Thrimilci era arrivato e passato, portando i festeggiamenti che concludevano la primavera e accoglievano l'estate portando con essa il periodo caldo e la fatica della fienagione, le serate pigre a bere birra e riposarsi per le fatiche del giorno dopo.    Gli agnelli nascevano piangenti al mondo. 
Avevano ancora pochi preziosi giorni prima di incominciare la vera fatica, adesso erano ancora immersi nella tosatura delle pecore, nel fare il formaggio e il burro, nella birrificazione, ma a metà estate sarebbe cominciata la mietitura e la raccolta della frutta e verdura, tutto ciò che sarebbe servito per superare un altro inverno.
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“Forza, ‘Lijah, prendimi se ci riesci!” La risata squillante di Rebekah si poteva sentire tutto intorno nel bosco, subito seguita da piccoli strilli e dallo scalpiccio dei piedi mentre fuggiva dal fratello maggiore che la inseguiva. Gli altri erano tutti sparsi tra gli alberi senza prestare davvero attenzione a dove stessero   andando. “Ahahah, non mi prendi, non mi prendi!” urlò mentre correva davanti a Finn e Kol che stavano litigando su qualcosa che aveva detto il fratello minore quella mattina.
“Non capisco perché te la prendi tanto! Non ho offeso nessuno, ho solo detto che Mathias ha la faccia come quella di un cavallo, non è un'offesa se è la verità!  ” protestò veemente Kol facendo il broncio per buona misura. Esasperato,  Finn alzò   le braccia in aria: discutere con suo fratello era tempo perso nel migliore dei casi. “Tu non mi ascolti, pretendi di avere ragione e credi di averla,  per giunta! Un giorno o l'altro quella tua linguaccia ti metterà nei guai e nessuno di noi sarà lì a salvarti da un bel pestaggio!” esclamò esasperato mentre continuava a camminare, quasi scontrandosi con Rebekah mentre cambiava velocemente direzione per non farsi prendere da Henrik.
Niklaus camminava poco più indietro, rallentato nei movimenti da un livido che gli prendeva tutto il costato, con Hilda che gli teneva la mano facendola ondeggiare piano tra loro. “E allora io ho detto che non è vero, che i folletti non sono così cattivi se lasci fuori per loro un po' di latte e di formaggio la notte, ti lasciano in pace e non ti fanno i dispetti come nascondere le scarpe, ma Aila ha detto che erano solo cose da bambini. Non sono cose da bambini, vero Nik? I folletti se non gli lasci qualcosa ti nascondono le scarpe o il pettine! Vero?” Sembrava così sconvolta e perplessa che Niklaus non se la sentì di contraddirla, se credere che ci fossero fate e folletti la faceva felice chi era lui per dirle il contrario? Avrebbe comunque smesso di crederci con il tempo. “Mmh mmh, giusto.” Hilda continuò felicemente a raccontargli della sua amica Aila, la figlia del conciatore, e di come avessero passato il pomeriggio del giorno precedente in giro per la bottega del padre a raccogliere scarti di cuoio per giocarci.
Ben presto raggiunsero gli altri fratelli che stavano cominciando a sistemarsi vicino alla cascata. C’erano già un paio di altre famiglie ma si tennero in disparte: volevano passare una giornata solo tra di loro.
Le cascate erano conosciute da tutti al villaggio, erano un ottimo posto per nuotare e rinfrescarsi durante l'estate, e d’inverno l’acqua non gelava mai completamente. C’era anche un'abbondanza di trote da pescare e ogni tanto qualche animale veniva per abbeverarsi. Il lago che ne era nato non era molto grande, ma vicino a dove cadeva l’acqua era abbastanza profondo. Nei pigri pomeriggi estivi anche solo stare vicino all'acqua dava un po' di refrigerio grazie alla nebbiolina di goccioline che si levavano dalle acque agitate.
Rebekah si lasciò cadere al fianco di Kol, appoggiandogli la testa sulla spalla mentre ridacchiava, le gonne azzurre dell'abito che le scoprivano le caviglie e parte del polpaccio, che Finn ricoprì con un gesto abituale. Niklaus e Hilda stavano cercando dei fiori arancio intorno ad alcune rocce. Elijah era semi sdraiato sopra un affioramento roccioso, guardando le nuvole passare. “Allora, fratello, nostra madre ha già ricominciato a chiederti quando ti sposerai?” chiese vivacemente Rebekah fissando maliziosamente Finnik che si distese a terra con un gemito sofferto.
“Ogni anno in questo periodo nostra madre decide che uno di noi è pronto a prender moglie, sembra che non le importi nemmeno con chi dovremmo sposarci,  l'importante è farlo!” mormorò contrariato. “Beh fratello, ormai sei un uomo, hai 21 anni, dovresti pensare a mettere su famiglia non ti pare?” scherzò Elijah guardando il fratello maggiore contorcersi a disagio. “Nemmeno tu sei esentato Elijah, non sei troppo giovane per sposarti, anzi, sei quasi troppo vecchio ormai! Se aspetti ancora un po' nessuna fanciulla vorrà sposarsi con te. Penso di aver già visto dei capelli bianchi sulla tua testa!” lo prese in giro Bekah ridacchiando quando notò il fratello che cercava discretamente di controllare la sua capigliatura con la coda dell'occhio. “Fatto sta che quest'anno non ne ha ancora fatto parola, che forse si sia rassegnata?” Si poteva sentire una nota di sollievo e speranza nella voce di Finn.
Non che non volesse sposarsi ma sperava di avere ancora un po' di tempo prima di doversi caricare le spalle con la responsabilità di una moglie e di figli. Soprattutto considerando che avrebbero dovuto vivere ancora sotto il tetto di Mikael e ciò avrebbe significato dover proteggere anche la nuova aggiunta alla famiglia dalla sua ira.
“Beh, Henrik, Hilda e io abbiamo ancora un po' di tempo prima di doverci pensare, per fortuna. Anche perché non ho visto un solo maschio decente nel nostro villaggio.” continuò Rebekah “Gli unici degni di nota siete voi e Klaus, e non sposerò sicuramente nessuno di voi, vi conosco troppo bene!” esclamò scherzosa. “Senza contare che nessuno di noi vorrebbe sposare te sorellina, russi peggio di un orso e ne hai anche il carattere!” Rise Kol scansandosi velocemente e cominciando a correre in direzione degli alberi quando Rebekah decise che doveva vendicare il suo onore picchiandolo.
Henrik si sedette vicino a Finn, concentrato sullo spellare un ramo per farne una canna da pesca improvvisata. “Io non voglio dovermi sposare, le ragazze sono strane, non sono per niente divertenti” borbottò sottovoce, concentrato sul togliere più corteccia possibile senza tagliarsi un dito. I due fratelli maggiori si scambiarono uno sguardo allegro soffocando le risate che cercavano di scappare dalle loro bocche. Avevano detto più o meno la stessa cosa quando avevano la sua età e sapevano per esperienza che nulla di ciò che avrebbero potuto dirgli gli avrebbe fatto cambiare idea. Era una cosa che doveva capire da solo, l'attrattiva per le ragazze sarebbe venuta con il tempo, come era stato per tutti loro.
“Al momento non devi preoccupartene, hai ancora diversi anni prima di doverti sposare” commentò infine Finn lanciando un'occhiata intorno, ancora rallegrato dalla scontrosità del fratellino nei confronti delle femmine. “Dai, andiamo a pescare qualcosa da mangiare” disse mentre si alzava per avvicinarsi ai pacchi che avevano portato.
Elijah rimase mollemente appoggiato al grosso masso, per niente interessato a pescare con i fratelli o a farsi rincorrere tra gli alberi come Kol. Ogni tanto amava la solitudine, quei rari momenti in cui riusciva effettivamente a essere da solo con i suoi pensieri in una famiglia con così tanti fratelli. Il fatto che la madre non avesse ripreso il discorso sul matrimonio non lo impensieriva più di tanto, sapeva che non li avrebbe costretti a sposarsi, almeno non finché Mikael non avesse deciso che era il momento. Ma suo padre era stato stranamente poco interessato al discorso del matrimonio dei suoi figli. Forse non gli interessava o forse una parte di lui voleva che i suoi figli si scegliessero da soli una sposa, come aveva fatto lui con la sua.
Sposare una schiava era stato una cosa strana da fare nel Vecchio Mondo, ma Mikael l’aveva scelta e non aveva preso nemmeno una concubina negli anni in cui erano sposati, restatole fedele anche se non era la tradizione. Forse l’amava davvero, almeno per quanto gli permettesse di amare qualcosa il suo carattere. O forse non aveva voglia di avere a che fare con una concubina e una moglie sotto il suo tetto.   
C  omunque nessuna al villaggio aveva catturato lo sguardo di Elijah, c’erano un paio di fanciulle carine, ma lui desiderava qualcosa di più di un bel viso e fianchi larghi.
Sospirò  , guardando le nuvole che passavano sopra la sua testa, immaginando come avrebbe dovuto essere una buona moglie per lui. Vedeva lunghi capelli, certamente, e si, anche fianchi larghi e un bel seno florido, ma soprattutto vedeva un bel sorriso, sentiva una risata musicale e poteva quasi assaporare i suoi dolci baci e languide carezze. Il suo sogno ad   occhi aperti si frantumò con lo schiantarsi di sua sorella minore sul suo fianco.
Ogni tanto la solitudine era una cosa meravigliosa, che spesso durava troppo poco.
Sospirò e avvolse un braccio attorno alla sorellina tirandola vicino a sé per coccolarla. “Allora, ti sei stancata di girovagare con Nik? È per questo che vieni da me?” chiese mentre le strofinava il mento sulla testa. “No, ma eri tutto solo e a Nik non serve il mio aiuto.” Ed ecco perché amava la sua sorellina, più della solitudine che poteva assaporare così di rado. La fiducia e l'amore che dimostrava per tutti loro era un balsamo di cui non si sarebbe mai privato volentieri. “Grazie piccola. Niklaus ha trovato i fiori che cercava?” mormorò piano stringendola ancora.
La ascoltò con un orecchio solo mentre cercava i suoi fratelli tra gli alberi. Henrik era ancora con Finn a pescare e riusciva a vedere Kol e Rebekah che complottavano un qualche nuovo scherzo tra gli alberi:  l'ultima volta avevano riempito gli otri che si erano portati dietro con una mistura di erbe assolutamente vile, ridendo a crepapelle quando Niklaus ne aveva bevuto un abbondante sorso solo per sputare velocemente tutto con una smorfia e un grido indignato. Quei due insieme erano una minaccia per la sicurezza di tutti.
Non riusciva a vedere Niklaus, ma sapeva di non doversi preoccupare più di tanto, gli piaceva vagare nel bosco a cercare nuove cose per ricavarne colori per i suoi dipinti, suo fratello era bravo in questo. Riusciva a intagliare meglio di tutti loro, riusciva a rappresentare sulla pietra e sulla pelle scene meravigliose quando ne aveva l'occasione. Peccato dovesse farlo di nascosto nei rari momenti in cui non lavoravano i campi o curavano gli animali. Sempre lontano dagli occhi del loro padre.
Vide Henrik mettere un altro pesce nella piccola cesta che riposava tra i due fratelli e decise di accendere un fuoco per poter mangiare tutti assieme.
Scostò piano la sorella dalla spalla e le chiese di aiutarlo a prendere un po' di foglie secche e ramoscelli mentre lui andava a prendere qualche ramo più grande per incominciare   il fuoco. Non appena Bekah e Kol li videro raccogliere legna si misero di buona lena a raccattare delle pietre e a ripulire una zona piatta vicino dove avevano lasciato le loro cose.
Nik tornò dopo poco con la saccoccia e le mani piene di bacche di gelso e un sorriso smagliante in volto. “Guardate cosa ho trovato?” disse mentre faceva cadere le more su una coperta che avevano steso. Il fuoco scoppiettava allegramente, divorando le foglie e i ramoscelli che avevano trovato, Finn e Henrik stavano preparando dei legni lunghi da usare per arrostire il pesce mentre Bekah lo stava pulendo con un piccolo coltello che aveva preso in prestito da Kol, con Hilda al suo fianco che guardava affascinata e ogni tanto chiedeva se potesse aiutare.
Era un bel pomeriggio, l’aria era calda, il sole alto, i suoi fratelli erano felici e spensierati. Scherzavano e ridevano, mangiarono il pesce appena pescato e le dolci more di gelso, si crogiolarono nella felicità dello stare tutti assieme, lontani dai genitori e dalle loro incessanti richieste e dagli scoppi d’ira del padre.
Elijah li guardò tutti, dal serio Finn che si teneva leggermente in disparte, controllando che nessuno si facesse del male con il piccolo fuoco da campo, aiutando ogni tanto i più piccoli con gesti che passavano inosservati. Rebekah che si appoggiava ai fratelli con una fiducia infinita e un sorriso luminoso come il sole che le illuminava i capelli dorati. Nik che stava intagliando delicatamente una statuina di un cervo e che parlava a bassa voce a Henrik, spiegandogli come scavare e tirare via la giusta quantità di legno per ottenere l'effetto del pelo intorno al collo dell'animale di legno. Kol che faceva un gioco di ombre con le mani per divertire Hilda e per raccontarle una storia che aveva inventato lui stesso.
Era perfetto.
Se solo avessero potuto restare così per sempre sarebbe stato un vero miracolo. Solo loro, la loro gioia, il loro affetto. Tutta la famiglia che gli serviva.
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“Tornami il coltello, Bekah, sai che a nostro padre non piacerebbe che tu avessi una lama.” richiese Kol mentre prendevano le loro cose per tornare a casa. La luce stava calando lentamente e dovevano tornare a casa prima che il padre venisse a cercarli altrimenti rischiavano che si infuriasse per averli dovuti attendere. Rebekah sbuffò mentre gli passava il piccolo coltello che aveva usato per eviscerare e squamare il pesce. Trovava assurdo che non potesse avere un coltello suo e che fosse costretta ogni volta a chiederne uno in prestito ai suoi fratelli anche quando doveva usarlo per lavorare e pulire il cibo. Non era giusto!
Raccolse velocemente la coperta che aveva portato a inizio pomeriggio e si avviò tra gli alberi, infuriata .
Avere un coltello non era una cosa solo da uomini, le donne li usavano tutto il tempo per pulire e preparare i pasti, per raccogliere e dissotterrare frutta e verdura, per aggiustare piccole cose in casa. Tutte le donne del villaggio avevano un proprio coltello, grande o piccolo che fosse, per i lavori domestici. Solo a loro era proibito averne uno, Mikael non si fidava di loro o forse pensava che fossero inutili e stupide? La madre usava diversi coltelli, ma nemmeno lei ne aveva uno personale, nemmeno quello che usava per i suoi rituali e incantesimi era davvero suo, Mikael avrebbe potuto prenderlo in qualunque momento senza che lei potesse dire nulla al riguardo.
E comunque, solo perché il padre aveva detto che non poteva avere un coltello, significava davvero che non potesse averlo? Si mise a rimuginare su come procurarsene uno. Avrebbe potuto scambiare qualcosa con il fabbro, ma sicuramente suo padre lo avrebbe scoperto. L ui e Rolf si conoscevano bene e si scambiavano spesso parole, e in quel caso suo padre avrebbe picchiato lei per poi portarle via il coltello. Avrebbe potuto rubarlo a qualcuno, ma non voleva rischiare la punizione che un furto avrebbe comportato se fosse stata scoperta. Prenderlo ai suoi fratelli avrebbe significato metterli in pericolo, se il loro padre avesse pensato che avessero perso un coltello, per quanto vecchio potesse essere, sarebbero stati pesantemente picchiati, almeno finché il coltello non fosse saltato fuori e i suoi fratelli non si meritavano una cosa simile.
Un’idea ridicola le cominciò a solleticare il cervello. E se lo avesse preso a Mikael stesso?   Magari uno dei coltelli che portava spesso con sé. A tutti capita di perdere le cose, suo padre non avrebbe potuto incolpare nessuno tranne sé stesso per aver perso un coltello. Così lei avrebbe avuto il suo coltello, i suoi fratelli non si sarebbero messi nei guai e magari Mikael avrebbe imparato un po' di umiltà. Era un'idea perfetta. Tutti avrebbero vinto così.
Con passo più leggero continuò a camminare verso casa, felice per aver trovato una soluzione al suo problema. Adesso si trattava solo di pianificare come e quando prendere il coltello. La cosa migliore sarebbe stata aspettare che andassero a caccia e prenderglielo durante i momenti frenetici del loro ritorno a casa, ma era la stagione sbagliata per quello e lei non aveva intenzione di aspettare l’autunno per avere un coltello.
Forse sarebbe riuscita a prenderglielo quando tornavano dalla mietitura nei campi. Non sarebbe inaudito che qualcuno prendesse qualche oggetto caduto e che qualcun altro se lo intascasse facendolo sparire. Sì, quello era un buon piano.
Doveva solo aspettare il momento giusto.
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Il momento giusto che arrivò meno di una settimana dopo, quando tutte le famiglie si ritrovarono a lavorare nei  campi per la mietitura del grano. Le donne cucinavano, portavano l’acqua e la birra, preparavano il terreno per la futura battitura. I bambini e i ragazzi non abbastanza grandi per maneggiare i falcetti e la falce lunga stavano diligentemente dietro gli adulti ad ammucchiare il grano con le spighe lasciate in alto in modo tale che fossero pronte per essere messe nei covoni.
Il lavoro era duro, iniziava appena il sole cominciava a illuminare i campi, ma era anche stranamente allegro. Era il coronamento di un anno di lavoro e attesa. Le donne e le ragazze cantavano allegramente mentre preparavano il primo pasto e quello di metà giornata, scandendo il lavoro dei mietitori che ne seguivano il ritmo con i loro falcetti, i bambini correvano in giro, giocando e lavorando allo stesso tempo. Sua madre e Ayana si prendevano cura dei piccoli tagli e infortuni dei mietitori e dei ragazzi che correvano avanti e indietro dai campi. Le gambe dei ragazzi erano spesso piene di tagli e abrasioni dovuti alle dure spighe appena tagliate e le mani degli uomini si tagliavano facilmente mentre stringevano  le spighe nel pugno per il taglio. Anche i piedi non erano esenti dalle ferite che le spighe tagliate potevano provocare a chi non aveva stivali abbastanza robusti. Ancora nessuno si era tagliato con il falcetto ma ogni anno succedeva, soprattutto ai più giovani e inesperti.
Dopo un paio d'ore dall'inizio dei lavori una delle donne più anziane del villaggio richiamò tutti per il primo pasto. Una zuppa abbondante con carne salata e gustosa, verdure novelle, pane e formaggio fresco, frutta appena raccolta, birra e latticello. Erano stati anche preparati alcuni dolci, biscotti e torte al miele per alleggerire il lavoro e l’umore.
A metà giornata venne servito un pasto con gli avanzi e in più un’abbondante quantità di carne bollita e arrostita su grossi fuochi controllati dagli uomini che non erano più in grado di lavorare i campi. La birra scorreva liberamente, gli uomini si rilassavano all'ombra degli alberi e delle tende che erano state erette in mattinata per tenere al fresco il cibo e le bevande. Le schiene erano doloranti e le braccia divennero quasi insensibili. 
I suoi fratelli erano tutti accalcati all'ombra di una grande quercia con i volti stanchi e i capelli che si asciugavano dal sudore della giornata. Perfino Henrik sembrava esausto    e dolorante. Avrebbero voluto potersi distendere e dormire ma mancavano ancora molte ore alla fine della giornata. E sarebbe andata avanti così ancora per molte altre giornate, almeno fino a quando tutti i campi non fossero stati mietuti.
Mikael era seduto sotto un altro albero, intento ad affilare il falcetto mentre parlava con altri uomini del loro villaggio. Era strano vederlo così tranquillo e quasi pacifico, circondato da altri uomini, forse anche lui era stanco. O più probabilmente era a suo agio con loro, guerrieri come lui, induriti dal viaggio che li aveva portati sulle sponde di questo nuovo mondo e dalle battaglie che avevano combattuto durante le razzie quando erano più giovani. Sembrava che gli unici con cui non fosse a suo agio fossero i suoi figli, anche se facevano di tutto per cercare di andare d’accordo con lui.
Rebekah e Hilda stavano portando una grande brocca di birra e dei boccali per i loro fratelli e il padre, felici di vederli rilassarsi dopo l'intensa fatica della giornata. Dopo essere tornati a casa sarebbero andati tutti al fiume a lavarsi dal sudore e dalla polvere ma per il momento puzzavano tutti come bestiame facendo arricciare il naso di Rebekah e facendole contrarre le sopracciglia.
“Non so come possiate stare tutti così vicini, non sentite l'odore atroce che avete?” chiese ad alta voce ai fratelli che protestarono con grugniti e esclamazioni offese.
“Non è che tu profumi di rugiada e fiori, cara sorella, tutto il contrario direi!” la prese in giro Kol accettando il boccale che gli porgeva Hilda. “E io? Io di cosa profumo?” chiese allegramente la piccola che venne prontamente afferrata da Niklaus che finse di annusarla profondamente intorno al collo facendola scoppiare a ridere con toni squillanti che si riverberarono tutt’intorno a loro. “Tu, sorellina, profumi di miele e lavanda e forse un pizzico di guai!” esclamò rimettendola a terra e afferrandole le mani per farle oscillare tra di loro. “Si può dire certamente che sei la più profumata di tutti noi” le disse Finn con un sorriso dolce facendola ridacchiare nuovamente.
Una volta dati tutti i boccali ai fratelli, la piccola corse  a portarne uno anche al padre che la osservava di sottecchi. Era il primo anno in cui le era stato permesso di contribuire alla giornata di lavoro anziché rimanere con gli anziani e gli altri infanti e sembrava si stesse comportando bene, aveva portato avanti e indietro mestoli pieni d’acqua per aiutare a combattere il caldo e la disidratazione di chi lavorava sotto il sole battente ma sembrava allegra e felice, anche se aveva il vestito impolverato e le trecce sembravano sul punto di sciogliersi.
“Avete sentito, padre? Nik dice che profumo di miele e lavanda!” esclamò felicemente. Il padre lanciò un'occhiataccia al figlio ma rispose tranquillamente alla figlia più piccola. “Davvero? Allora vuol dire che puoi lavorare ancora un po', non ti pare?” E benché il suo non fosse inteso come un rimprovero vide parte della felicità della figlia offuscarsi.
Era sempre stata molto sensibile ai rimproveri, scoppiando spesso in lacrime anche per il più semplice rimbrotto o un suggerimento mal formulato. Fortunatamente sembrava non riuscire a rimanere triste e imbronciata per molto tempo.
In quel momento arrivò anche Rebekah con la brocca di birra per riempire il  boccale del padre. Nella fretta di farle posto, e allontanarsi dagli intensi occhi di Mikael, Hilda mise un piede su una pietra nascosta tra l'erba cadendo a terra e battendo violentemente il gomito sul terreno.
Per un secondo rimase scioccata e silenziosa per poi scoppiare a piangere sonoramente facendo alzare in contemporanea sia il padre che i fratelli. Mikael si mosse velocemente per farla alzare in piedi e controllarle il braccio che aveva battuto a terra, felice di vedere solo un piccolo strappo sulla manica del vestito ma niente sangue né abrasioni. “Smettila di piangere, non è successo niente. Stai bene.” le disse con voce burbera.  
Rebekah approfittò del momento.
Erano tutti concentrati sulla bambina che piangeva, nessuno guardava dalla sua parte. Afferrò velocemente il coltello che suo padre aveva lasciato vicino a dove era seduto e se lo mise nella tasca interna della gonna, lanciando velocemente uno sguardo intorno per accertarsi che nessuno, nemmeno i suoi fratelli, l’avessero vista.
Era stato un colpo di fortuna, se sua sorella non avesse fatto tanto chiasso per un piccolo scivolone avrebbe dovuto attendere di tornare a casa per provare a rubare il coltello del padre, ma con tutti gli uomini concentrati per un momento sulla bambina era stato il momento perfetto per farlo sparire. Nessuno l’aveva vista, Mikael avrebbe pensato di aver perso il coltello nei campi mentre mieteva il grano e nessuno avrebbe saputo cosa avesse fatto, era stato perfetto. Nemmeno se avesse organizzato lei le cose sarebbero andate così bene.
Una volta sicura che il coltello non si vedesse attraverso la gonna e che non creasse strane increspature, andò dalla sorellina e dal padre, ancora portando la brocca ormai semivuota.
“Dai, vieni, ti porto da nostra madre così ti guarda quel braccio.” le disse prendendole una spalla e accarezzandogliela dolcemente per confortarla. Gli uomini tornarono a chiacchierare tranquillamente mentre Mikael le guardava andarsene in direzione di  Esther. I fratelli invece decisero che era ora di riprendere il lavoro, si erano riposati abbastanza, e sentivano già i muscoli che si irrigidivano per essere stati fermi troppo a lungo. Afferrarono i falcetti e si diressero verso i punti dove avevano interrotto il loro lavoro. Tutti in fila, uno dopo l'altro ricominciarono a mietere le spighe  , piegati sotto il sole e appesantiti dal pasto concluso da poco. Sarebbe stata una lunga giornata.
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Il coltello le bruciava la gonna ogni volta che si muoveva e lo sentiva toccare la coscia; credeva di vedere  in continuazione qualcuno che la guardava. Si sentiva tesa e colpevole, poteva quasi sentire una sorta di aura che la circondava, qualcosa che avrebbe avvertito gli altri di cosa aveva fatto.
Come aveva potuto anche solo pensare che rubare il coltello del padre fosse una buona idea? Cosa le era preso? Avrebbe voluto rimetterlo a posto non appena era arrivata dalla madre con Hilda che ancora tirava su col naso. Era stata una stupida a pensare di poter rubare qualcosa a Mikael, sarebbe finita nei guai e lui l’avrebbe picchiata per questo. Ma non poteva semplicemente tornare lì da loro e dargli il coltello, non poteva farlo. Se, anche solo per un momento, il padre avesse pensato che gli aveva rubato il coltello l'avrebbe frustata con la cinghia o peggio.
Rabbrividì pensando alla furia del padre, alle percosse, al dolore. Non poteva farlo. Non poteva confessargli di aver preso il suo coltello , di averlo rubato.
Continuò per tutto il resto della giornata a guardarsi alle spalle, aspettandosi che qualcuno le puntasse il dito contro, accusandola del furto, ma non successe nulla del genere. Gli uomini erano ancora curvi nei campi a falciare braccia e braccia di grano, i ragazzi e i bambini correvano ancora in giro giocando e portando acqua, le donne parlavano e preparavano già le cose per i pasti del giorno dopo. Nessuno badava a lei.
Quando il sole cominciò a calare i lavori si interruppero, misero via gli attrezzi, raccolsero le proprie cose e si avviarono verso casa. Anche i suoi fratelli se ne andarono mestamente mentre lei e le altre femmine della famiglia finivano di raccogliere gli unguenti e le bende che la madre aveva usato durante la giornata.
Ma più si avvicinava alla casa più sentiva il coltello pesarle addosso. Non poteva portarlo all'interno della capanna, non avrebbe potuto nasconderlo nel pagliericcio che condivideva con sua sorella, non avrebbe potuto nasconderlo in nessuna cassapanca dove riponevano i loro vestiti più pesanti. Non esisteva un posto che fosse solo suo dove nascondere una cosa simile. Non ai suoi fratelli, che allora avrebbero saputo cosa avesse   fatto, e non ai genitori.
“Hilda tieni, devo andare alla latrina” le disse mentre le porgeva il cesto e il fagotto pieno di medicamenti e erbe. La sorella sollevò con difficoltà il cesto tra le braccia e continuò a camminare stancamente dietro la madre che lancio un'occhiata a Rebekah mentre proseguiva verso casa.
Una volta fuori vista corse velocemente verso gli alberi più vicini cercando freneticamente un posto dove nascondere il coltello del padre. Doveva fare in fretta, prima che qualcuno la venisse a cercare. Scavò sotto diversi alberi con le unghie che raschiavano il terreno e si rompevano sui piccoli sassolini e sulle radici, ma la terra era dura e non riusciva a fare una buca abbastanza profonda solo con le mani. Diventava sempre più disperata man mano che i minuti passavano, si pizzico la parte carnosa del pollice per cercare di restare concentrata, guardandosi freneticamente attorno, gli occhi spalancati nella luce calante.
Finché non notò un albero con una piccola cavità, poco sopra l'altezza dei suoi occhi. Ci infilò la mano e la trovò vuota, umida e viscida . Un insetto le cammino sul dorso della mano facendole prendere un respiro tra i denti. Non era un buco molto profondo ma abbastanza per il coltello lungo due palmi che aveva rubato. Lo tolse velocemente dalla tasca, facendo impigliare il manico d’osso diverse volte nella fretta di nasconderlo e lo mise dentro la rientranza che aveva trovato.   
Non appena si allontanò dall’albero, e dal suo contenuto, si sentì più leggera. Si strofinò le mani mentre si guardava intorno e camminò velocemente verso casa.
I suoi fratelli e suo padre ne stavano uscendo, portando alcuni secchi. “Andiamo al fiume, nostra madre ti stava cercando” le disse Finn mentre le passava vicino. “Sto andando, sto andando” si affrettò a rassicurarlo. All'interno il fuoco era già ben avviato, la pentola con lo stufato era già in ebollizione, la tavola era pronta per l'ultimo pasto della giornata e sua madre stava tagliando del formaggio dell'anno prima. La cena non sarebbe stata abbondante come in altre occasioni ma avevano già fatto due pasti e più di tutto sentivano la stanchezza pesare sulle loro spalle. Al momento avevano più bisogno di dormire che di mangiare abbondantemente.
“Bekah mi aiuti con i capelli?” le chiese Hilda che stava cercando di pettinarsi  con il pettine di osso intagliato. “Certo piccola, dammi un attimo.” rispose mentre andava a lavarsi le mani nel bacile. Avrebbe dovuto cambiare l’acqua non appena avesse finito perché le mani erano ricoperte di sporco per aver scavato sotto gli alberi e aveva incrostazioni di terra sotto le unghie che teneva normalmente ben limate e corte. “Ti sei già lavata, pulce?” le chiese mentre prendeva il bacile per svuotarlo fuori dalla porta. Attese il suo cenno e uscì di casa. I suoi fratelli sarebbero tornati dal fiume presto con nuova acqua da bollire, dopo averci sguazzato dentro per un po' per togliersi la polvere e il sudore della giornata.
Tornata in casa si avvicinò alla sorellina e le prese il pettine dalle mani prima di sedersi dietro di lei e cominciare a districare dolcemente i capelli lunghi  che le arrivavano già a metà schiena. Le trecce erano da rifare assolutamente, c’erano ciuffetti che sbucavano da tutte le parti e mentre pettinava le lunghe ciocche ne caddero fuori anche dei pezzetti di spighe e foglie. Cosa aveva fatto sua sorella? Si era rotolata a terra? 
Con cura le districò i nodi, prese due ciocche di capelli sulle tempie e li intrecciò abilmente, inserendovi all'interno una piccola perlina di ferro su ciascun lato, poi li raccolse dietro la nuca della sorellina e continuòo a intrecciare insieme le due trecce che aveva ricavato così da formare un cerchietto di capelli che le tenesse il resto della capigliatura lontana dal viso tondo. Probabilmente avrebbe dovuto rifarle già il giorno dopo, sembrava che la piccola Hilda non riuscisse mai a tenere le sue trecce in ordine. Ma almeno aveva dei bei capelli biondi, luminosi e chiari come raggi di sole sulla neve. Non tutti i suoi fratelli avevano avuto questa fortuna, solo Hilda, Niklaus e lei avevano ereditato i capelli biondi del padre, gli altri avevano i capelli scuri. Aveva spesso sorpreso Finn e Elijah a cercare di schiarirsi i capelli con la liscivia   ma non aveva ancora funzionato. Sembrava che il bruno fosse immune ai loro tentativi.
I suoi fratelli tornarono poco dopo che Rebekah finì di chiudere la treccia sulla schiena della sorella con un laccetto di cuoio tinto di rosso. Entrarono in sordina, portando i secchi di acqua da bollire e le casacche sulle braccia. Erano tutti irrigiditi e guardinghi, tesi come corde d’arco. Doveva essere successo qualcosa.
Mikael entrò dopo di loro, senza guardare nessuno andò velocemente verso la cassapanca dove lui e Esther tenevano i loro vestiti e coperte e cominciò a rovistarvi dento. Senza aver trovato ciò che cercava continuò verso il loro pagliericcio tirando via coperte e cuscini, spostando le tende violentemente, continuò a cercare in tutta la capanna. Si muoveva come un toro infuriato, o forse uno di quei Bisonti delle Foreste che ogni tanto vedevano nei boschi.
“Cos...” provò a chiedere ma venne fermata da Kol che le mise una mano sulla spalla intimandole con lo sguardo di tacere. Tutta la famiglia, tranne suo padre, sembrava paralizzata. Restavano tutti in silenzio, spostandosi velocemente dalla traiettoria del padre quando lui si avvicinava troppo ma per il resto rimanevano immobili e silenziosi. Terrorizzati.
Mikael sembrava in preda alla furia, cieco a qualunque cosa tranne che alla sua ricerca. Rebekah sentì improvvisamente il gelo scenderle nelle ossa. Sapeva cosa stava cercando, sapeva di essere la causa della sua furia. Avrebbe voluto trovare il coraggio di dirgli di aver trovato il suo coltello a terra a fine giornata. Avrebbe voluto avere il coraggio di attirarsi la sua ira addosso invece di lasciarlo correre da una parte all'altra della loro capanna rovesciando e lanciando in giro le loro cose. Ma l'unica cosa che fece fu afferrare strettamente la sorellina e abbracciarla mentre guardavano con gli occhi spalancati la devastazione che il loro padre stava facendo.
“Dov’è? Dov’è il mio coltello da caccia?” ruggì guardandoli ciascuno negli occhi, fino a fargli abbassare lo sguardo. E poi pronunciò la frase che fece fermare il cuore di Rebekah. “Chi di voi inutili ingrati lo ha rubato?”.

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