciature magistrali:
-E questo...tutto questo. Perchè? Ho dovuto spogliarti prima, per poterti cambiare d'abito, e ne sei pieno. Taetae...cosa ti sta succedendo?-
-Io...- balbetto nel tentativo di trovare parole gentili con il quale spiegarlo, ma la mia testa è vuota. Inizio a piangere silenziosamente e tra le lacrime spiego che da quando lui era scomparso dalla mia vita, farmi del male era l'unico modo che avevo per poter stare calmo e che dovevo arrivare a tanto per potermi perdonare gli innumerevoli errori che facevo nella vita di tutti i giorni. Senza più le sue punizioni e il suo controllo, non sapevo come gestire l'insoddisfazione. Jeon mi ascolta con attenzione, annuendo sconsolato:
-Tae non funziona così....non bisogna punirsi per ogni errore, e sopratutto non bisogna farlo da soli. Sono due cose ben diverse. Quello è autolesionismo. Noi avevamo una relazione BDSM, con una serie di regole da seguire, e delle punizioni conseguenti ben designate. Non si tratta di semplice dolore...erano dei giochi a livello sessuale. Era eccitante. Tu trovi eccitante...tagliarti i polsi?-
Scuoto la testa.
-Immaginavo...- mormora tra sé e sé. Poi mi prende per le spalle e le stringe delicatamente:
-Ascolta, d'ora in poi mi prenderò io cura di te, d'accordo? Ti prometto che ti terrò sotto controllo e farò in modo che tu viva la tua vita nel migliore dei modi. Tu però devi promettermi di smettere immediatamente di farti del male.-
-Ora che ho di nuovo lei non avrò più bisogno di...questo.- annuisco convinto. Se sentirò il bisogno di farmi del male andrò da lui e gli chiederò di punirmi nel modo che lui riterrà più consono.
-Quando...quando posso ricominciare a lavorare?- domando con un pizzico di nervosismo.
-Lavorare? Io non voglio più che lavori per me.- risponde Jeon. Ho un tuffo al cuore, ma lui si corregge immediatamente.
-Non voglio più che tu sia un semplice cameriere....voglio che diventi qualcosa di ufficiale. Il mio...fidanzato?- pronuncia l'ultima parola sottovoce, quasi si vergognasse. Gli salto al collo, posando le mie labbra sulle sue in un bacio che aspettavo da troppo tempo e sussurro:
-Sì. Fidanzato. Mi piace.-
-Ti darò una serie di regole da seguire giornalmente adattate personalmente a te, solo e soltanto per il tuo benessere personale. Dovrai cercare di seguirle al meglio, e se dovessi inciampare ci sarò io con te. Ti punirò in modo responsabile e sicuro, con le dovute misure. Non ti succederà più niente di male, te lo prometto.- mi spiega, per poi aggiungere con un ghigno -A meno che tu non me lo chieda.-
Ridacchio lezioso:
-Padrone...-
-Non chiamarmi più così. Cioè, a meno che non ti piaccia. E non è più necessario darmi del lei. Non siamo più sul luogo di lavoro. Questa sarà casa tua d'ora in poi. Adesso possiamo passare ai nostri nomi...o anche a qualche petname.- aggiunge infine con un sorriso.
-Tipo baby?- rido.
-O puppy.-
Ci diciamo una serie di petnames imbarazzanti e scoppiamo a ridere, fino a farci venire il mal di pancia. Quando ci calmiamo, realizzo una cosa:
-I-io...non so il suo...voglio dire, il tuo nome.-
-Il mio nome?- ripete confuso. Sorride.
-Jungkook. Puoi chiamarmi Jungkook.-

-FINE-

MY MASTER -KookV-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora