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Klyn si lasciò cullare dalla dolce melodia di una vecchia canzone, permettendo ai pensieri di farsi strada nella sua piccola testa.

In quegli ultimi giorni stava provando un'emozione diversa dalla rabbia, dalla tristezza o dalla momentanea felicità...lei stava iniziando ad avere paura, perché aveva capito che qualcosa dentro di lei stava mutando, stava cercando disperatamente di uscire da lei, e Klyn aveva capito cos'era, lo sapeva benissimo, ma era diverso dalle poche volte in cui le successe.
Era come la muta dei serpenti; più volte la vecchia lei aveva cercato di sopraffarla e uscire fuori, ma Klyn l'aveva sempre repressa, l'aveva mandata via malamente, ma questa volta moriva dalla voglia di tornare come prima, di lasciare tutto al caso e ricominciare, ricominciare davvero.
Poter correre, ridere, divertirsi, dire "ti voglio bene" come faceva una volta, riprendersi tutto quello ciò che si era lasciata scappare.

Tormentata dalle riflessioni, Klyn, chiuse gli occhi abbandonandosi al sonno.

"C'era una volta, tanto tempo fa, una bella bambina dai capelli biondi come la criniera di un leone."
"Come i miei?" Chiese Klyn.
"Come i tuoi.-sorrise la madre-Era dolce, sensibile e sempre gentile."
"Come me?"
"Come te piccola mia.-sorrise di nuovo la madre-Il suo nome era Savannah.
Lei aveva un sogno, voleva imparare a volare, ma da sola, senza aerei, elicotteri o tute speciali, per conto suo, proprio come Peter Pan.
Tutte le bambine della sua età sognavano di essere come Wendy, la ragazza perfetta, ma Savannah no, Savannah voleva essere come Peter Pan."

Klyn si svegliò ore dopo, e accarezzò i suoi lunghi capelli tinti di rosso.
Questo era probabilmente il suo colore preferito, ma non ne sapeva nemmeno il motivo, forse perché era anche quello della sua mamma.
Aveva deciso di cancellare ogni traccia della vecchia Klyn, arrivando a cambiare colore ai suoi capelli, quelli che la mamma amava tanto.
Si alzò dal suo comodo letto e scese in cucina, trovandosi di fronte una scena che avrebbe preferito non vedere mai: suo fratello era per terra, privo di sensi, il suo viso era pallido come il cielo in inverno, ed i suoi occhi socchiusi.
Per poco non urlò, presa dal panico e dalla preoccupazione che l'assalivano.
"Rowen." Disse con tono di voce alto, mentre lo scuoteva.
"Rowen." Questa volta un sussurro.
"Rowen, ti prego svegliati. Che ti è successo?"
Alzò lo sguardo e vide un barattolo sopra al tavolo, così, non seppe neanche lei con quale coraggio, lo prese e lesse l'etichetta: PILLOLE ANTIDEPRESSIVE.
I suoi occhi si fecero ancora più lucidi, scagliò il piccolo barattolo per terra, con tutta la forza che aveva, e urlò.
Urlò perché non sapeva che fare, perché il fratello non l'aveva messa al corrente di ciò che stava passando, urlò perché, in quel momento, si sentì così...impotente, così sbagliata, come se ogni problema fosse un effetto collaterale delle sue azioni.
Klyn, tremante come una foglia, prese il cellulare e digitò il numero dell'ospedale più vicino, che prontamente mandò un'ambulanza a prendere suo fratello, forse per l'ultima volta.
Chiese in malo modo di poter salire assieme a lui, ma fu mandata via con altrettanta cortesia, così fece la prima cosa le venne in mente...iniziò a correre, nonostante le lacrime che le offuscavano la vista, lei continuò a correre senza meta, per incanalare tutto quel miscuglio di rabbia, preoccupazione e tristezza in qualcosa che poteva aiutarla.
Si fermò dopo ore, sedendosi su una panchina e socchiudendo gli occhi, godendosi l'aria fresca che le scuoteva leggermente i capelli.
"Klyn...che ci fai qui?" Una voce ruppe l'attimo di pace creatosi in quei pochi istanti.
I suoi occhi erano ancora visibilmente rossi, ed il suo respiro irregolare come le onde del mare in tempesta.
Lei scosse la testa:"Lasciami in pace Joe."
Lui, però, si sedette di fianco a lei:"Sai? Non capisco proprio perché tu non voglia farti aiutare."
"Io non ho bisogno di aiuto." Disse lei a denti stretti.
Lui rise:"Ah no? A me pare di sì, invece."
"Ti pare sbagliato, infatti."
Lui si girò verso di lei:"Lyn, ascoltami, non puoi fingere di essere forte per tutta la vita. Per una volta, lascia che qualcuno ti aiuti...se non io, anche qualcun altro, ma lasciati aiutare."
Lei, che ormai faceva fatica a trattenere le sue emozioni, scoppiò in un amaro pianto davanti all'amico...sì, il suo amico.
"Perché tu riesci sempre a far sì che io faccia ciò che non voglio fare?!" Urlò.
"Non lo so.-rispose lui calmo-Questo dovresti saperlo tu, non io."
Gli occhi di Joe erano lucidi, e sembravano danzare come lucciole nella notte.
"Perché stai piangendo, Lyn?" Chiese.
"Non lo so.-singhiozzò lei-Per troppe cose."
Lui l'abbracciò, facendo la stessa identica cosa che fece qualche tempo prima, facendola sentire al sicuro, anche se per poco.
Klyn non si mosse, rimase lì, lasciando che il respiro di lui le facesse dimenticare tutto quello che c'era di sbagliato in lei.
I singhiozzi aumentarono e le lacrime non sembrarono accennare un rallentamento, ma continuarono la loro corsa veloce.
"Ancora non riesco a capire come tu possa tenere a me, Joe." Sussurrò con la testa affondata nel suo giubbotto.
"Ci sono cose che non sono fatte per essere spiegate, ed una di queste sono i sentimenti. Loro non li potrai mai spiegare Lyn."
"Mio fratello...-iniziò Klyn-l'ho trovato qualche ora fa steso per terra, privo di sensi, ora è all'ospedale e non so nemmeno come sta, tu..."
La ragazza non finì ciò che voleva chiedergli, ma lui, capendo, domandò:"Vuoi che ti accompagni, Lyn?"
Lei annuì strofinandosi la punta rossa del naso con la manica del suo maglioncino marrone, come i capelli di Joe.
Si alzò e, prima di iniziare a camminare, disse:"Ti ringrazio, Jojo."
Jojo. Questa era il soprannome che gli aveva dato Klyn quanto erano piccini, lui lo odiava, e lei si divertiva a vederlo nervoso.
"Come mi hai chiamato?" Chiese.
"Jojo." Rispose scandendo bene ogni lettera.
"Molto divertente, Klyn."
Lei, invece, odiava essere chiamata Klyn da persone che non fossero suo fratello o suo padre.
"Piantala." Disse, ma questa volta, non con il suo solito tono seccato, anzi, quell'affermazione, fu accompagnata da un lieve sorriso.
Lui l'affiancò, la guardò e sorrise:"Ti voglio bene Lyn."
Lei fremette, avendo paura di rovinare tutto ciò che aveva costruito in quegli anni, di cambiare il corso delle cose.
Eppure ormai l'aveva capito che era inevitabile, aveva capito che prima o poi la sua recita sarebbe stata sostituita, aveva capito che la vecchia Klyn, la vera Klyn, sarebbe uscita fuori, pronta a combattere, ormai stanca di risiedere nella prigione del suo stesso cuore.
Però lei ancora non lo accettava, non riusciva, non voleva, o forse, in questo caso, il termine più corretto è non poteva.
Respirò profondamente, accelerò il passo e poi disse:"Ti ripeto che se continuerai con queste cose troppo sdolcinate per i miei gusti, mi farai venire il diabete."
"Va bene,-disse lui alzando le mani in segno di resa-mi arrendo."

"Tutto si sistemerà Lyn."
"Tu non puoi saperlo."
"Ciò che so è che tu sei forte, forte abbastanza da non arrenderti."

Forse, pensò Klyn, avevi ragione Jojo, forse io ero forte abbastanza, ma non ci credetti, e così, iniziai a precipitare come poggia sull'asfalto.

𝐼𝑜 𝐻𝑜 𝑇𝑒, 𝐹𝑟𝑎𝑡𝑒𝑙𝑙𝑜Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora