Capitolo 3

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E' che il tempo passa

Ma i ricordi rimangono;

E le parole macchiano

Ma allo stesso tempo promettono.

Certe volte ti penso,

Certe volte ti scrivo,

Certe volte ti leggo.

Essere onesti con se stessi certe volte è molto difficile o, almeno, è quello che vogliono farci credere. Come si può mentire alla stessa mente che, un attimo prima, ci ha mostrato la verità? Come possiamo credere alle nostre stesse bugie, ai complotti, alle belle parole e ai falsi principi? Se Dio ci indica la retta via, sempre, come mai noi la perdiamo? Ognuno, però, troverà la giusta via come meglio crede.

Il prete continuava a leggere la predica con una convinzione tale che, se non fosse stato per il caldo afoso, avrei potuto ascoltarla per altre due volte. Osservai la figura dal pulpito e, con uno sguardo quasi supplichevole, mi concentrai sull'abito bianco. Non accadde nulla. Decisi di ritornare alle mie preghiere e riflessioni personali, così da far passare più velocemente il tempo.

Non seppi nulla della famiglia de Medici da quando me ne andai. Forse per mia scelta o per volere di mio padre, ma nella mia casa non si parlava più di quella famiglia di banchieri da due mesi a questa parte. Nella mia testa, al contrario, non pensavo ad altro. In questi due mesi avrebbero potuto dimenticarmi così come ricordarmi; ma fra le due scelte è più probabile la prima. La lettera di Lorenzo non la aprii fino a questa mattina, nella speranza di sentire qualcosa di confortante, oltre alle continue grida di mio padre e mio fratello Vittorio. Le parole fecero l'effetto desiderato: mi scaldarono il cuore.

Mio padre, in questo periodo di tempo, parve essersi calmato e iniziò a lasciarmi certe libertà. Mi domandai perché fosse venuto a messa, questa mattina, e lo stesso vale per il resto della mia famiglia. Di solito venivo solo io. I banchi dei Pitti non sono mai stati così tanto pieni. La figura paterna era imponente, al mio fianco, e scrutava tutti i presenti alla funzione con i suoi profondi occhi neri. Per un momento raggelai e pensai di esser sotto suo giudizio anche in base alle preghiere e per chi le facessi. La fila per la comunione mi fece distrarre da tali pensieri.

"Amen," sussurrai prima di ricevere l'ostia. Feci per ritornare al mio banco quando, con la coda dell'occhio, intravidi le figure di Lorenzo e Giuliano de Medici. Loro, però, non mi videro. Abbassai il capo, non delusa e tantomeno affranta, quanto più determinata a raggiungere il resto della mia famiglia. Era ovvio che i due fratelli non si trovassero qui per caso e, soprattutto, perché avessero fatto tardi alla funzione in duomo. Ricongiunsi le mani e, dopo poco, la funzione terminò.

Fuori dalla Chiesa vi era un gran caos, simile a quello del mercato, ma nei greggi, in fondo, c'è sempre rumore. Tutto sommato siamo il gregge di Dio. Presi un profondo respiro e feci per avviarmi a Paolo, un membro del coro, ma il braccio robusto di mio padre mi fermò e mi fece cenno di avviarmi con lui alla carrozza. Strinsi la lettera fra le mani, dopo averla estratta dalla mantella.

Cara Isadora Pitti,

giungeste durante una notte fredda e piovosa. Eravate fradicia e malconcia, ma il vostro viso irradiava pace e guerra nello stesso tempo.

I miei genitori vi presero, immediatamente, sotto la loro custodia e vi considerarono come una Medici, come mia sorella. E di questo non posso fare altro che ringraziare il cielo.

Amate leggere, o così mi è stato riferito da una serva, siete solare, genuina e preferite gli spazi aperti. Avete la testa sulle spalle, siete educata e alla vostra personalità non manca niente. Forse reputerete questa valutazione avventata ma, in vita mia, fino ad ora, ho conosciuto molte donne, e nessuna aveva le vostre stesse caratteristiche.

Non mi dovete niente e viene detto anche a nome del resto della mia famiglia. Siete stata cordiale, non avete mai fatto richieste e siete sempre rimasta voi stessa. Non capisco il vostro senso di debito quando, al contrario, io dovrei dovervi almeno mille e mille altri grazie.

I vostri occhi nero pece hanno, ai vostri saluti accaduti in un caldo pomeriggio di marzo, parlato per voi e intravidi quel senso di debito che vi appesantiva. Spero che queste parole vi rincuorino: un'amante della cultura non è debitrice ad altri, se non alla cultura stessa. Entrambi dobbiamo la nostra essenza ai libri. Preferirei non vedere più rimorso e sensi di colpa in voi, quando ci rivedremo un giorno.

Confido nel rivederci al più presto.

Ho amato vedere un'anima simile alla mia, anche se per pochissimo tempo, fra le mie stesse mura e respirare la mia stessa aria. Ho visto quello che non siete solita mostrare al pubblico, come se qualcosa o, peggio, qualcuno, vi tenesse imprigionata: voi.

Se mai vi incontrerò, non esiterò ad omaggiarvi.

Le porte di casa mia, per voi, sono sempre aperte, per qualsiasi cosa, anche per una semplicissima lettura di filosofia.

Lorenzo de Medici.

I cavalli si fermarono dopo un paio di colpi di frustino e, aiutata da mio fratello Vittorio, scesi dalla carrozza. Mi fermai e mi persi nel guardare quelle porte, ormai per me famigliari quanto estranei. In questi due mesi non erano cambiate affatto, nemmeno di una virgola. Accarezzai le rifiniture in bronzo, velocemente, prima che mio padre mi richiamasse all'ordine. Per lui non era conveniente quella situazione o forse non lo era la mia presenza. Non lo so e non lo voglio sapere, non per ora almeno. Mi sorprese che, dopo aver salutato Piero de Medici, potei andare ovunque volessi, visto che non ero indispensabile al momento. Mi congedai con un sorriso e un cenno del capo.

I giardini erano fioriti, a maggio, e le rose variopinte riempivano i vasi così come le colonne del porticato. Se a marzo questo giardino era spettacolare, ora lo è ancor di più. Alcuni fiori d'arancio erano fioriti, profumando il piccolo paradiso dolcemente, mentre facevano da contrasto ai fiori di limone, più aciduli. Sorrisi e mi appoggiai alla corteccia del solito salice, del mio salice.

"Stesso albero, vero?" il fratello minore, Giuliano, mi venne in contro con un ampio sorriso in volto. Ricambiai e ci salutammo come dovuto. Salvo un piccolo taglio sullo zigomo e un colorito più vivace, non era cambiato, ma lo trovai molto più sorridente dell'ultima volta. Osservai con piacere il libro che teneva in mano: Socrate.

"Da quando vi interessa la filosofia?" chiesi divertita, con una nota di curiosità, che lasciai trasparire con gli occhi. Lui mi assecondò, cogliendo la palla al balzo e per rendere questo dialogo un po' più interessante. "Vi facevo più da racconti eroici."

"Ho trovato piacere anche nell'esperienza che acquisisco man mano... giusto per citarlo," mosse la testa da sinistra a destra, così lo stesso con le spalle. Arrossii divertita ma era in errore. Feci per correggerlo, ma venni interrotta.

"Cosa c'entra Aristotele con Socrate?" Lorenzo mi tolse le parole di bocca. E, tra il sorpreso e il seccato, mi voltai assieme a Giuliano nella sua stessa direzione: veniva dalle scuderie. "Fratello siete caduto in errore, mi spiace."

"Giusto, mi scusi, lascio a te l'argomento, visto che te ne intendi tanto," detto questo si avviò, con passo spedito, verso l'interno del palazzo. I suoi passi decisi si scontravano con la ghiaia e facevano un forte rumore, a parer mio fastidioso, sia per come si fosse intromesso Lorenzo che per l'amarezza che Giuliano serbava in tale momento. Respirai profondamente e, col libro che mi aveva dato poco prima, decisi di seguirlo.

"Giuliano aspettate!" fui decisa nel chiamarlo, ma non fu sufficiente. Dopo un paio di richiami mi arresi, anche sotto consiglio di Lorenzo, che mi aveva afferrata per una spalla.

"Dategli tempo, tornerà," furono queste le ultime parole di Lorenzo, prima che lo liquidassi con uno sguardo di rimprovero. Per lo meno avrebbe potuto scusarsi.

"Non lo metto in dubbio, Messere," iniziai, "ma è una persona estremamente diffidente," parlavo come se lui queste cose non le sapesse. Il ragazzo di fronte a me accennò un sorriso e m'invitò a seguirlo, per andare a mettere a posto il libro, nell'enorme biblioteca. Quel posto non l'avevo assolutamente dimenticato.

"E' bello riavervi qui, Madonna," sorrise, sistemando il libro fra i mille in quella sezione. Lo ringraziai, accarezzando le varie rilegature. "Scusate, ma ora devo proprio andare."

"Nessun problema, Messere," accennai un sorriso e accompagnai la sua figura, con uno sguardo, fino alla porta.

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