La mattina dopo, quando mi sveglio, Jeon è sparito. Una breve gita fuori dalla porta della camera da letto mi comunica che è già nel suo ufficio, chiuso a chiave immagino, a parlare fitto fitto al telefono. Dato che non mi è stata lasciata una lista di mansioni, mi cambio con tutta calma, rifaccio il letto, e poi scendo al piano di sotto, deciso a trattarmi bene con una colazione dignitosa. Mi preparo un the caldo alla vaniglia, e trovo dei cereali sepolti nella dispensa, insieme a uno yogurt alla fragola nel frigo. Mi soffermo in cucina a mangiare, assaporando il silenzio della villa vuota e la totale solitudine che mi avvolge. Le domestiche mi stanno simpaticissime e sono adorabili, ma ogni tanto anche stare da solo è apprezzabile.
Dopo aver lavato la mia tazzina, e quella di Jeon, sbattuta disordinatamente nel lavandino, decido di spolverare un po' la casa, dato che durante la nostra assenza si sarà sicuramente riempita di polvere. Preferisco di gran lunga pulire e fare il mio lavoro, piuttosto che annoiarmi da qualche parte in giardino seduto in salotto. Mi diletto con l'aspirapolvere e lo straccio, in tutte le stanze, e mi fermo soltanto per preparare il pranzo di Jeon. Mi invento qualcosa sul momento con quel che trovo, e impilo il tutto su un vassoio. Davanti alla porta dell'ufficio, busso un paio di volte, sicuro di trovarla chiusa, e invece la maniglia non fa resistenza contro il mio gomito, e mi lascia entrare senza difficoltà.
-Le ho portato il pranzo.- comunico, cercando di sembrare allegro.
-Lascialo lì.- indica un punto indefinito della scrivania disordinata, continuando a battere al computer senza alzare lo sguardo.
-Posso esserle d'aiuto in qualche modo?- chiedo mentre mi sbraccio per trovare un posticino. Non mi risponde. Mi dileguo silenziosamente e chiudo la porta con cura.
"Respira Taehyung. Calmati." penso, appoggiato contro al muro del corridoio, con gli occhi già lucidi. Vado a distrarmi in lavanderia, dove le macchine di vestiti puliti mi attendono per essere stese. Stiro qualche abito rimasto lì da prima del viaggio, e così passano un altro paio d'ore, per cui mi dirigo nuovamente in cucina per preparare il caffè del pomeriggio. Ripeto la stessa tiritera, e ricevo il medesimo trattamento, per cui mi limito a recuperare il vassoio (quantomeno, ha mangiato ciò che ho preparato senza lamentarsi) e ad andarmene con la coda fra le gambe. Quando le mansioni classiche in casa iniziano a scarseggiare, decido di riordinare le cose più inutili, a partire dalla grossa libreria del piano terra. Rimetto tutti i volumi in ordine alfabetico per autore e per titolo, e poi mi siedo sul bancone della cucina ad attendere l'ora di cena, ormai privo di ogni cosa da fare.
Servo l'ennesimo pasto in silenzio, e quando ficco la testa fuori dalla porta della cucina per vedere a che punto è con il piatto, lui se n'è già andato, mollando metà della bistecca sul tavolo. Sparecchio in velocità e preso dalla rabbia lancio il piatto nel lavandino, rompendolo. Impreco, e mi rimetto a pulire, di nuovo. Quando tutto è lucido e splendente e i cocci del piatto sono stati nascosti nella spazzatura, decido di chiudere la giornata e andare a dormire. Salgo le scale stiracchiandomi, pregustando già una nottata di sonno profondo. Afferro la maniglia della porta della camera e la scuoto, ma questa non si smuove. Provo a spingere più forte, mettendo pressione con tutto il corpo, ma nulla, non vuole aprirsi. Tiro ancora un paio di volte, e faccio forse un po' troppo baccano perchè la porta dell'ufficio si apre, e ne esce Jeon, con la nuova e perenne espressione neutrale ed annoiata, che mi fissa come se fossi matto.
-Vieni.- dice soltanto, prima di incamminarsi giù per il corridoio buio, lontano dalla camera. Supera anche la lavanderia, e altre due porte chiuse, prima di mostrarmi una stanzetta minuscola che non avevo mai visto. Dentro c'è solo un letto a una piazza che ricorda più una brandina del militare, un comodino con una lampada, un appendiabiti e una finestrella che non si può aprire delle dimensioni di un foglio. Riconosco i miei vestiti appesi, e alcuni dei miei oggetti sul comodino: ho un tuffo al cuore.
-Ma...- cerco di ribattere, ma vengo zittito immediatamente da uno scocciato:
-Buonanotte.-
Jeon si allontana e torna a rinchiudersi nel suo studio, mentre io rimango solo come un cane nel corridoio buio, davanti a quella camera che sembra più una prigione. Mi chiudo dentro e mi cambio, infilandomi poi nel lettuccio scomodissimo e con le coperte che sembrano di cartone. Resto a guardare il muro fino a quando fuori non è buio pesto, e poi inizio a piangere, bagnando tutto il finissimo cuscino. Piango fino a quando gli occhi non mi bruciano e il naso non mi cola in modo orrendo, e poi miracolosamente mi addormento, distrutto dalla giornata.
I giorni seguenti non cambiano di una virgola, resto solo per la maggior parte del tempo, e mi viene data una mansione per giorno, giusto per tenermi occupato.
"Il giardino ha bisogno di una messa a nuovo" mi aveva ordinato il martedì. "La macchina deve essere lavata e devi spazzare la soffitta" era stato il compito del mercoledì. "Vai in cantina e riordina tutto quanto" mi aveva invece detto il venerdì. Non mi era dispiaciuto quest'ultimo compito, i sotterranei della casa erano talmente sporchi e talmente disordinati che sono riuscito ad occupare l'intera giornata soltanto con essi. Ma oggi è sabato, e io inizio ad essere stufo. Darei qualsiasi cosa per avere un briciolo di attenzione, una punta di contatto umano. La maggiore vicinanza che riesco ad avere con lui è poter lavare le posate che si ficca in bocca e respirare la sua stessa aria quando gli porto i pasti. Mi andrebbe bene anche un altro schiaffo, un pugno in pieno viso, qualsiasi cosa. Non mi metterei nemmeno a piangere, lo giuro.
Purtroppo la mia insofferenza è piuttosto trasparente, e si insinua in tutte le cose che faccio. Mi faccio più rude, sono rumoroso, non rispondo alle chiamate, e sbatto le cose senza neanche guardare dove le appoggio. É l'ora del caffè pomeridiano, e mi dirigo a grandi passi, sbattendo i piedi, verso la stanza infernale. Busso, attendo risposta, entro, e penso bene di sbattere violentemente la tazzina vicino a dei fogli, lasciando così cadere alcune gocce di schiuma sugli incartamenti. Sicuro che Jeon non se ne accorgesse minimamente, dato che non mi guarda in faccia da giorni, non me ne preoccupo, e raccolgo le stoviglie del pranzo impilandole a caso sul vassoio e facendole rotolare ovunque. Mi allontano di qualche passo continuando a strascicare i piedi annoiato, ma un rumore assordante alle mie spalle mi fa saltare sul posto e drizzare le spalle in una posizione degna di un soldato. Mi giro lentamente. Jeon ha dato un pugno alla superficie, così forte da far rovesciare completamente la tazzina, e il caffè si sta lentamente spandendo in una grossa macchia sul pavimento. Si alza di scatto, puntando i palmi sulla scrivania con un botto fragoroso. Respira pesantemente, il petto che si alza e si abbassa ritmicamente, facendolo tremare tutto.
-Fila in camera da letto. La mia.- sibila indicando la porta dell'ufficio con il braccio teso. Trotterello via alla velocità della luce chiudendomi subito nella stanza che tanto mi mancava, e lo aspetto in piedi davanti al letto. Non oso sedermi, e non tocco nulla. Dopo qualche minuto sento la porta aprirsi dietro le mie spalle, per poi ritornare subito al suo posto. Fa girare la chiave due volte; un brivido si fa strada dalla nuca e mi scivola sulla schiena. Mi gira intorno silenzioso, appoggia una bottiglia di vino rosso della dispensa sul comodino, insieme ad un calice e un apribottiglie, e si siede sul bordo del letto.
-Spogliati.- ordina senza prestarmi molta attenzione, più concentrato a spellare l'alluminio che sigilla la bottiglia. Inizio a levarmi la cravatta in un angolo della stanza e slaccio i primi bottoni della camicia, quando mi rivolge uno sguardo annoiato, ed elabora, indicando il pavimento:
-Più lentamente. Qui davanti.-
Non pensavo volesse uno spogliarello in prima regola, ma lo accontento di buon grado, eliminando ogni singolo indumento che indosso, lasciandoli scivolare per terra con innocente sensualità. Una volta nudo, attendo ulteriori istruzioni in piedi dove mi sono spogliato.
-I polsi.- richiede mentre fruga fra le sue cose. Li allungo davanti a me, uniti fra loro, pronti per essere legati. Dopo pochissimo, una fascetta da elettricista di plastica nera mi avvolge le carni, così stretta che per un secondo penso mi possa tagliare la circolazione. Jeon torna al suo posto, e inizia a spiegare, lentamente e stranamente calmo, rigirandosi fra le mani il bicchiere di vino che nel frattempo si è versato:
-Penso che tu sappia perchè siamo qui. Questa punizione sarà particolarmente lunga, siccome gli errori che hai commesso negli ultimi giorni sono praticamente incalcolabili. Ti spiegherò a mano a mano che andiamo avanti, tanto dimenticheresti il resto delle istruzioni prima della fine. - sbuffa e alza gli occhi al cielo – Inizieremo con una sessione di spanking sulle mie ginocchia, con questo strumento.- mi alza davanti al viso una lingua rigida di pelle decorata sul bordo da borchie piatte di metallo. È poco più larga di una mia mano, e ha un manico abbastanza grosso, per poterla impugnare a dovere.
-Si chiama paddle. Non è così terribile, abbiamo fatto di peggio. Dopo ogni colpo dovrai ringraziarmi, e non c'è bisogno che tu tenga il conto questa volta. Direi che venti colpi sul fondoschiena sono adatti alla situazione. Le parole di sicurezza le sai, cominciamo?- domanda pattandosi le ginocchia con la mano. Annuisco e mi sdraio con il busto sui suoi pantaloni, le mani legate che ciondolano davanti al mio viso, e le gambe puntate per terra con forza a tenere il sedere in alto.
-Puoi anche rilassarti, lo trovo anche se non me lo metti in faccia.- commenta dandomi una pacca sulle fossette di venere per farmi abbassare e piegare le ginocchia in una posizione più comoda. Il primo colpo è quasi leggero, niente di terribilmente doloroso: lo paragonerei alle sue mani, il cane e il gatto a nove code erano molto peggio. Aspetta il ringraziamento con il braccio alzato, già pronto per il secondo colpo, e io mi affretto ad obbedire dicendo ad alta voce:
-Grazie Padrone.-
Riesco a superare la prima punizione senza troppi problemi, già abituato a molto peggio, e mi lascio scappare anche un paio di gemiti tra una botta e l'altra, ringraziando da bravo ragazzo come ordinato. Intorno al diciassettesimo colpo la pelle inizia a tirare, ma stringo i denti e non gli chiedo di fermarsi.
-Wow, pensavo di metterci molto di più, invece sei stato incredibilmente calmo. Bravo.- commenta carezzandomi brevemente i capelli prima di farmi alzare. Mi basta quel minimo contatto affettuoso per ricominciare a sbavare per lui come un cane, richiedendo altre attenzioni. Si assenta di nuovo, per andare a prendere chissà cosa, e si ripresenta in camera dopo qualche minuto trascinandosi dietro una lunga spranga di ferro che sembra davvero pesantissima. Mi fa segno di sdraiarmi sul letto a pancia in su, lascia scivolare la spranga sul fondo del materasso e afferra altre fascette di plastica, che utilizza per legare le mie caviglie al tubo congelato, in modo da avermi a gambe aperte, con le ginocchia piegate, e con la mercanzia in bella vista. L'istinto è quello di coprirmi, ma sono legato come un salame, e i miei arti sono completamente inutili.
-Passiamo alla seconda punizione, mh?- sorride finalmente, e avvicina le dita alla fibbia della cintura, iniziando a slacciarsela. Per poco il cuore non mi salta fuori dal petto, ma quando vedo che i pantaloni gli restano addosso torna al suo posto.
-Non abbiamo ancora usato questa.- agita la cintura piegata in due per aria -Può avere dei risvolti interessanti. Ci divertiamo a fustigare un poco questo corpicino candido, che ne dici?-
Lascia scivolare la pelle scura sulla mia pancia, attendendo una risposta.
-Dico che non vedo l'ora...- mormoro mordendomi le labbra e aspetto la prima stilettata, che ovviamente non si fa attendere, dritta dritta sulla coscia destra. La prima striscia di pelle rossa emerge, e viene presto seguita da molte altre, che mi attraversano il busto, le gambe e le braccia. Quando si sovrappongono creano dei deliziosi disegni viola ed emaciati, che penso non spariranno per un bel po' di giorni. Forse riuscirò a tenermeli addosso addirittura per una settimana. Riesco a sopportare incredibilmente bene pure questo dolore, forse aiutato anche dalla lunghissima astinenza a cui mi aveva sottoposto il mio violento capo. Ormai il mio corpo attendeva le botte come un bambino attende il Natale o il giorno del suo compleanno. Ogni livido era un bellissimo regalo, e se fosse stato per me mi sarei fatto marchiare a fuoco con il suo nome in mezzo alla fronte senza pensarci due volte. Noto Jeon leggermente annoiato, nonostante la mia partecipazione vocale alla scena. Evidentemente sperava di farmi molto più male di così, e non lo sto soddisfacendo a dovere. Infatti si ferma, fissa la cintura, la gira dall'altro lato e osserva la fibbia di pesante metallo luccicante da ogni angolazione. La alza con uno sguardo interrogativo, come a chiedermi il permesso, e io ovviamente annuisco immediatamente. La affonda su di me con forza inaudita, strappandomi lunghi e acuti guaiti doloranti. Lo vedo accendersi, quella fiammella di sadismo che lo illumina di solito manda a fuoco i suoi occhi: ha trovato il giochino giusto. Mi riempie di lividi scuri e profondi, rompendo l'epidermide in alcuni punti. Il bruciore aumenta fino a diventare quasi insopportabile. Quasi.
Senza preavviso, mi avvolge la cintura intorno al collo, fa passare l'estremità nella fibbia, proprio come se dovesse chiuderla e tira con violenza. Mi strozza con brevi pause per farmi riprendere fiato, e io gemo rumorosamente ogni volta che l'ossigeno mi viene meno. Non mi interessa che non mi abbia chiesto il permesso, bastano la mia bocca aperta e la saliva che mi cola sul mento ad accettare al mio posto, a dargli la libertà di fare quello che gli pare con il mio corpo. In un momento di lucidità ringrazio che non ci sia nessuno in casa, perchè il baccano che stiamo facendo in pieno pomeriggio non sarebbe di certo passato inosservato. Quando inizio a sentirmi la testa leggera e i primi sintomi di un prossimo svenimento si presentano, riesco a gracchiare:
-Rosso...- e alzo anche le mani, in caso non mi abbia sentito. Vengo liberato dell'improvvisatissimo collare, e mi fermo a respirare per un momento. Mentre mi prendo la mia meritata pausa, Jeon si toglie la giacca e la lancia sul pavimento, per poi arrotolarsi le maniche della camicia fino agli avambracci. Non ha finito con me.
-Ho...ho la gola secca..- gracido aprendo la bocca come un uccellino. Lui si sporge a prendere il suo bicchiere di vino ancora pieno, e me lo poggia contro le labbra, lasciandomi lubrificare le corde vocali stanche e usurate dalle grida. Un po' della bevanda mi cola sul mento e corre sul mio petto, e Jeon si abbassa a pulirmi con la sua calda lingua. La vicinanza è tale che riesco a sentire la sua erezione premermi contro lo stomaco. Mi agito, quel poco che mi è permesso, per strusciarmi contro di lui e aiutarlo ad allentare la tensione nei pantaloni. Geme profondamente, lasciando crollare la testa nell'incavo del mio collo. È frustrato tanto quanto me.
-Padrone, la prego...mi scopi. Liberi tutta la sua frustrazione sul mio corpo.- mormoro nel suo orecchio, spingendomi ancora di più contro le sue cosce. Ma non sembra convinto, si trattiene e resta a respirare contro la mia pelle.
-Può fare tutto quello che vuole...non deve chiedermi il permesso. Si sfoghi, sono il suo giocattolino...- lo sprono ancora, sperando in una reazione. Evidentemente le mie parole fanno scattare qualcosa, perchè si alza con un salto e inizia a slacciarsi i pantaloni con le mani che tremano dall'eccitazione. Quando non riesce a liberare il bottone per la terza volta, allungo le braccia verso di lui, riuscendo ad afferrare un lembo della sua camicia e lo tiro, chiedendo con lo sguardo più supplicante che riesco a fare:
-La voglio spogliare io...mi sleghi, per favore.-
Mi fissa con gli occhi liquidi e le pupille dilatate come quelle di un drogato, prima di afferrare freneticamente l'apribottiglie, estraendone la lama e tagliando la plastica che mi immobilizzava. Mi massaggio brevemente i polsi segnati e purpurei prima di fiondarmi sulla sua camicia, aprendogliela fino a metà per poter infilare le mani sotto la stoffa e lasciarle correre sul suo petto largo e liscio di cui ho sentito tanto la mancanza. Bacio la sua pelle e passo la lingua su ogni piccolo neo, riuscendo a sentire finalmente il suo sapore nella mia bocca. Mi libero poi dei pantaloni e dei boxer, ormai strettissimi. Mi sputo sui palmi e lo lubrifico con la saliva, masturbandolo piano mentre mi fiondo sulle sue labbra, che mordo fino a farle gonfiare. Non ho intenzione di avvicinare la bocca alla sua erezione, sta già scoppiando così, non voglio infierire. Quando inizia a cercare con le dita il mio orifizio, gli allontano la mano gentilmente. Voglio che entri dentro di me senza nessuna preparazione, voglio che faccia male, per essere sicuro che tutto ciò sia vero e non frutto della mia fervida immaginazione. E per una volta esaudisce i miei desideri, e mi accontenta senza lamentarsi troppo. I primi centimetri sono i peggiori e mi fanno artigliare le coperte, ma presto iniziamo a muoverci in sincrono senza nessun problema. Mi era mancato.
Le sue mani mi afferrano con forza i fianchi, le sue unghie mi dilaniano la carne; domani avrò i suoi palmi su tutto il corpo, e non potrei essere più felice. Dopo le prime spinte animalesche, l'atteggiamento posato e autoritario che ha avuto nei giorni precedenti lo abbandona completamente per lasciar posto alla bestia che diventa quando mi ha fra le grinfie. Mi prende i capelli nel pugno, attacca la mia fronte sudata alla sua, gemendo sulle mie labbra, e pianta i suoi occhi nei miei, che con questa luce soffusa, che riflette sulle coperte di seta, sembrano vermigli come quelli di un vampiro. E mi ricorda ancora di più un qualche tipo di creatura mitologica mostruosa quando si abbassa a mordermi una spalla con forza, lasciando i segni dei denti impressi nella pelle. Fissa con un mezzo sorriso il marchio lasciato dalla sua bocca, e decide di lasciarne altri, un po' ovunque. Si diverte a nutrirsi di me, e per un secondo mi sembra di essere fra le braccia di un irresistibile cannibale. Mi lascio prendere dal momento e attacco le labbra al suo collo, succhiando avidamente la pelle e lasciando le mie tracce scure anche sul suo di corpo. Il sapore salato del sudore mi solletica le papille gustative, e mi sembra di non poterne avere mai abbastanza, per cui scendo sul petto, ancora mezzo coperto dalla camicia, e mi cibo anche di questa porzione di pelle. Quando nota i segni che ho lasciato li accarezza con un dito, compiaciuto, e poi vedo chiaramente un'idea fare capolino nella sua testolina. Se fossimo in un cartone animato in questo momento avrebbe una lampadina sopra il capo che si illumina a intermittenza. Mi osserva dall'alto, e accarezza il mio petto con una mano, disegnando qualcosa di invisibile sulla pelle, per poi affondarci le fauci, succhiando a sua volta con molta forza, continuando a spingere dentro di me, più lentamente ora, per distrarmi dal fastidio momentaneo. Lo lascio fare, accarezzandogli i capelli sulla nuca, e attendendo pazientemente che finisca il suo lavoretto. A mano a mano che la sua bocca si sposta, delle forme fanno la loro comparsa sul mio petto. Quando si allontana asciugandosi le labbra gonfie con il pollice, soddisfatto del risultato, oso guardare in basso: ha formato quattro lettere con una composizione di succhiotti. Ha scritto "Slut".
-Sei la mia puttana...ogni tanto sembri dimenticartene, dovrei fartelo tatuare addosso...- sorride malefico, abbassandosi a baciarmi.
-Mio, mio...sei tutto mio...- continua a blaterare mentre le sue mani vagano sul mio corpo. Mi afferra pezzi di carne, i polsi, stringe le mie mani fra le sue, mi carezza le gambe per tutta la loro lunghezza, continuando a ripetere "mio, mio, mio" come una specie di mantra. Bacia ogni centimetro di pelle libero che riesce a trovare e lecca via il sangue dove continua ad uscire, senza smettere di borbottare fra sé e sé. Le sue mani vaganti si incastrano in qualcosa che era rimasto sulle coperte. Afferra l'oggetto e lo alza per poter vedere di cosa si tratta: è l'apribottiglie, e la lama è ancora fuori. Lo lascia scintillare sotto la luce, e devo ammettere che lo scenario generale è incredibilmente intrigante. La abbassa sul mio stomaco, facendo correre la parte larga intorno al mio ombelico, fino al pube. È fredda, e la sensazione mi fa agitare in leggerissimi spasmi.
-Sai cosa sarebbe davvero carino?- chiede suadente avvicinandola al mio viso. É quasi spaventoso, con quello sguardo ubriaco di sesso, e quella lama fra le mani. Sembra capace di tutto. E completamente, irrimediabilmente, pazzo per me. Mi fisso, riflesso nelle sue pupille profonde, e gli chiedo:
-Che cosa, Padrone?-
-Vorrei tanto incidere il mio nome nella tua carne...così tutti saprebbero che sei mio, e soltanto mio. Per sempre.- sussurra, torreggiante su di me a pochi centimetri dalla mia faccia, appoggiando la punta del coltellino sul mio labbro inferiore e premendo delicatamente, abbastanza da farmene sentire la pressione senza tagliarmi. Respiro affannosamente e appanno il metallo. La mia testa si muove da sola e senza nemmeno accorgermene sto già annuendo, completamente assuefatto da lui e dalla sua presenza dominante. Potrebbe richiedere il permesso di tagliarmi la gola e io non batterei ciglio. Sorride euforico, e si sposta, inginocchiandosi fra le mie gambe, per poi osservarmi, decidendo il posto migliore per la sua operazione. Confido in lui in qualcosa di discreto, e non apro bocca in merito alla decisione, rimanendo immobile come una bambola in attesa. Lo vedo carezzare con due dita l'interno coscia, spostarsi sul pettorale sinistro, all'altezza del cuore e poi nel punto dove la pelle è più tirata a causa del osso del bacino sporgente, accanto al pube. Un sorrisino mi conferma la sua scelta. Si abbassa a pochi centimetri dalla zona, e la bacia a fior di labbra, una specie di addio alla mia integrità. La lama affonda nella mia carne come burro, brucia come fuoco vivo, ma stringo i denti e mi mordo la lingua per zittirmi. É come un tatuaggio, devo solo essere paziente e presto tutto questo finirà. E poi avrò il suo nome su di me. Per sempre.
Continua a incidere concentratissimo, alzando ogni tanto lo sguardo sul mio viso, per controllarmi. Lo incoraggio a completare la sua opera con un cenno del capo. Qualche altro taglio, e inizio a sentire qualcosa di denso colare caldo sulla mia coscia. Spero tanto che abbia finito. Il suo viso si allontana dal mio fianco con uno sguardo di completa ammirazione. Alzo la testa dal cuscino, abbastanza da riuscire a scorgere tra il sangue la sua firma impressa sulla mia pelle: J.J.
Mi lascio andare ad un sospiro di sollievo, ridendo senza fiato con gli occhi rivolti al soffitto. Jeon ricomincia a montarmi, prendendomi il viso fra le mani per riuscire a baciarmi scompostamente. Una, due, tre, mille volte. Affonda le dita nel sangue che continua a scorrere dalla ferita, e me lo spalma su una guancia.
-Senti...senti come sei caldo...- mormora sulle mie labbra, abbassando di nuovo la mano e disegnando un cuore sulla mia pancia con il liquido scuro. Si infila i polpastrelli in bocca, leccando via tutto quanto con gusto.
-Amo tutto di te, anche questo. Siamo una cosa sola adesso, è come se fossi dentro di me.- geme con il viso sporco del mio sangue. Lo raccolgo con un due falangi, e le lascio scivolare sulla sua lingua, lasciando che si sfami della mia linfa vitale mentre ci avviciniamo entrambi pericolosamente all'orgasmo. La sua mano afferra la mia erezione, iniziando a masturbarmi disordinatamente, con i movimenti sconnessi dalla nebbia totale che gli sporca la mente in questo momento. Vengo sul suo palmo con un sospiro roco: senza smettere di darsi piacere con il mio corpo, mi ficca in bocca le dita sporche di seme.
-Assaggiati, sei delizioso.- sussurra, e io succhio obbediente annuendo. La sua lingua si fa strada fra le mie labbra e cerca di raccogliere ciò che mi aveva appena offerto, egoista e avida.
-Oh Dio, sto per venire...- singhiozza con il sorriso più spensierato che gli ho mai visto in volto.
-La voglio nella mia bocca Padrone...- mi allungo per tirarmi su, pronto a riceverlo. Si estrae da me e si punta sulle ginocchia, toccandosi da solo per potermi finire addosso. Accolgo la pioggia di sperma con la bocca aperta, non lasciandomene scappare nemmeno una goccia, e quel poco che mi cola sul petto lo recupero con le dita. Ansimanti e sudati, ci fissiamo, entrambi distrutti e sporchi di fluidi corporei. Noto con orrore che la sua camicia, un tempo bianca, è completamente macchiata sul lato destro di sangue. La indico tremante:
-I-io...mi dispiace..il sangue non va più via.- balbetto. Lui abbassa lo sguardo, e poi scoppia a ridere.
-Dispiacerti di cosa? Non è mica colpa tua! Questa la buttiamo, non importa.-
Si piega a tagliare le fascette che mi tenevano fermi i piedi, e sposta la sbarra per terra, sotto il letto.
-Direi che abbiamo tutti e due bisogno di una doccia...tu inizia ad andare e prepara l'acqua calda, io ti raggiungo subito.- commenta, porgendomi la mano per aiutare ad alzarmi in piedi. Mi gira un po' la testa, ma riesco a camminare abbastanza bene, per cui mi infilo nel bagno con la doccia di vetro, appoggiandomi ai muri per sostegno. Non mi soffermo davanti allo specchio, sicuro di essere uno spettacolo orribile. Mi butto subito sotto il getto d'acqua, tiepida e non troppo forte, e mi soffermo a fissare il sangue scivolare sul piatto di ceramica, formare dei piccoli turbini rossi, e poi scivolare via nello scarico. Uno spiffero di aria fredda mi avverte dell'arrivo di Jeon, e mi sposto di lato per fargli spazio nel cubicolo. Subito mi abbraccia, stringendomi fortissimo contro il suo petto, un suo modo personale di chiedere scusa, credo. Poi, come al solito, mi aiuta a lavarmi, con estrema gentilezza.
-Dopo ci medichiamo, mh?- chiede ripercorrendo con le dita le innumerevoli ferite che ha provocato lui stesso. Annuisco silenzioso, continuando ad osservare i profondi tagli che mi incidono la pelle del fianco. Ancora non ci credo, e quindi ogni tanto li controllo, per essere sicuro che siano ancora lì. Anche lui li osserva, per poi baciarmi sotto l'acqua corrente mormorando:
-Sei stato coraggiosissimo. Non so come faccio a meritarti.-
E in quel momento mi sento così amato, così completo, che non posso fare a meno di scoppiare a piangere.
-Cosa succede? Ti fa male qualcosa?- chiede subito preoccupato, saltando sull'attenti e controllando ogni mio anfratto per beccare una qualche ferita ancora sanguinante. Scrollo il capo, incapace di fermare le lacrime, e gli sorrido, avvinghiando le braccia intorno al suo collo.
-Mi scusi...sono lacrime di gioia.- singhiozzo, con la testa appoggiata proprio dove il suo cuore batte a ritmi frenetici.
"Anche io amo tutto di lui, lo amo più di ogni altra cosa" penso, ma non lo dico ad alta voce. Non so se quello che balbettava mentre lo facevamo erano verità nascoste o semplici deliri, non voglio neanche sapere la risposta, preferisco crogiolarmi nell'illusione. Spero tanto nella prima.
Usciamo dalla doccia bagnati come pulcini, e ci dedichiamo alla medicazione di tutte le nostre ferite: questa volta anche io posso avere l'onore di donare un po' di aftercare a Jeon, dato che le mie maledettissime unghie l'hanno ridotto male, e il suo labbro non sembra volersi sgonfiare.
-Ops...- ridacchio, mentre ci passo sopra un po' di ghiaccio sportivo in gel, sperando di alleviare il dolore.
-"Ops" lo devo dire io!- risponde Jeon, tirando fuori una garza larga quasi venti centimetri per lato, che si appresta ad applicarmi sui tagli, dopo averli disinfettati e puliti alla perfezione. La sicura con qualche pezzo di scotch adatto all'uso, e mi consiglia di indossare soltanto una t-shirt larga per il resto della giornata, per far respirare i lividi.
-Spero di non dover uscire di casa nei prossimi giorni...- commento tastandomi il collo, attraversato da una striscia spessa rossa, simile ai segni di un impiccato. Jeon mi attacca da dietro, prendendomi in braccio con delicatezza e facendomi girare per distogliere la mia attenzione preoccupata dallo specchio.
-E anche se fosse? Non vuoi esibire i miei regalini in pubblico?- ride.
-Certo che lo voglio, ma non mi piace l'idea che lei possa venir arrestato per violenza domestica, sa! Voglio che rimanga qui...con me...il più a lungo possibile..- balbetto l'ultima frase insicuro, non sapendo bene che tipo di risposta aspettarmi. Ma ricevo un semplicissimo, sorridente e ben gradito:
-Hai ragione, non possiamo farci dividere.-
Quando torno in camera noto che le mie cose sono tornate al loro posto, e che le coperte macchiate di sperma e sangue sono state prontamente cambiate e messe subito da lavare. Felicissimo di non dover fare nulla, mi lancio sul materasso a stella marina, e resto a fissare il soffitto con un sorriso idiota che mi va da un orecchio all'altro.
-C'è un po' di posto anche per me o mi devo sdraiare per terra?- sogghigna Jeon, in piedi accanto al letto. Mi accoccolo su di un lato e gli faccio spazio, per poi avvinghiarmi a lui non appena si sdraia. Gli accarezzo il braccio con le ciglia sovrappensiero, in un tentativo di coccolarmi da solo, e lui capisce immediatamente i miei bisogni, perchè si gira su un fianco in modo da potermi guardare e mi abbraccia, arrotolandosi i miei boccoli sulle dita. È senza maglietta, quindi posso strofinare le guance contro la sua pelle ancora calda dalla doccia e profumata di bagnoschiuma all'arancia, e sbaciucchiarlo all'occorrenza.
-Guardi, se unisce i puntini esce una T...- ridacchio indicando quattro dei succhiotti che gli ho regalato.
-Oh, accidenti, anche io sono stato marchiato!- esclama teatralmente sbattendosi il palmo sulla fronte. I nostri sguardi si incontrano a metà strada: ci sono un sacco di parole non dette nell'aria, posso chiaramente vedere una tempesta passare nei suoi occhi, e probabilmente lui vede lo stesso nei miei, ma nessuno parla. Abbiamo l'uno il nome dell'altro impresso nella carne e non posso fare a meno di pensare ad un giuramento di sangue che potrebbe far impallidire celebrazioni come il matrimonio. Rimaniamo nel silenzio, a morderci le labbra in imbarazzo, fino a quando non ci addormentiamo entrambi, esausti, ancor prima dell'ora di cena.
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MY MASTER -KookV-
Fanfic-F-fa...male...- gemo quasi senza accorgermene, sentendo la mia pelle bruciare e tendersi. -Stai cercando di dire qualcosa, Taehyungie?- chiede lezioso, allungandomi un altro colpo di frusta. Scuoto la testa stringendo i denti. -Vuoi che ti elenchi...