Capitolo 12

211 7 3
                                    

Buttati,

lanciati,

ritirati,

fa pace e fa guerra.

Lascia che io sia

Il sole dei tuoi pensieri;

la luna delle tue emozioni.

Lascia che io sia il tuo mare,

e io ti lascerò essere il mio Ulisse.

Non era cambiato nulla, il portone era sempre uguale e imponente uguale. In fondo, l'imponenza della famiglia Medici non era cambiata, semmai era cresciuta a dismisura. Mi sentivo una sciocca, una stupida, ma mi parve la cosa migliore da fare, anche perché non avevo visto molte alternative nella notte precedente. Correre da Giuliano, però, rimaneva pur sempre un controsenso: perché correre da qualcuno che ti ha fatto soffrire? Ho avuto mille alternative diverse, rimanere a casa, andare via con mio marito, andare in giro per Firenze, andare in chiesa... ma ho scelto un'alternativa che elencava il cuore, penso, e non la testa. Detestavo questo lato di me, che più volte provavo a reprimere e, se ci riuscivo, la volta seguente soffrivo il doppio. Feci che bussare, afferrando il semicerchio in ottone. Sandro mi aprì e il suo sguardo trapelò gioia, mi abbracciò rapidamente.

Il portico era un fiorire di persone, delle caste sociali più alte, ma non diedi molto peso a questo. I vasi grondavano di rose, ortensie e margherite, creando mille o più vortici di colore, che mi parvero immensi nella loro piccolezza. Un ragazzo colse un fiore, da un vaso poco più in là, e lo porse a una ragazza vicino a lui; ella rise imbarazzata, si coprì parte del volto con la mano e, timidamente o forse per l'imbarazzo, gli lasciò un sottile bacio sulla guancia. Il ragazzo sorrise, arrossendo leggermente e due fossette gli comparvero sul volto. I due erano appena sposati, dato la presenza degli anelli nuziali, e mi girò la testa: era questo il vero significato di sposarsi per amore? Sì. E questo non mi sarà mai concesso, a meno che io non riesca ad innamorarmi perdutamente di Geremia, e viceversa. Ma questa mia ultima affermazione è un'utopia bella e buona.

"Isadora," Clarice arrivò poco dopo e un sorriso comparve sul mio volto. Le andai in contro, mentre lei allargava le braccia per un abbraccio, feci lo stesso. "Come va con vostro marito?"

"Direi bene, e con Lorenzo?" rigirai la domanda, non volevo parlare della mia vita coniugale. Probabilmente perché non c'era nulla da dire, o perché io non avevo nulla di focoso da raccontare o perché sentivo la necessità di sentir parlare d'altro.

"Bene," sorrise. Quella sua risposta racchiudeva un sentimento immenso, che scacciò lo scetticismo di pochi mesi prima. Erano riusciti a donare i loro cuori, lei e suo marito, all'altro partner, creando una struttura matrimoniale che andava oltre il semplice giuramento. Non li invidiavo, non ero gelosa, semplicemente li stimavo: stimavo quel loro modo di essere, quel loro modo di vivere e quel loro modo di stare. Stimavo il loro amore e la loro capacità d'amare.

Giuliano era in camera sua, disteso a letto e, conoscendolo, o per così dire, non saprò mai le dinamiche dell'incidente. Giuliano è sempre stato così, non ti dice le cose, probabilmente per vergogna o per timore di qualche reazione. Feci che salire le scale, piano, mentre della servitù saliva ed altra scendeva. Mi sentii morire dentro, il vuoto nel petto, l'eco del cuore, l'aria nella pancia e le gambe molli. Respiravo a stento, la mia pelle rabbrividiva assieme alle ossa, le mie guance andavano a fuoco e la mente si annebbiò. Passai una mano sulle spalle, le strinsi e presi coraggio, o quel poco che mi rimaneva, per bussare alla sua porta. Era possibile che, appena dovevo vederlo, perdessi la voglia di andare avanti e volessi ritornare indietro? Ero codarda, o semplicemente spaventata, o temevo per la mia incolumità, o il mio cuore parlava più forte della mia mente. Forse temevo per i miei freni inibitori.

Arte atque MedicinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora