Il ruggente rombo di un'automobile, mischiato al frastuono del centro città mi svegliano di soprassalto. Non sono più abituato al forte rumore di prima mattina, la villa di Jeon è isolata dal resto del mondo e le poche persone che arrivano prima che anche io mi svegli sono estremamente silenziose. Mi metto a sedere con un balzo, costringendo Jeon ad alzarsi con me, seppure involontariamente.
-Che c'è Taehyungie?- biascica rotolando dall'altra parte del letto.
-Mi scusi, mi sono spaventato...c'è stato un forte rumore, e la finestra è aperta. Continui a dormire per favore.- mormoro fissando corrucciato il vetro opaco e il cielo grigio oltre esso. Si tira sui gomiti guardando con il capo piegato al di fuori.
-Accidenti, che brutta giornata. Speriamo esca il sole più tardi.- commenta ignorando completamente la mia richiesta. Lancia le gambe oltre il materasso e si alza in un battibaleno, raccogliendo qualche abito dalla valigia aperta sul pavimento. Inizia a vestirsi subito e, ancor prima che io riesca a trovare le mie ciabattine, lui si sta già infilando in bagno.
-Tra quanto dobbiamo uscire?- chiedo affannato correndo anche io verso i vestiti ben piegati e cercando con gli occhi una divisa. Mi guarda stralunato. Osservo la sua mise: non indossa il completo, non si sta preparando per il lavoro.
-Non ricordi? Devo andare in farmacia. Per te. - mi spiega indicando il portafoglio già pronto accanto al giubbotto di pelle. Improvvisamente tutto il dolore di ieri sera mi piomba addosso, come se le ferite si siano ricordate di esistere tutto d'un tratto. Quando mi vede dondolare avanti e indietro in un leggero giramento di capo, mi afferra per le spalle e mi accompagna gentilmente al bordo del letto, facendomici sedere.
-Ascoltami, stattene qua tranquillo per un po', ok? Ci metterò pochissimo, intanto tira fuori un completo per me, e una divisa per te, se proprio desideri fare qualcosa. Magari fatti un'altra doccia, ti può solo che far bene.- mi istruisce. Ha lo sguardo turbato e preoccupato, sembra voler uscire il prima possibile.
-Ti prego, fai attenzione.- mi ripete per la decima volta prima di chiudersi la porta alle spalle. Annuisco silenziosamente, cosciente dell'inutilità di quell'azione. Mi alzo con cautela e raggiungo il frigo bar, dal quale tiro fuori una bottiglia di acqua frizzante ghiacciata. Il freddo e le bollicine mi fanno rinsavire, la mia gola mi ringrazia e il mio stomaco si contorce intorno al liquido congelato. Mi accorgo di avere moltissima fame, e spero tanto che Jeon torni presto per poter scendere a fare colazione.
Lascio l'acqua sul mio comodino, e mi dirigo in bagno, deciso a seguire il consiglio del capo e darmi una lavata. Nonostante il bagno di emergenza della sera prima, ero ancora sudato. Colpa degli incubi di quella notte. Mi infilo sotto al getto tiepido guardandomi di soppiatto nello specchio, quasi stessi cercando di spiare un estraneo. Ho la schiena attraversata da stilettate scure, qualche livido sulla parte bassa e alcune piccole macchie di sangue, che spariscono nel giro di qualche secondo, scivolando nello scarico insieme alla schiuma chiara. I tagli che la sera prima sanguinavano, si erano chiusi e la pelle iniziava a curarsi di suo piglio. Il mio corpo si stava rigenerando senza nessun aiuto e senza doverglielo chiedere, sapeva già cosa fare, come e quando. Sorrido all'idea.
Finisco di insaponarmi i capelli, e li sciacquo con l'acqua fresca, per poi avvolgermi nell'accappatoio con delicatezza e iniziare ad asciugarli con l'aria calda. Non appena spengo l'asciugacapelli sento la serratura della porta scattare e Jeon chiamarmi a gran voce. Mi affaccio dalla porta con un sorrisino timido e agitando la mano in segno di saluto. Jeon si gira e mi sorride a sua volta:
-Sono tornato. Vieni, ti mostro cosa ho preso.-
Mi siedo sul letto accanto a lui, che nel frattempo ha rovesciato il contenuto del sacchetto verde sulle coperte, ordinando le scatolette colorate una accanto all'altra.
-Guarda, qua c'è del disinfettante, garze, crema per le abrasioni e le bruciature...- alza i prodotti uno a uno, mostrandomeli e porgendomeli, lasciando che li controlli e ne legga la descrizione con attenzione - ...poi, ho trovato un cicatrizzante, questi sono cerotti semplici e questi sono per chiudere eventuali ferite più profonde, aiutano ad avvicinare i lembi di pelle, quasi come fossero dei punti.-
Quando nota il mio sguardo terrorizzato alla sua ultima affermazione, e si affretta ad aggiungere:
-S-spero di non doverli mai usare, sono solo per evitare una corsa in ospedale nel mezzo della notte...-
Peggiora soltanto la situazione; improvvisamente ho la nausea. Li lancia nella valigia e li copre con degli abiti.
-M-ma non ci serviranno. Ne sono sicuro. Ora, lascia che ti medichi, per favore.- richiede, allungando un flacone di disinfettante e un tubetto di crema dall'aspetto poco minaccioso, aspettando il mio permesso. Annuisco velocemente, iniziando a spogliarmi. Allungo le braccia, lasciando che si occupi delle mie ferite e poi mi giro, dandogli la schiena. Sobbalzo quando il disinfettante mi tocca, e un leggero bruciore si espande sulla mia pelle.
-Resisti, sarò veloce.- mi sussurra Jeon, alleggerendo la mano fino a non sentirlo nemmeno muoversi dietro di me.
-Brucia...- mormoro artigliando le coperte.
-Lo so, ho quasi finito. Ora ti applicherò delle garze, per favore stai fermo. -
Faccio come dice, e in un battibaleno sento l'asciugamano poggiarmisi sulle spalle fasciate. Jeon mi salta in grembo, brandendo una morbida spugnetta e un flaconcino di crema colorata.
-Fondotinta?- domando. Annuisce, alzandomi il mento con due dita e coprendomi i lividi sul collo con dei tocchi leggeri. Si alza poi a preparare gli abiti per entrambi, dato che io non avevo fatto a tempo prima che tornasse.
Mentre indosso la mia divisa, in una versione senza grembiule e l'aggiunta di una giacca, Jeon si cambia accanto a me e nel giro di qualche minuto siamo entrambi pronti per andare a riempirci lo stomaco. Scendiamo con l'ascensore, dove Jeon mi sistema con delicatezza i polsini della camicia per coprire al meglio le fasciature sui polsi.
La sala della colazione è enorme, e luminosa, piccoli tavoli quadrati sono disseminati per la stanza, a debita distanza l'uno dall'altro, circondati di piante verdi dalle foglie larghe. Contro alla parete sinistra sono addossati dei grossi tavoli, lunghi e coperti da immacolate tovaglie di stoffa pesante, sulle quali sono poggiati vassoi dorati ricolmi di leccornie. Torte di ogni tipo, brioche, pane ancora caldo e croccante, marmellate fatte in casa, crema al cioccolato, alla vaniglia, al caramello...e poi salumi, formaggi francesi, uova fritte, sode, strapazzate. Poco lontano un tavolo dedicato alla classica colazione inglese attira la mia attenzione: in un sugo annacquato nuotano piccoli fagioli bianchi, e accanto ad essi sono disposte delle salsicce di carne scura su una griglia calda. Mi allontano arricciando il naso, dirigendomi verso qualcosa di mio gusto, mentre Jeon si occupa delle bevande. Due cappuccini con una densa schiuma e spolverati di cacao, acqua frizzante importata dalla Svizzera e due bicchieri di succo di arance appena spremute fanno la loro comparsa sul nostro tavolino, segnato dal numero della camera. Poggio il piattino davanti al mio posto: ho preso una piccola pagnotta integrale, spolverata di semi di papavero, del formaggio morbido e dolce, una ciotolina di marmellata di albicocche aspre, e una fetta di torta al cioccolato. Guardo quest'ultima con cupidigia , deciso a tenerla per ultima, per riservarmi il godimento decadente del cioccolato al latte come conclusione di una sicuramente deliziosa colazione.
Jeon dal suo canto si è lanciato sul banco dei dolci, riempiendo i suoi tre piatti di paste di sfoglia ripieni di crema, biscottini spolverati di zucchero, e crostate ripiene di frutta di stagione. Soffoco un risolino davanti alla sua scelta alimentare, scuotendo la testa. Ci fiondiamo sulle nostre montagne di cibo, ingozzandoci in tutta fretta, come se dovessero toglierci il piatto da sotto il naso da un momento all'altro.
Mentre si diletta a dividere in piccoli pezzi la crostata di pesche con la sua forchettina da dolce, Jeon alza lo sguardo su di me, intento a spalmare il formaggio sul pane.
-È un buon momento per parlare?- mi chiede indicando con un cenno il cibo. Non vuole rovinarmi il pasto. Annuisco completando la mia fetta di pane con una noce di marmellata, e la addento con un sorriso.
-Ascolta...vorrei discutere di quello che è successo ieri. Sono stato un pelo sprovveduto, e non ti ho preparato a dovere. Sono andato a istinto, ed è la cosa peggiore che potessi fare. Avrei dovuto chiederti un assenso verbale completo, con istruzioni precise su cosa potevo fare e cosa no.- si blocca, vedo il suo sguardo perdersi nel vuoto per un secondo, fissando la tazzina di caffè. Mi affretto a rassicurarlo, notando l'alone scuro che iniziava a ombreggiargli il viso:
-N-non deve preoccuparsi, me la sono cercata. Innanzitutto ho sbagliato, innumerevoli volte. E in secondo luogo, l'ho chiesto io. Volevo che succedesse, non mi sarei fatto trovare in quelle condizioni se non avessi voluto...farmi toccare.-
-Avresti voluto che mi fermassi prima?- mi chiede a bruciapelo, continuando a guardare il tavolo. Rimango spiazzato, e ci penso su per qualche secondo.
-No.- rispondo infine, e sono sincero.
-Avresti desiderato delle pause?- continua con le domande, ma ora riesce ad alzare lo sguardo, che si pianta sulle mie clavicole.
-...forse. - vacillo, ma aggiungo risoluto subito dopo – Più che altro avevo bisogno di bere qualcosa, la gola mi doleva alla fine per le urla...m-ma non è grave, assolutamente, potevo farlo dopo.-
Sembra rischiararsi, e tira un sospiro, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. Si fissa le unghie pensoso per qualche minuto in silenzio, per poi allungare le mani ad afferrare le mie e mi guarda finalmente dritto negli occhi.
-Ok, ascoltami molto attentamente ora: non pensavo che ne avessimo bisogno, perchè non pensavo di spingermi fino a quel punto, ma visto che tu ci stai, e io non riesco a trattenermi quando ti ho intorno...dobbiamo stendere una linea guida per queste sessioni.- sussurra, guardandosi intorno. Ma i tavoli più vicini sono vuoti, e nessuno sembra essersi accorto di noi. Lo fisso con lo sguardo concentrato, deciso a capire fino in fondo come doveva funzionare la situazione.
-Innanzitutto, ho bisogno che tu mi spieghi cosa provi, nel dettaglio, quando...ti faccio del male.- distoglie lo sguardo sull'ultima espressione. Cerco di metterlo a suo agio con un sorriso gentile, carezzandogli la mano con il pollice, e la situazione diventa sempre più surreale. Per una volta, Jeon era in imbarazzo, e avevo in pugno io la situazione. Potevo decidere da me, dare le risposte che più desideravo, e giostrare il destino della nostra relazione a mio piacere.
-Non so se sono capace di spiegarlo...inizialmente, prima che tutto inizi, ho una leggera paura. Non è vera paura, è come quando decidi di guardare un film horror: provi terrore, ma sai anche di essere al sicuro, e sei a conoscenza della scarica di adrenalina che ti aspetta dopo. Al primo colpo, sento la maggior parte del dolore, sopratutto se non me lo aspetto e non sono preparato mentalmente. Non è spiacevole, in ogni caso, pizzica un po' nel peggiore dei casi. In seguito, a mano a mano che i colpi aumentano, il dolore sparisce e si trasforma in una sensazione di calore all'altezza dello stomaco, che mi monta dentro fino a un culmine, che definirei....vera e propria eccitazione. - ammetto abbassando gli occhi. Jeon mi ascolta, stringe leggermente gli occhi e capisco che sta davvero cercando di comprendermi.
-Urlo e piango per riflesso automatico, credo sia normale...la metà delle volte sono lacrime di piacere. Se il dolore diventa molto, al momento dell'impatto lo sento, e in quei momenti mi escono parole come "basta", o "la smetta", ma l'adrenalina che mi scorre nelle vene nel momento esatto in cui il male finisce mi fa venire voglia di rimangiarmi tutto e dire al loro posto "ancora". Quindi, sì, quello che fa mi piace, e provo del godimento nello stare ai suoi piedi.- sospiro profondamente, con le guance in fiamme. Mi sento spogliato, completamente nudo nel mezzo della sala, con un enorme segnale al neon che mi indica. Osservo Jeon di sottecchi, ma lo sorprendo a sorridere sollevato, e allarga le spalle e il petto in un respiro gioioso.
-Sono felice di sentire tutto ciò, davvero felice. Mi dispiace non aver affrontato l'argomento prima, ma vedevo un continuo assenso da parte tua, non ti tiravi indietro. Soltanto ieri ti ho sentito chiedermi di fermarmi con tanta disperazione...se devo essere completamente sincero, stanotte ho dormito solo un paio di ore. Ero attanagliato dal pensiero di averti rovinato, e di averti fatto seriamente del male. Non voglio essere un carnefice, io sono....un dominatore, niente di più.- pronuncia le ultime parole come se fossero una rivelazione, anche per sé stesso. Dà un'occhiata velocissima al suo orologio da polso e poi mi si rivolge nuovamente:
-Senti, tra poco dobbiamo uscire, e dobbiamo ancora finire di mangiare. Ora che sono sicuro al cento per cento del tuo consenso e del tuo coinvolgimento mentale nella situazione, possiamo stabilire delle parole di sicurezza. Ne abbiamo bisogno quattro: devono sostituire "prosegui", "rallenta", "fermati subito" e "ho bisogno di una pausa". Spesso durante le sessioni più pesanti le condizioni non permettono di elaborare frasi complete, e risposte come "sì, ancora, no, basta", come hai anche detto prima, sono spesso dettate dall'istinto. Deve essere qualcosa di semplice e corto, che tu possa ricordarti sempre.-
Ci penso su per qualche secondo, ma non mi viene in mente nulla. Alzo le spalle con fare triste, chiedendogli consiglio.
-Gli evergreen sono verde, giallo e rosso, come il semaforo. Sono molto chiare, e sono parole che non possono venir confuse con nient'altro. Mentre per le pause, si può utilizzare un semplice "stop". Se non dovessero funzionare, si possono cambiare. Sei d'accordo?- mi domanda con un'espressione seria. Annuisco convinto, ma a Jeon non basta.
-Ho bisogno che inizi a parlare di più. Ho bisogno di sì e no più decisi e convinti. Non posso rischiare di nuovo di perderti. Ripeti nel modo corretto. - mi istruisce. Inizio a muovere la testa, ma mi fermo quasi subito, aprendo invece la bocca e lasciandomi sfuggire un delicato:
-Sì. Sì, sono d'accordo. Penso che quelle parole di sicurezza siano perfette. -
Finalmente sorride con i suoi tenerissimi dentini sporgenti, e mi bacia le nocche in un moto di felicità. Spazzoliamo i rimasugli di cibo in un boccone, e ci alziamo, pronti per una nuova giornata di lavoro. Più sicuri, più vicini. É stato bello parlare con lui, dovremo farlo più spesso. Mi sento più leggero, come se insieme alle parole avessi vomitato anche un grosso macigno che mi pesava sul petto. Jeon sapeva cosa pensavo in quei momenti, e in parte ora anche io, e quei suoi impenetrabili occhi neri mi sembravano improvvisamente più chiari, dolci come caramello. Una volta soli in ascensore, Jeon si abbassa a darmi un fievole bacio sulle labbra, quasi a suggellare il nostro patto segreto. Verde, giallo, rosso, stop.

STAI LEGGENDO
MY MASTER -KookV-
Fanfic-F-fa...male...- gemo quasi senza accorgermene, sentendo la mia pelle bruciare e tendersi. -Stai cercando di dire qualcosa, Taehyungie?- chiede lezioso, allungandomi un altro colpo di frusta. Scuoto la testa stringendo i denti. -Vuoi che ti elenchi...