Si guardarono tutti a vicenda, scuotendo la testa e cercando di non incontrare gli occhi del padre. Erano pietrificati, sapevano cosa volesse dire il tono di voce di Mikael, era la promessa di dolore e umiliazione, violenza e sangue.
Esther si mosse esitante, anche lei spaventata di attirare l’ira del marito su sé stessa. “Marito, può essere che ti sia caduto la camp...” Ma non riuscì a finire nemmeno la frase, il braccio di Mikael si mosse veloce come un serpente, tirandole un mal rovescio che la fece indietreggiare di un passo. “I miei coltelli non cadono. I miei coltelli non spariscono. Voglio sapere chi ha rubato il mio coltello da caccia.” La moglie si raddrizzò, guardandolo negli occhi, orgogliosa ma ancora cercando di placarlo. “Mikael, sono certa che lo troveremo domani, al campo.” disse con voce chiara e pacata, cercando di farlo ragionare. Lo udirono grugnire mentre la fissava.
“Vieni marito, mangiamo e andiamo a riposare, domani ritroveremo il coltello e sarà come se non fosse successo nulla.” I fratelli si guardarono tutti di sottecchi, sperando che il padre si calmasse abbastanza da ragionare.
Il cuore di Rebekah le tuonava nella cassa toracica, stringeva ancora la sorellina, seduta sulle sue ginocchia, al petto, quasi a renderla uno scudo dalle occhiate malevole del padre. Anche la bambina si era acquietata, come una piccola lepre uscita per la prima volta dalla tana, in attesa di vedere se un predatore l'avrebbe catturata. Il suo corpicino tremava leggermente, irrigidito dalla paura e dall'ansia che sentiva all'interno della casa.
Gli scoppi d’ira di Mikael non erano rari, ma era la prima volta, che potesse ricordare almeno, che lo vedeva così furioso.
Esther allungò invitante una mano, cercando di convincere il marito a sedersi al tavolo per mangiare. Piano, la schiena dell'uomo, si sciolse, i muscoli fino ad un attimo prima rigidi per l'imminente violenza si rilassarono, ma la sua voce era ancora livida, più un sibilo che altro. “Se entro domani sera non ritroverò il mio coltello, nulla che dirai potrà fermarmi, donna.”
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Finn si stese lentamente sulla schiena trattenendo un gemito sofferto alla  fitta che gli dava la parte bassa della schiena. Stare chini tutto il giorno era sfiancante in più di un modo. Il braccio destro gli faceva male per averlo oscillato tutto il giorno, la mano sinistra era piena di piccoli tagli procuratigli dalle spighe e dalle loro foglie, il collo gli bruciava dove non era rimasto protetto dalla camicia e dal cappello di paglia.  Aveva diverse abrasioni sulle gambe e il ginocchio e l’anca destra protestavano per essere state piegate per troppo tempo e, anche se i suoi robusti stivali lo avevano protetto, era sicuro di avere una piccola piaga sull'avampiede.
Tirò un profondo respiro, cercando di rilassare la schiena e sentendo una vertebra che scricchiolava. “Pensi che troverà il coltello?” gli chiese Elijah, disteso di fianco a lui nel pagliericcio che dividevano. La sua voce era debolissima, tanto che se non fosse stato disteso a pochi palmi di distanza non l'avrebbe sentito.
Anche lui era preoccupato per la faccenda del coltello, ma era sicuro che la madre avesse ragione, probabilmente se ne era dimenticato alla fine di una lunga giornata di lavoro e lo avrebbero ritrovato la mattina dopo, quando sarebbero tornati tutti a lavorare. “Sono fiducioso che lo ritrovi” mormorò anche lui “lo spero almeno, non voglio pensare a cosa farà se non lo trova” disse poi con voce incerta. La verità era che quel coltello era più vecchio di lui, suo padre non se ne separava mai. Lo aveva portato con sé dal Vecchio Mondo, lo usava ogni giorno, ne controllava il filo come una specie di passatempo, un rituale. Era strano che lo avesse perso sbadatamente mentre lavorava.
“Se non lo ritrova demolirà la casa con noi dentro.” sentenziò infine il fratello minore. Elijah sospirò e poi si voltò dando le spalle a Finn e abbracciando il sottile cuscino. “Spero solo che non ci faccia troppo male.” disse dolcemente mentre cercava di addormentarsi.
Finn rimase sveglio ancora per un po', troppo stanco per dormire e troppo preoccupato da quello che sarebbe potuto succedere l’indomani.
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“Kol, tu ne sai niente? Del coltello intendo.” borbottò Niklaus muovendo a mala pena le labbra. Era spaventato a morte. Era il capro espiatorio di Mikael da quando riusciva a camminare, qualunque cosa andasse storta nella loro famiglia sembrava fosse sempre colpa sua, se riusciva a prendere più prede rispetto ai fratelli era arrogante e si voleva mettere in mostra in mostra, se sbagliava un tiro o non riusciva a bloccare un attacco allora era un incapace buon annulla. Perfino cose del tutto fuori da suo controllo diventavano un motivo per picchiarlo. Una ciotola cadeva dal tavolo e Niklaus sarebbe stato schiaffeggiato per la sua sbadataggine, non importava che non fosse stato lui ad appoggiare la ciotola.
Perfino il suo amore per la pittura e per l’intaglio erano un buon motivo, secondo suo padre, per dimostrare la sua incapacità, la sua debolezza. E per Mikael la debolezza era un crimine, un crimine di cui i suoi figli non si dovevano macchiare. 
Il solo pensiero di cosa gli avrebbe fatto Mikael se non avesse trovato il coltello lo faceva tremare. Quasi sperava che uno dei suoi fratelli confessasse di averlo preso. Non voleva che picchiasse i suoi fratelli, ma aveva paura. L'ultima volta che Mikael aveva deciso che meritasse una lezione lo aveva preso a pugni fino a farlo cadere a terra e poi aveva continuato a calciarlo fino a incrinargli una costola; aveva urinato sangue per diversi giorni   dopo quel pestaggio. Rebekah e Kol erano riusciti a fermarlo appena in tempo, non era sicuro che si sarebbe fermato prima di procurargli danni interni. Lo avevano convinto che sarebbe stato più utile se fosse rimasto tutto intero e capace di lavorare.
Kol scosse piano la testa, guardando le ombre e le luci che si riflettevano negli occhi dilatati di Niklaus. “No, non sono stupido, non toccherei mai i suoi coltelli senza permesso” rispose piano, esitante. “Ama quei coltelli più di tutti noi messi assieme.” continuò lentamente. “Credo li ami più della sua stessa vita, come fossero un dono degli dei in persona, se li porterà nel Valhalla quando morirà. Sempre che uno come lui possa morire.” Delicatamente, cercando di non far frusciare le coperte, appoggiò una mano sulla spalla del fratello maggiore. “Lo troveremo domani, vedrai che lo troveremo.”
Nik annuì a scatti, con la mascella serrata dalla paura che gli scorreva come bitume nelle vene, corrodendo tutto ciò che incontrava nel suo passaggio. Serrò gli occhi nella speranza che il sonno lo prendesse velocemente, concedendogli il meritato riposo e la dolce sospensione dall'ansia che lo divorava.
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Rebekah strinse più forte il cuscino, le ginocchia strette al petto, la testa nascosta sotto le pellicce. Le lacrime di rimpianto che aveva trattenuto dal pomeriggio le scorrevano liberamente dagli occhi, bagnando il tessuto sotto la sua guancia.
Ascoltò il lieve russare della sorella, i morbidi fruscii prodotti dai suoi fratelli, il rumore di piccoli animali che correvano tra la paglia sul pavimento di terra battuta.
Avrebbe dovuto dire qualcosa, avrebbe dovuto fingere di trovare il coltello da qualche parte lungo la strada verso casa anziché nasconderlo. Perfino confessare il furto sarebbe stato meglio che questo. Suo padre era furioso, sembrava aver perso la sanità mentale mentre lanciava le loro cose in aria.
Erano tutti così preoccupati, si erano guardati di nascosto per tutta la sera, chiedendo silenziosamente risposte e cercando di capire cosa fa. La parte peggiore era stata vedere Nik che sobbalzava per qualunque movimento del padre, la paura chiaramente incisa sul suo volto. Come aveva fatto a non rendersi conto che sarebbe stato lui a pagare la sua stupidità? Era sempre stato lui  a ricevere i pestaggi peggiori. Alle volte anche se non era assolutamente colpa sua.
Come la volta in cui Kol e il padre si stavano esercitando con le spade vere e il fratello si era tagliato, il padre aveva accusato Nik di averlo distratto. Nik si stava esercitando con Elijah, non era nemmeno vicino a Kol in quel momento! Eppure, il padre gli aveva tirato un pugno per la sua sfacciataggine quando aveva cercato di difendersi dalle accuse di Mikael, allentandogli uno dei denti.
Niklaus era sempre quello preso in mezzo, che avesse fatto qualcosa o meno. Perché non ci aveva pensato prima di rubare il coltello?
Altre lacrime le scivolarono dagli occhi. Era un'egoista, una sorella orribile. Se mai i suoi fratelli avessero saputo cosa aveva fatto non le avrebbero parlato mai più. Avevano da tempo deciso di difendersi a vicenda dagli abusi di Mikael, di cercare di distrarlo, di fermarlo quando cominciava a picchiare uno di loro. E adesso lei, con la sua egoistica decisione, aveva scatenato il mostro direttamente nella loro casa.
Pensò di sgattaiolare fuori dalla capanna per recuperare il coltello e magari lanciarlo sul sentiero, ma avrebbe dovuto attraversare tutta la capanna senza svegliare qualcuno e, con la tensione che c’era in casa, nessuno di loro avrebbe dormito profondamente quella notte. Forse avrebbe potuto recuperare il coltello la mattina prima di partire per i campi e farlo cadere da qualche parte al lato del sentiero.
Si rannicchiò più strettamente intorno al cuscino e sprofondò lentamente in un sonno fatto di sangue, dolore e rimpianto.
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Henrik stava raccogliendo e ammucchiando il grano mentre seguiva Niklaus. Vedeva la schiena piegata del fratello, il sudore gli incollava la camicia al corpo, i capelli tirati indietro da un laccetto di cuoio spuntavano dal cappello che si era fatto con la paglia. Si muoveva in modo rigido, guardingo. Non aveva ancora sorriso.
Niklaus era un'anima dolce, sorrideva sempre, abbracciava tutti, rideva anche quando lo prendevano bonariamente in giro. Ma quel giorno non aveva sorriso nemmeno una volta. Gli occhi distanti, le mani che lavoravano meccanicamente, le rughe attorno agli occhi. Era così teso e nervoso che quasi si poteva percepire la sua paura, come nebbia che gli si irradiava intorno.
Avevano lavorato tutto il giorno e nei momenti di pausa avevano cercato quello stupido coltello ovunque. Henrik e Hilda avevano anche chiesto l’aiuto dei loro amici per cercarlo. Ma non era ricomparso da nessuna parte.
Quando Hilda aveva cercato di convincere il padre che magari erano stati i folletti a rubargli il coltello lui l’aveva schiaffeggiata in pieno viso, davanti a tutti gli abitanti del villaggio che erano venuti a lavorare i campi. Si era calmato solo quando Esther si era messa in mezzo, facendo da scudo alla piccola. Non avrebbe rischiato di picchiare la moglie in pubblico.   Non con così tante persone libere che avrebbero potuto testimoniare l’accaduto all’assemblea che si teneva ogni tre mesi.
Erano tutti tesi, ma Niklaus sembrava pronto a fuggire o a scoppiare in lacrime da un momento all'altro. Sapevano tutti che se non avessero ritrovato quel coltello, Mikael se la sarebbe presa con il fratello di mezzo.
Il sole stava cominciando a discendere dal suo zenit, e la tensione per i figli di Mikael stava raggiungendo livelli pericolosi. Avevano cominciato ad arrabbiarsi l’uno con l’altro, accusandosi a vicenda, rinvangando azioni e frasi del passato. Henrik aveva addirittura visto Kol spingere Elijah poco prima .
Mikael lavorava come al solito, imperturbabile alla tensione che il resto della famiglia provava. Sembrava calmo, ma se lo si fosse guardato attentamente si sarebbe potuto notare la mascella serrata, la tensione nei muscoli che non derivava dal lavoro manuale, il modo in cui i movimenti risultavano a scatti anziché fluidi.
Niklaus non aveva parlato con nessuno di loro dalla sera prima.  Anche gli altri uomini si erano tenuti lontani da lui, consapevoli che qualcosa non andava nel suo comportamento.
Henrik continuò a raccogliere il grano ammucchiandolo in mucchietti triangolari, simili alle capanne dei Skraeling      che abitavano quelle terre prima del loro arrivo, che poi legava con della paglia lasciando le spighe con la testa piena di semi in alto.
Avrebbe preferito continuare a lavorare tutta la notte piuttosto che tornare a casa.
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Quando gli altri uomini cominciarono a raccogliere i loro attrezzi e radunare i loro famigliari per tornare alle loro case i figli di Mikael capirono che avevano finito il tempo. Cercarono di prolungare il più possibile il momento raccogliendo lentamente le loro cose, ripiegando i farsetti scartati, controllando i lacci degli stivali, qualunque cosa pur di non tornare a casa.
Milkael li stava fissando tutti, le braccia incrociate sul petto, i bicipiti tesi.
Esther, Rebekah e Hilda si avviarono lentamente verso casa, silenziose, con le braccia cariche di cesti e fagotti. Il loro pensieri si rincorrevano come cani che inseguono la propria coda. Era tutto il giorno che temevano quel momento.
Finn si avviò dietro le donne, la schiena rigida e le braccia strette al petto. Pian piano anche i suoi fratelli lo seguirono. Più che il felice ritorno a casa dopo una dura giornata di lavoro sembrava una processione funebre. Uno dietro l’altro, in silenzio, con le teste abbassate a guardare il terreno, i corpi rigidi e le espressioni congelate. Elijah si mise dietro gli altri fratelli, una barriera tra loro e lo sguardo furioso del padre che chiudeva la fila.
Solo il giorno prima avevano scherzato e riso, pregustando il bagno nel fiume a fine giornata. Kol si era lanciato nell'acqua non appena si era tolto gli stivali di cuoio, cercando di schizzare i fratelli maggiori, Nik si era incantato a guardare il sole che si rifletteva in una conca piena d’acqua dove una famigliola di lontre pescava piccoli pesciolini argentei. Henrik aveva raccontato i pettegolezzi che aveva sentito fare alle donne del villaggio durante la giornata mentre sguazzava a piedi nudi e Finn si era rilassato, steso sul greto del fiume con l’acqua che gli lambiva i pantaloni e la camicia, almeno fino a quando Kol non aveva cercato di annegarlo trascinandolo dove la corrente era più veloce e il fondale più basso. Erano stati così felici, solo il giorno prima erano stati felici.
Adesso sembravano pronti a piangere un caro estino.
Mikael tirò bruscamente le pelli che chiudevano la capanna, facendola piombare nella semi oscurità. La sua voce rimbombo, bassa e beffarda. “Allora, il mio coltello?”   
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Klaus tremava, non riusciva a sollevare la testa per guardare il padre e i fratelli, anche se sapeva che questo era un segno di debolezza, un comportamento che sicuramente avrebbe indispettito maggiormente Mikael. Aveva così paura di vedere cosa sarebbe successo che quasi chiuse gli occhi.
Elijah si mise al suo fianco, spostandolo leggermente dietro di sé con la spalla. Il suo caro fratello, sempre così benintenzionato. Non si rendeva conto che il suo cercare di proteggerlo avrebbe solo peggiorato le cose. Se il loro padre avesse pensato che stavano cercando di proteggerlo si sarebbe solo arrabbiato di più. Si aggrappò al farsetto di cuoio di Elijah e cercò di farlo spostare senza essere troppo ovvio nei movimenti. Forse era meglio che si consegnasse al padre, che inventasse una qualche bugia e si facesse picchiare. Almeno così avrebbero risolto il problema e sarebbero potuti tornare alle loro vite. Forse se avesse confessato la punizione sarebbe stata più mite.
Proprio mentre stava per trovare il coraggio per aprire la bocca e mentire, Finn, coraggiosamente, si fece avanti.
“Padre, non abbiamo trovato il coltello, ma nessuno di noi lo ha preso, te lo assicuro.” affermò con la voce che tremava a mala pena. "Tu me lo assicuri? E dovrei fidarmi di te, patetico ragazzino?” Gli si scagliò contro Mikael, spintonandolo. “Voi, inutili spreco di spazio, dovrei fidarmi delle vostre parole?” 
Lo sputo gli volava fuori dalla bocca, le pupille erano dilatate, quasi ad inghiottire tutta l’iride. Afferrò il risvolto della camicia di Finn, facendo scucire alcuni punti sulla spalla e lo spintonò fino a farlo appoggiare a uno dei pali centrali, vicino al focolare. “Dov’è il mio coltello?” scandì ogni parola con un piccolo strattone che fece allargare il buco della camicia mentre continuava a fissare gli occhi dilatati del figlio.
Elijah cercò di distogliere la sua attenzione dal fratello maggiore mettendosi al fianco del padre e posandogli una mano sulla spalla scoperta. “Padre, nessuno di noi prenderebbe uno dei tuoi coltelli, nessuno. Se non siamo riusciti a trovarlo vuol dire che qualcun altro l’ha preso.” cercò di far ragionare il padre, senza notare il sussulto colpevole di Rebekah.
“Nessuno oserebbe rubare qualcosa a me! Nessuno al villaggio sarebbe così stupido da fare una cosa simile! Gli unici tanto ripugnanti da fare una simile cosa sono i miei figli! La mia carne e sangue! Come potete essere figli miei? Codardi senza palle, ignobili parassiti!” esclamò furente.     
Il nervosismo di Kol scoppiò in quel momento, facendogli emettere uno sbuffo che lui cercò di mascherare con una tosse soffocata.
Mikael si voltò istantaneamente verso lui e Klaus che gli stava vicino, spalle alla porta, ancora con la testa incassata nelle spalle, cercando di rendersi più invisibile possibile. Il suono prodotto da Kol gli fece alzare lo sguardo di scatto, giusto in tempo per vedere il pugno di Mikael che gli si schiantava sulla mascella. “Cos'hai da ridere ragazzino? Credi sia divertente? Sei tanto stupido da non riuscire a tenere la bocca chiusa nemmeno quando quelli migliori di te parlano?” continuò urlando e colpendo Niklaus che cercava di proteggersi il volto con le braccia.   
E così cominciò .
Nik barcollò all'indietro, con le braccia alzate e i palmi delle mani verso il padre, inciampò mentre cercava di parlare “Padre non...” ma la sua voce si spense con l'arrivo di un altro pugno, diretto alle costole già contuse. Una spallata lo fece piombare a terra dove cercò di allontanarsi velocemente dai calci che gli arrivavano addosso, indietreggiò fino alla porta cercando di evitare i piedi calzati di stivali pesanti del padre e rotolò fuori dalla capanna, subito inseguito da Mikael che continuava a urlargli contro e a inveire sulla sua stupidità e inadeguatezza. Sulla sua codardia e debolezza.
Riuscì a rialzarsi, con il sangue che colava lentamente dalla bocca dove si era morso la guancia interna. Vide i suoi fratelli e sua madre uscire dalla capanna, cercando di convincere Mikael a smetterla. Ma il padre sembrava sordo alle loro voci.
Mikael gli tirò un altro pugno, questa volta diretto al plesso solare, che il ragazzo riuscì a deviare facendolo cadere sul petto. La poca aria che Niklaus era riuscito a inspirare dopo il primo pugno venne espulsa con un gemito di dolore.  Riusciva a sentire Hilda urlare e piangere, Elijah e Finn che gridavano per farsi ascoltare dal padre, Kol che imprecava non sapendo come aitare il fratello. Gli unici in silenzio erano Esther, che guardava la scena con gli occhi lucidi e le mani aggrappate alle gonne, come se si stesse fisicamente trattenendo dall'intervenire, e Henrik che guardava pietrificato, incapace di fare alcunché per aiutare il fratello.
Quando Mikael cercò di estrarre la spada che teneva al fianco Finn e Elijah riuscirono a togliergliela e la gettarono da qualche parte nel cortile polveroso, facendolo girare in preda alla furia. Puntò un pugno alla faccia di Finn, dando tempo a Niklaus di alzarsi nuovamente da terra dove era caduto.
Cercò di voltarsi per andarsene ma un calcio gli arrivò sulla parte bassa della schiena, facendogli intorpidire le gambe e costringendolo ad aggrapparsi al muro della piccola capanna che usavano come magazzino per gli attrezzi e le granaglie. Si spostò di lato avvertendo un movimento alle spalle e cadde attraverso le pelli della porta.
Udì qualcuno gridare prima di sentire un dolore profondo alla schiena. Mikael aveva preso la frusta .
Sentì la schiena infiammarsi immediatamente. I pallini di piombo che scavavano nel fianco non protetto dal farsetto di pelle, i nodi che facevano esplodere il dolore a ventaglio su tutta la schiena. Si inarcò tutto e gridò, un grido acuto e doloroso che gli strappò la gola.
E poi lo sentì ancora, il suono sferzante del cuoio, il colpo sordo che si spandeva su tutta la schiena e la nuca, poi il dolore. Un dolore incandescente, profondo, fino alle ossa. La pelle che si infiammava, rialzandosi e mandando fitte brucianti.
E ancora, il fruscio dei vestiti di pelle del padre mentre caricava il braccio, la sua stessa voce che implorava perdono. Il suono dell'aria tagliata dalle corde di cuoio. E il dolore, una scossa di dolore così acuto e profondo da fargli diventare la vista bianca.
E ancora, le grida distanti, il pianto, l’acuto sibilo della frusta. Perfino il suo sangue faceva rumore mentre gli cadeva dalla bocca. E dolore, ancora dolore. Gridò ancora, con la bile acida che gli si riversava in gola ustionandogli la trachea.
E ancora.
E ancora.
Finché Elijah non si mise in mezzo, non scostò il padre violentemente da lui, urlandogli di smetterla, aggrappandosi al suo braccio per fermarlo. Pregandolo di fermarsi. Non servì a molto, Mikael lo spintonò brutalmente facendolo cadere su delle ceste ammucchiate vicino alla porta.
Mikael riprese a frustarlo, facendo piovere lingue infuocate sul suo corpo, lacerandogli la pelle, facendolo sanguinare , portandogli via quel poco di speranza che la vista del fratello gli aveva fatto guadagnare. 
Fino al momento in cui non entrò Rebekah.
La spada del padre tenuta a due mani, tremolante nella presa della ragazza, le braccia troppo rigide per essere davvero utilizzate, le testa spinta nelle spalle.  Ma era lì, lei era lì per Nik,  per fermare il loro padre. Lo stava minacciando con la sua stessa spada, gli occhi lucidi di lacrime, le labbra tremolanti di paura e determinazione. Nik rialzò la testa, vedeva le labbra di Rebekah che si muovevano mentre parlava al padre, ma non riusciva a capire le parole che si stavano dicendo, il suono del proprio sangue e respiro era troppo assordante per le sue orecchie.  
Riuscì a vedere Mikael che afferrava la spada per la lama a mani nude e la strappava da quelle molli di Rebekah e se ne andava, prima di crollare a terra senza forze.
Vomitò mentre era ancora disteso a terra. Prima che tutto diventasse nero.
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“Vai a chiamare Finn, deve aiutarmi a portarlo dentro” disse Elijah a Rebekah. “E avvisa nostra madre di cominciare a prepararsi per il nostro arrivo.”
Nik era messo male, aveva un taglio profondo sulla fronte e il sangue continuava a uscirgli dalla bocca, segno che c’era un brutto taglio all'interno. Ma la parte peggiore erano la schiena e il costato. Sotto la camicia il lato destro del busto sanguinava in diversi punti e, anche se era di un buon materiale, il cuoio aveva diversi tagli sulla schiena, suggerendo che ci fossero lesioni più gravi sotto la protezione di pelle.
Elijah gli  si accostò piano, grato che fosse già svenuto, sarebbe stato più difficile spostarlo ma meno doloroso per lui. Gli scostò i capelli biondi dal viso, chiedendosi per la milionesima volta perché non riuscisse a proteggerlo, perché non era capace di proteggere nessuno dei suoi fratelli dagli abusi del padre. Addirittura Rebekah si era dimostrata più coraggiosa di lui, sfidando il padre con la sua spada e parlando a nome di Niklaus, professando il suo desiderio di proteggerlo dal dolore che gli stava infliggendo Mikael.
Continuò ad accarezzargli i capelli gentilmente, perso in cupi pensieri fino a quando Finn non entrò, portando una tavola di legno dove caricare il fratello minore per portarlo a casa, dove li aspettava Esther.
Lo voltarono piano sul fianco per fare scivolare la tavola sotto il suo corpo, cercando di fargli meno male possibile viste le sue condizioni e lo portarono fuori dalla capanna.
Hilda e Henrik erano stati portati via da Kol, lontani dal fratello incosciente. Nessuno di loro voleva che i fratellini vedessero come era ridotto Nik, era già abbastanza che avessero visto l’inizio del pestaggio ma in quel momento nessuno di loro era stato in grado di portarli via.
Rebekah e Esther stavano lavorando di buona lena, il fuoco ruggiva potente nel focolare, diverse candele di sego erano state accese intorno al tavolo dove mangiavano e due pentole erano già state messe a bollire. Non era la prima volta che Mikael frustava uno di loro, e non sarebbe stata l'ultima.  
Esther non li guardò nemmeno mentre affettava e tagliava piante di cui non conoscevano il nome. “Elijah, Rebekah, andate da Kol e ditegli di venire qui a darmi una mano, tenete occupati piccoli per almeno un paio d’ore.” Comandò con voce potente.
Era nel suo elemento: magia, infusi, pozioni, piante. Sapeva cosa fare e come farlo. Non guardò nemmeno una volta il figlio steso sanguinante sul tavolo. Non aveva bisogno di vederlo per sapere cosa doveva fare.  
Elijah e Rebekah lanciarono un’occhiata al fratello e poi se ne andarono, gli occhi pieni di pietà e dolore.
“Finn, spoglialo e comincia a lavarlo con l’infuso di rosmarino, camomilla e menta.” continuò senza smettere di mescolare un impiastro dal forte odore di canfora e qualcosa di terroso.  
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Trovarono Kol seduto sotto un’alta quercia con i fratellini che piangevano rannicchiati intorno a lui. Sembravano persi e spaventati, come se improvvisamente si fossero resi conto che i mostri delle fiabe che gli avevano raccontato per tutta la loro giovane vita non erano solo invenzioni per divertirli, ma erano reali e camminavano tra loro.
“Com’è messo?” chiese quando li vide avvicinarsi ma non appena scorse le loro espressioni capì che non gli avrebbero risposto, almeno non a parole. “Nostra madre richiede il tuo aiuto, e quello di Finn” gli disse solo Elijah mentre si chinava a raccogliere la sorella più piccola che piagnucolò aggrappandosi ancora un po' alla camicia di Kol prima di lasciarla andare e nascondere il viso nel collo di Elijah. Non c’era molto altro da dire, la necessità di un'altra strega parlava per sé. Le lesioni dovevano essere abbastanza gravi da richiedere molta energia.
Rebekah si sedette vicino a Henrik, stringendolo a sé e accarezzandogli la schiena mentre faceva rumori molli e consolatori. Kol si alzò pesantemente, affondando le unghie nella corteccia per darsi la spinta e si avviò per tornare alla capanna con passo pesante ma risoluto.
“Co... come sta Nik?” chiese Henrik alzando il viso dalla spalla di Rebekah. Ma lei non sapeva come rispondergli. Come stava? Come poteva stare qualcuno dopo essere stato fustigato e picchiato dal proprio padre per colpa della sorella? Non bene. Ma non poteva certo dirlo ai piccoli. Lo avrebbero visto anche troppo presto. Ci sarebbero voluti diversi giorni per far guarire anche solo parzialmente Nik.
“Starà bene. Tra poco sarà di nuovo in piedi a cercare il colore perfetto per dipingere il tramonto.”  disse Elijah ancora coccolando Hilda. “Che ne dite se andiamo a vedere le lucciole?” chiese sforzandosi di suonare allegro, come se non volesse altro dalla vita che andare a guardare piccoli insetti luminosi che volavano nell'aria.
“Dov’è nostro padre? Adesso si arrabbierà anche con noi?” la voce di Hilda era sottile come una foglia in autunno, dolce e delicata, quasi non l’avrebbe sentita se lei non fosse stata attaccata al suo collo con tutta la forza delle sue braccia di bambina.   La fece rimbalzare un po' sul suo fianco per cullarla. “No pulce, non si arrabbierà con voi, sta’ tranquilla. Per adesso è andato via.” Dove, non lo sapeva nemmeno lui, alle caverne probabilmente.
Guardò la luna gibbosa che rischiarava il cielo e calcolò che ci volessero altri cinque giorni prima della luna piena. Avevano poco tempo per rassicurare i bambini che il loro padre non li avrebbe massacrati non appena li avesse visti. Non che fosse del tutto un male che finalmente si fossero resi conto di che genere di persona fosse Mikael. Sarebbe stato più facile per loro stargli lontano se avessero capito che era un violento senza onore né giudizio. “Venite, andiamo a guardare le lucciole vicino alla quercia bianca.”
L’antico albero al centro del loro villaggio era l’unico posto che gli venisse in mente dove potevano rannicchiarsi e guardare le lucciole senza esporsi al pericolo della foresta. Si diceva che quella quercia avesse della magia in sé, un potere derivante dalla terra. Elijah sperava che li avrebbe aiutati a superare quel momento.
Sapeva, come anche gli altri suoi fratelli, che da quel giorno le cose sarebbero cambiate.
Mikael aveva sempre dimostrato il suo disprezzo per Niklaus, prendendolo di mira, picchiandolo più di quello che facesse anche con gli altri, ma non era mai stato così brutale. Qualunque cosa dicesse Mikael di Niklaus lui era un ragazzo forte, resiliente. Vederlo svenuto, in una pozza di vomito e sangue aveva reso chiaro a Finn e Elijah che il padre aveva perso quel po' di umanità che ogni tanto riusciva a dimostrare ai figli più piccoli. Avrebbero dovuto fare di meglio per cercare di proteggere i fratelli minori.
Camminarono lentamente, Henrik attaccato alle gonne di Rebekah e Hilda ancora saldamente in braccio a Elijah che ogni tanto la faceva rimbalzare sulla sua anca per farla rilassare.
Gli stava tirando i capelli alla base della nuca tanto forte che era certo ne avesse strappati alcuni. “’Lijah, perché nostro padre ha picchiato Nik? Non ha preso lui il coltello.” gli chiese Hilda tirando su con il naso.
Elijah sospirò, non sicuro di cosa dire per spiegarle cosa era successo.
Passarono davanti alla casa del liutaio, sentendo la sua voce roboante che raccontava qualcosa e poi rideva di gusto, subito seguito da una cacofonia di strilli e urletti dei suoi figli. Quell'uomo era grande come un orso, poteva alzare una pecora sopra la testa senza fare alcuno sforzo e aveva combattuto più battaglie di chiunque nel loro piccolo villaggio, sia durante le razzie che quando viveva nel vecchio mondo, sia nella loro nuova terra, che quando erano sbarcati nelle GreenLand e poi scesi a sud. Eppure era l’uomo più gentile che avesse mai conosciuto, quando qualcuno aveva bisogno di aiuto era il primo a farsi avanti, era sempre circondato da bambini a cui insegnava come suonare il violino o il dulcimer. Alle feste era il primo a ridere quando perdeva una sfida.  
Elijah si era spesso chiesto perché non potessero essere nati da lui anziché da Mikael.
“Mikael, nostro padre, è un uomo cattivo piccola. Non so perché ci odi tanto e non riesco a capire perché odi ancor di più Niklaus, ma non devi temere, non gli lasceremo farti del male. Cerca solo di stargli lontano, va bene?” La sentì annuire mentre gli strofinava il naso sul collo e fece una smorfia al sentire l’umidità di lacrime e moccio che gli veniva spalmata addosso.
“Piccola, puoi cercare di non usarmi come fazzoletto?” le chiese e la sentì ridacchiare e continuare a strofinare il naso sul suo collo. Prese un respiro profondo e cercò, senza successo, di tenere il disgusto lontano dai suoi occhi. Tenendola vicino al corpo con un braccio cercò con l'altra mano un qualunque pezzo di stoffa da darle per pulirsi il viso, qualunque cosa tranne il suo collo. Vide Rebekah che ridacchiava e lo indicava a Henrik ma non prestò loro attenzione mentre tirava fuori un pezzo di cotone grezzo dalla bisaccia che teneva attaccata alla cintura e la dava alla bambina.
Quando arrivarono alla alta quercia mise a terra Hilda che corse subito a sedersi su una radice affiorante  e cominciò a sforzarsi per vedere le lucciole.
Non aveva dimenticato cosa fosse successo quel pomeriggio, ma la sua giovane età le permetteva di far passare i brutti momenti più facilmente che gli altri fratelli. Avrebbe sempre ricordato la sensazione di paura, avrebbe ricordato di aver paura del padre e di stargli lontano, ma con gli anni, gli eventi che avevano portato a quella consapevolezza, si sarebbero offuscati, sarebbero diventati sfocati nella sua mente.
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“Non gli ha rotto le costole,  ma qui dobbiamo ricucirlo, vedo il grasso” mormorò Kol chino a guardare il fianco di Niklaus con una candela tenuta saldamente in mano. La schiena del fratello era costellata da lunghe strisce di pelle irritata e abrasa: si poteva vedere dove le singole corregge lo avevano colpito, intervallata dai punti in cui i nodi del cuoio gli avevano procurato delle ecchimosi piccole come sassolini ma molto profonde a giudicare dal colore che già avevano. Anche solo stare in piedi sarebbe stato doloroso per la muscolatura maltrattata.
La parte peggiore però erano i piccoli buchi che i piombini fissati sul fondo di ogni striscia di pelle della frusta gli avevano lasciato sul costato. Avevano rotto la pelle e in alcuni casi anche tolta del tutto. Avrebbero dovuto ricucire con grande cura i segni lasciati per evitare di limitare la mobilità futura del fratello a causa delle cicatrici.
Nemmeno le natiche e le cosce erano state risparmiate dalla furia del padre anche se era evidente che avesse puntato più alla schiena che non alle gambe di Nik.
Kol si stava occupando principalmente di trovare le ferite e pulirle con il decotto che Finn aveva preparato per evitare infezioni, mentre la madre stava preparando un incantesimo di guarigione che avrebbe accelerato il processo di cicatrizzazione del figlio. Dove una persona normale sarebbe guarita in un mese, Nik se la sarebbe cavata con un paio di settimane.
“Portami ago e filo, Finn” richiese al fratello che gli lanciò un'occhiataccia per il suo tono ma non commentò. La verità era che, sebbene più potente, Finn non era molto bravo a prendere l’iniziativa. Lui era un gregario, non riusciva a pensare fuori dagli schemi. Se guidato da qualcuno era formidabile con la magia ma se avesse dovuto decidere da solo cosa fare sarebbe rimasto immobile a pensare anziché agire. 
Kol non aveva tutta la potenza che scorreva nelle vene di Finn, ma aveva il talento. Era spesso riuscito a risolvere indovinelli e giochi che la madre gli dava per esercitarsi, cose che suo fratello aveva impiegato ore a capire a lui venivano facilmente.
Mentre ricuciva abilmente i buchi sulla pelle del fratello cantava, cantava di guarigione, di piccoli germogli che crescono dalla terra, del sole che sale nel cielo, dei puledri che si alzano sulle zampe per la prima volta. Cantava di vita che nasce e prospera, di piante che da semi diventano alti alberi. E mentre cuciva assieme i lembi di pelle, pian piano, vedeva che questa cominciava a saldarsi.
Non erano guariti, non sarebbero guariti ancora per un bel po', ma il processo era cominciato e con l’energia che aveva infuso al suo incantesimo sperava di aver facilitato le cose per il fratello.
Sapeva che non era esattamente colpa sua ma ogni tanto il subdolo pensiero che fosse stato tutto causato dal suo sbuffo lo faceva contorcere. Se non avesse riso in quel momento, il padre se ne sarebbe semplicemente andato? Avrebbe rinunciato? Ovvio che no, ma non poteva fare a meno di sentirsi in parte responsabile per le condizioni di Nik.
Si lasciò cadere pesantemente sulle pietre del focolare, sentendo il calore del fuoco che gli avvolgeva la schiena. Ricucire la pelle non era troppo difficile né richiedeva molta potenza, ma fare in modo che le cicatrici si vedessero appena e che non ostacolassero i movimenti diventando troppo profonde sì. Era un lavoro delicato.
Finn gli passò una ciotola di stufato tiepido e tornò dalla madre che continuava a cantare un incantesimo di guarigione da infondere in un decotto che stava preparando. Non appena Nik si fosse svegliato avrebbe dovuto berlo per scongiurare l’insorgere di infezioni e per curare i danni che i calci del padre gli avevano fatto alle costole.
Era un incantesimo potente, curare i corpi era un tipo di magia molto sensibile e richiedeva grande esperienza.
Finita la ciotola di stufato Kol si rialzò stancamente. “Comincio a applicare la pomata, non credo che dovremmo fasciarlo, meglio lasciare che le ferite respirino.” vide il cenno di assenso della madre e si mise al lavoro.
La densa pasta biancastra con pezzettini di erbe verdi e marroni aveva un odore così forte da fargli lacrimare gli occhi mentre la stendeva, il più delicatamente possibile, con un bastoncino su tutta la parte posteriore del corpo di suo fratello. Ogni tanto lo sentiva gemere e lo vedeva contrarre un muscolo ma grazie agli dei rimase incosciente. Sarebbe stato peggio se fosse stato sveglio. L’impiastro bianco avrebbe portato refrigerio alle sue ferite e le piante che vi avevano mescolato servivano sia per togliere il dolore sia per evitare infezioni.
Avrebbero dovuto stendere l’unguento almeno tre   volte al giorno per i prossimi giorni.
Vide le mani di Niklaus contrarsi e afferrare il tavolo e lo sentì ansimare pesantemente mentre apriva gli occhi, così si affrettò a posare la ciotola e  abbassarsi davanti alla sua testa in modo tale da poterlo guardare negli occhi.
“Madre, è sveglio .” disse Kol con voce forte per avvertire Esther, “Nik, devi rimanere fermo, va tutto bene , ti stiamo curando.” gli fece sapere con voce pacata. “Sembri una bistecca lì dietro, non devi muoverti” cercò di scherzare. Vide Niklaus prendere un respiro profondo e fare una smorfia mentre la pelle della schiena si tendeva sui tagli e i lividi che la costellavano. “Non respirare troppo profondamente, abbiamo quasi finito. Adesso nostra madre ti darà da bere qualcosa per il dolore e ti sveglierai domani mattina, fresco e riposato.”
Stava cercando di rassicurarlo e farlo restare calmo in attesa che la madre finisse con la pozione. Una volta bevuta sarebbe sprofondato in un sonno profondo e ristoratore, mentre la magia faceva il possibile per curarlo.
Vide gli occhi di Nik addolcirsi mentre capiva cosa stesse facendo. Dopo poco arrivò la madre con una ciotola fumante e un cucchiaio che usò per imboccare delicatamente Nik. “Dormi adesso figlio mio, dormi. Domani il sole sorgerà di nuovo e tu starai meglio.”
Meno di mezzora dopo stava russando piano, inconsapevole dei due fratelli che lo alzavano e lo adagiavano nel pagliericcio che normalmente usava Henrik, l'unico di loro che dormisse da solo dato che tendeva a calciare di notte.
Esther, Finn e Kol si guardarono sospirando. La parte più difficile era finita. Adesso non restava che pregare che non gli venisse la febbre e che i tagli non si infettassero.
Senza una parola cominciarono a ripulire la capanna, misero via le erbe avanzate, conservarono nelle giare i decotti e gli infusi che avevano usato. Rimisero via le bende e gettarono le pezze insanguinate nel fuoco.
“Finn, farai il primo turno, se si sveglia dagli da bere questo” disse la loro madre indicando una brocca, “addolciscilo con un po' di miele, tra tre ore sveglia Kol perché ti dia il cambio, poi farò io l’ultimo turno.” La sua voce arrochita dal fumo e dalla stanchezza.
“Madre, non sarebbe meglio se dormissi tutta la notte? Hai consumato molta energia.” le disse preoccupato Finn.
“No, domani dovrete lavorare nei campi, io posso lasciare un po' di lavoro a Ayana, non le dispiacerà, ma voi non potete essere rallentati.” disse con voce monotona. “Andate a dormire, tra poco torneranno anche gli altri, forza.” E li spinse delicatamente verso i loro pagliericci.
Dormire sembrava una bella cosa da fare alla fine di quella giornata infernale. Almeno nei sogni potevano essere protetti. Esther lancio un'occhiata all’acchiappasogni appeso tra le travi del soffitto e inviò una preghiera agli dei per proteggere il sonno di tutti i suoi figli. Di tutti i suoi figli, ma soprattutto del suo dolce Niklaus, il suo dolce bambino.   


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