Vi state chiedendo come tutto è iniziato non è vero?
La mia sofferenza vide per la prima volta la luce quella notte. Quella maledetta notte di sei anni fa. Avevo appena vinto una gara di ballo, battendo una mia coetanea e amica. Mi sentivo così felice e piena di entusiasmo.. Era la prima volta che vincevo qualcosa dopo anni di allenamento. I miei genitori erano fieri di me, si vedeva dal loro volto. Mia sorella era la mia fan numero uno. Litigavamo spesso ma sapevo di poter contare su di lei per qualsiasi cosa. Era un angelo dagli occhi scuri. Era una nottata fredda e piovosa. Uscì dal palazzetto come un missile e entrai in auto. Avevo tra le mani quella fantastica coppa che mi rendeva tanto felice. Ricordo che mia madre mi scattò qualche foto durante il tragitto fino a casa.
“Lia, mettiti in posa! Forza!” mi disse ridendo.
Quel tragitto che mise fine alle loro vite. Quel tragitto che mi distrusse lentamente da dentro. Successe tutto molto velocemente.. Eravamo quasi a casa quando un'auto proveniente dal senso opposto ci venne addosso. Ricordo che i timpani mi esplosero dal fortissimo impatto. Schizzai fuori dalla portiera e rotolai sull'asfalto per diversi metri. Quando riuscì ad alzare la testa vidi mia sorella e i miei genitori a terra, immobili. Mia madre mi fissava costantemente. Urlai a squarcia gola.. Sentivo male dappertutto. Le lacrime mi riempirono gli occhi e non vidi più nulla. Mi accasciai a terra e persi i sensi in preda al dolore.
Mi risvegliai in una stanza completamente bianca con diversi tubi che mi collegavano a delle strane macchine. C'erano delle persone intorno a me. Mi guardavano tutti.
“Lasciatela sola! Forza.” disse una voce femminile.
In un attimo il gruppo si disperse e al loro posto entrò una donna in camice che si sedette vicino a me.
“Tranquilla piccola. Sei al sicuro qui.” mi passò una mano tra i capelli.
Non riuscivo a parlare. Forse il dolore o forse lo shock non mi permettevano di esprimermi. In quel momento volevo solo piangere e urlare.
“Povera piccola..” mi abbracciò delicatamente.
La guardai per qualche secondo ma poi i miei occhi si chiusero da soli. Sentivo solo delle voci ovattate. Non sapevo dove fosse la mia famiglia. Quel dubbio mi riempì la testa per tutta la notte.
La mattina dopo mi svegliai disturbata da un continuo via vai di persone. Mi guardai attorno ma non vidi nessuno. La donna in camice bianco mi raggiunse dopo qualche minuto.
“Ehi piccola, come stai?” mi sorrise.
“M-mia madre..” spiccicai qualche parola.
Lo sguardo della donna si spense di colpo e qualche lacrima le scese sul viso.
“Non ce l'hanno fatta..” disse con voce spezzata.
Non capivo cosa volesse dire. Continuavo a ripetere quella frase ancora e ancora.
“Piccola, sono morti. Sei l'unica sopravvissuta.” mi guardò.
Sentì un vuoto crescere da dentro. Fissavo il suo sguardo con un nodo alla gola. Ero rimasta da sola. Da sola.
“Abbiamo trovato questo.” mi mostrò un bracciale nero con una pietra bianca nel mezzo.
Gli occhi si riempirono velocemente di lacrime e scoppiai a piangere. Delle braccia mi strinsero dolcemente per lunghissimi minuti. Piansi a dirotto. Non riuscivo ad accettare tutto questo. Amavo la mia famiglia con tutta me stessa. Mi era stata strappata via. Per sempre.
Rimasi in ospedale per alcune settimane quando un giorno Claudie, la donna in camice bianco, mi presentò delle persone. La mia attenzione venne catturata da lei. Una signora bionda dagli occhi azzurissimi.
“Emilia, loro sono i Barker. Vogliono adottarti.” mi disse sorridendo.
Non risposi e mi limitai a guardarli.
“Conosciamo la tua storia. Ci ha spezzato il cuore.. Vogliamo offrirti tutto l'amore di questo mondo. Te lo meriti.” disse la donna avvicinandosi.
“Concordo con mia moglie.”
L'uomo mi sorrise. Rivolsi lo sguardo verso Claudie e annuì lentamente. Vidi i suoi occhi esplodere di felicità.
“Bene, signori Barker.. Seguitemi.”
Uscirono dalla stanza lasciandomi sola. Osservai il bracciale e lo portai al cuore chiudendo gli occhi. Era un regalo di mia madre. L'ultimo.
Passarono diversi minuti quando vidi Claudie entrare in stanza e avvicinarsi a me.
“Domani potrai andare con loro. Sono delle brave persone. Ti meriti il meglio, piccola.” mi sorrise dolcemente.
Ricambiai il sorriso e le afferrai la mano.
“G-grazie.” dissi a bassa voce.
“Devo ammettere che mi mancherai.”
“A-anche tu mi mancherai..” sorrisi.
“Ti prego non farmi piangere..” mi abbracciò
Si concluse così la mia permanenza all'ospedale.
La mattina dopo feci l'ultima colazione in compagnia di Claudie. Quella donna mi voleva bene con tutta sé stessa. I Barker vennero in tarda mattinata. Si fermarono a parlare con la donna in camice bianco per qualche minuto, quando mi presero per mano.
“Pronta?” disse l'uomo.
Annuì velocemente e sorrisi. Guardai un'ultima volta Claudie e uscì dalla stanza. Diversi infermieri mi sorrisero.
Iniziò così la mia nuova vita. O almeno lo credevo. Dopo un'oretta di strada, arrivammo a Hilltown.. Una piccola città completamente circondata da boschi e colline. Quel posto iniziava già a piacermi. Pochi minuti dopo, arrivammo a ridosso di una casa costruita in legno di quercia. Uscì dalla macchina e mi guardai intorno. Iniziavo ad avere paura.
“Ehi piccola, questa è la tua nuova casa.” mi disse la donna.
Annuì e iniziai a seguire l'uomo. Entrai in casa e ciò che vidi mi colpì: il piano terra era diviso in due. Da una parte c'era il salone mentre dall'altra la cucina. Una piccola scalinata separava il piano sottostante con quello superiore. Le pareti erano di un bianco panna affascinante.
“Vieni, ti mostro la tua stanza.”
Seguì la donna per le poche scale. Il piano superiore era pressoché identico a quello di sotto. C'erano tre porte: camera mia, il bagno e la camera dei miei nuovi genitori. Entrai per la prima volta nella mia stanza e rimasi ad osservarla: c'era un letto appiccato al muro, una piccola scrivania con diversi cassetti e una finestra che dava sul piccolo boschetto vicino casa.
“Mettiti comoda. Se hai bisogno di qualcosa puoi chiamarmi” mi sorrise e uscì dalla stanza.
Camminai lentamente per la camera osservando ogni piccolo dettaglio. Mi sedetti sul letto e guardai fuori dalla finestrella. Mi piaceva, era abbastanza tranquilla e accogliente per me. Sistemai le mie cose molto velocemente e scesi al piano di sotto. Mi sentivo ancora in imbarazzo.
“Emilia! Vieni vieni.” l'uomo mi sorrise
Mi sedetti vicino a lui e restai con lo sguardo fisso in avanti.
“Tranquilla.. Sei al sicuro con noi.”
“Edward non pressarla!” esordì la donna.
“Certo che no, Lily. Non ci penso nemmeno.”
Mi sentivo così in soggezione. Volevo solo scappare da quel divanetto in pelle nera ma non lo feci. Pian piano mi tranquillizzai. Persi tutta la rigidità che avevo accomulato e mi lasciai andare.
“Tutto bene piccola?” chiese Lily.
“S-si.” risposi velocemente.
“Tranquilla, sta una meraviglia.” disse l'uomo ridendo.
Lo guardai e sorrisi a mia volta. Sembrava così simpatico e sensibile.
Credevo fermamente che la mia sofferenza fosse giunta alla fine.. Ma era soltanto agli inizi. La mia vita stava per complicarsi ulteriormente. Stava per diventare un inferno.
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Emilia
Teen Fiction[COMPLETA] Dopo la tragica morte dei genitori e della sorella maggiore in un'incidente, la piccola Emilia, allora 11enne, si vede catapultata nel mondo reale. Dopo una permanenza in ospedale viene finalmente adottata. Appena arrivati a Hilltown, un...