Capitolo 7

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Ascoltare: Gratia et misericordia by Paolo Buonvino

Finis miseriae mors est.
La morte è la cessazione di ogni affanno.
(Anonimo)

Sarà la redenzione

la sete di eterno

la fame di gloria.

Sarà la fine e

l'inizio.

Vegliano su di te

gli arcangeli

e la

donna redentrice.

Osservai l'alba in quel giardino ormai troppo conosciuto. Il Sole faceva capolino fra le montagne con timidezza, lasciando i miei pensieri esposti alla sua luce. Mi chiedevo se fosse il caso di costringere Giuliano e Lorenzo alla fuga, se fossi ancora in tempo per parlare con il maggiore e confessare i miei peccati. E' così sbagliato pentirsi? O forse tale atto equivale alla grazia di spirito? La luce ambrata incominciava ad illuminare Firenze, ma senza una risposta sul mio da farsi. Forse nemmeno il Signore mi avrebbe aiutata. Dopotutto, Cristo non gli domanda il motivo del suo abbandono?

Sospirai e guardai la mia sottoveste chiara, mossa appena dal vento di aprile e colorata da quei nastri luminescenti. Era ormai troppo tardi sul da farsi: avevo giurato e al mio dovere dovevo adempiere, senza paura. Eppure, è corretto tradire il proprio amore quando, finalmente, l'equilibrio ci ha raggiunti? Se solo avessi le risposte, ora non resterei qui tanto a meditare. Avevo troppi segreti in me, fisicamente e non. Mi spostai dei capelli dal volto.

Mancavano sì e no tre ore alla sentenza, o alla redenzione. Avevo tre ore per agire, per liberarmi di tutti i peccati commessi verso gli stessi uomini che mi salvarono anni fa dal freddo della strada. Sospirai e poggiai una mano sul ventre, prima di intrecciarla con l'altra. E' così difficile farsi coraggio? Semplicemente temevo di perdere Giuliano o, forse, temevo di esser uccisa seduta stante: sarebbe stato meglio, per tutti. Che differenza c'è fra la redenzione e la punizione terrena? Non mi sono mai chiesta se, alla fine, la vita di altri potesse finire fra le mie mani, divenendo così una Moira.

Sospirai guardando quel ventre dedito all'ingrossamento. Chissà se Giuliano ha capito senza le mie parole, chissà se potrò usare ciò come mezzo di trattenuta. Ripensai alla lettera di Francesco Pazzi, la convinzione e l'idea di un futuro assieme erano infallibili, ma sarà possibile che un mio intervento cambierà le sorti della storia? Dovrei salvare chi amo e il resto della sua famiglia, così da salvare anche Firenze con essi. Sistemai i capelli dietro le spalle e - dopo dei sospiri che sembravano gli ultimi fiati di un morto - decisi di dover parlare con Lorenzo, senza svegliare suo fratello minore.

Lo studio era situato al primo piano, quello riservato alla nobiltà, alla destra delle scale principali: affiancare il chiostro era diventata un'attività ricorrente negli ultimi giorni, ore, mesi. Mi chiesi se fosse davvero necessario tutto questo, se non potessi comportarmi da Madonna indifferente e lasciare che il fato accadesse. Forse non potevo, forse tutti sanno che non ce la farei. Respirai profondamente, sapevo che il fratello maggiore fosse già in piedi e che stesse preparando gli omaggi al Vescovo: li avevo scelti con sua moglie tempo addietro, prima di Geremia e prima di qualsiasi altro peccato. Ripensai, per un istante, sul da farsi, alla fin fine potrei sempre scappare a cavallo. Riflettei sulla lettera di Francesco Pazzi e, in tutti quel ribadire, si poteva trapelare un certo principio di insicurezza: e se ci fosse una falla? Bussai.

"Madonna, cosa ci fate già in piedi?" Lorenzo de' Medici mi guardò da capo a piedi. Non trasmisi niente, rimasi imparziale, non volevo che leggesse la mia anima per aiutarmi, di danni ne avevo già fatti abbastanza. Lui si sedette e continuò a scrutarmi con quegli occhi vitrei, simili a quelli del fratello se non fosse per la tonalità più chiara, i capelli gli caddero sul volto mentre la barba veniva pizzicata dalle prima tre dita destre. Non dovevo cedere, non adesso che la situazione si era fatta seria, non adesso che potevo cambiare (forse) il corso degli eventi. Mi invitò a sedermi, ma rifiutai, troppa intimità a un cognato che potrebbe morire da un giorno all'altro. Suonarono le campane, due ore.

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