1. 𝐵𝑟𝑖𝑑𝑔𝑒

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Oggi è un buono giorno per morire, penso mentre osservo la pioggia scorrere sul vetro della finestra mentre danzo con la testa sulle note di una qualche canzone triste. L'unica cosa a tenermi ancora in vita è proprio lei, la musica. In ogni momento della mia schifosa vita lei è sempre lì a sostenermi e a confortarmi. Non ho più nessuno su cui contare. Tutti mi hanno voltato le spalle o mi hanno tradito. Persino la mia famiglia mi ha mentito. Sono rimasta da sola.
Scuoto la testa e in pochi minuti mi vesto. Afferro le cuffiette e lancio un'occhiata alla scatola da scarpe poggiata sulla scrivania. Tutto ciò che sono è custodito lì dentro. Scendo giù ed esco di casa sotto lo sguardo di Lily ed Edward, la mia famiglia adottiva. Lily è una signora sulla cinquantina dai capelli bruni e dagli occhi ambrati, mentre Edward è un uomo sempre sulla cinquantina con i capelli scurissimi e gli occhi neri come la pece. Chiudo la porta alle mie spalle e getto uno sguardo al cielo. Nuvoloso come sempre. Con due ampie falcate mi allontano da casa consapevole di star vivendo le mie ultime ventiquattro ore in questa città di merda. Percorro quelle strade che mi hanno portata a questa decisione e arrivo al parco. Quel parco che ha visto e sentito tutte le mie urla e i miei sfoghi. Sorrido con malinconia e arrivo a scuola, l'ultimo luogo dove vorrei essere questo momento. Varco lentamente l'entrata e mi guardo intorno. Sembra che tutti si siano dimenticati di me, di Emilia Scott. Bene così. Prendo dei libri dall'armadietto e dopo qualche minuto entro in classe. Cala un silenzio terribile e la mia espressione sotto il cappuccio della felpa non cambia minimamente. Passo tra le fila dei banchi e mi siedo accanto alla persona che mi è stata sempre vicina nonostante tutto: Dylan Cooper. Abbasso lo sguardo e sento la mano di Dylan toccarmi delicatamente la spalla. Alzo la testa e lo guardo da sotto il cappuccio.
"E-Emi.. Stai bene?"
Annuisco e torno a fissare il vuoto. Sento un groppo alla gola che mi appesantisce il respiro ma evito di pensarci. La mia testa è già piena di cose a cui pensare. Piena di persone, volti, azioni e conseguenze. Piena di problemi e di dolore. Piena di tristezza.
Le ore volano e in un battito di ciglia mi ritrovo sulle scalinate della scuola. Dylan mi è vicino e riesco quasi a sentire la sua preoccupazione nei miei confronti.
"Ti voglio un bene dell'anima."
Sono le uniche parole che riesco a dirgli prima di sparire in mezzo alle nebbia. Dopo qualche passo scoppio a piangere e inizio a singhiozzare senza fermarmi. Non riesco più a trovare un senso o uno scopo. Sono solo un'anima priva di sogni e ambizioni. Sono un guscio vuoto. Il cellulare inizia a squillare ma tutti i suoni intorno a me sono ovattati. Sento solo le lacrime scorrere felici sulle mie pallide guance e l'infinita tristezza prendere il controllo dei miei pensieri. Con la mente offuscata torno a casa e prontamente mi chiudo in camera.
"Emilia! Apri la porta, ho bisogno di parlarti."
Sento la debole voce di Lily e mi rifugio in un angolino della stanza.
"Tesoro! È da giorni che non tocchi cibo! Apri la porta!"
Il vocione di Edward mi fa accapponare la pelle. Da bambina mi faceva sentire al sicuro ma adesso.. Adesso mi mette soltanto paura.
"A-andate via.." dico con un filo di voce "Per favore.."
"Emilia, apri la porta ti supplico. Abbiamo bisogno di parlarti."
Mi asciugo le lacrime e molto lentamente mi avvicino alla porta.
"S-si, d-d'accordo."
Giro la chiave in senso antiorario e in un attimo i miei genitori mi sono davanti. Abbasso lo sguardo e sospiro.
"Mi dispiace.."
"Oh bambina mia.."
Sento delle braccia stringermi e per la prima volta dopo tanto tempo mi sento sollevata. Sollevata da quell'incessante senso di colpa e tristezza.
"Adesso vieni con noi e mangi qualcosa. Ok? Tua madre ha preparato le costolette. Se la memoria non mi inganna.. È il tuo piatto preferito."
Annuisco e guardo mio padre negli occhi.
"O-ok.. Grazie."
Scendo le scale scortata a mo di regina e mi siedo sulla sedia. È strano ritrovarmi lì, a comportarmi come se non fossi morta dentro. A comportarmi come se non fosse mai successo nulla. Ma in fin dei conti questa è la mia ultima sera qui.
"Emi, abbiamo intenzione di farti vedere da uno psicologo o almeno ci riproviamo. Ma credimi non è per farti fare il lavaggio del cervello o altro ma è solo per farti stare meglio."
"U-uno psicologo?"
"Si. Io e tua madre siamo d'accordo. Adesso.. Mi serve solo la tua approvazione."
"M-mi fido di voi."
"Grande! Vedrai che ti sentirai da subito come a casa."
Casa, una semplice parola che racchiude un'immensa varietà di parole e concetti. L'ultima volta che mi sono sentita realmente a casa, stavo con la mia famiglia. La mia vera famiglia.
Finisco il piatto colmo di costolette sotto lo sguardo fiero di Lily ed Edward e tiro fuori uno dei sorrisini più falsi che abbia mai fatto. Mi alzo dalla sedia e salgo nuovamente in camera. Mi siedo alla scrivania, apro la scatola e rileggo tutte le lettere. Afferro lentamente quella per Lily ed Edward e la adagio dentro al cassetto centrale della scrivania. Risistemo tutto e mi avvicino alla finestra. In un attimo sento la tristezza circondarmi il cuore con le sue fredde mani. Le lacrime escono pressoché da sole e iniziano a rigarmi il viso. Mi sento una totale nullità.
Passano diverse ore. È ormai tarda sera quando i miei mi danno la buonanotte. Hanno uno sguardo fiero e felice. Ricambio la buonanotte e aspetto che vadano a dormire. Dopo qualche minuto ferma ad aspettare decido di agire. Indosso i miei soliti vestiti, prendo le cuffiette e afferro la scatola. Do un'ultima occhiata alla camera ed esco silenziosamente dalla casa. inizio a camminare per le desolate strade di questa città che tanto odio sotto la pioggia. Mi ha portato via tutto. Dalla mia famiglia a me stessa. Mi ha prosciugata da dentro senza che me ne accorgessi. I miei pensieri si soffermano su quella maledetta scuola. All'inizio mi andava più che bene. Mi piaceva l'idea di una nuova scuola. Peccato che quell'idea durò poco. Ad oggi non riesco ancora a capire il perché di tanta cattiveria. Ma ormai poco importa. Quel che è fatto è fatto.
Tra un pensiero e l'altro arrivo finalmente a destinazione. La pioggia scivola via dal mio cappuccio ormai fradicio. Sistemo le cuffiette nelle orecchie e fisso la luce che proviene da una camera al secondo piano della casa. Faccio alcuni passi in avanti e poggio la scatolina da scarpe davanti la porta. Mi chino, stacco il braccialetto di mia madre dal polso e lo appoggio delicatamente sulla scatola umidiccia che ho davanti. Mi alzo e mi allontano dalla porta. Sento delle voci provenire dalla stanza e la cosa mi blocca per qualche lunghissimo secondo. Sto per spezzargli il cuore ma nonostante ciò mi sento in pace. Alzo per un'ultima volta lo sguardo e mi allontano. Stavolta senza voltarmi. I piedi mi guidano verso l'ultima meta: il ponte. Mi siedo sul bordo e guardo di sotto: un piccolo fiume scorre sereno accompagnato dalla luce lunare. Faccio dei respiri profondi e chiudo gli occhi per qualche secondo. La mia mente sembra non pensare più. È come spenta. Prendo il telefono, lo appoggio di fianco a me e fisso la luna che Illumina completamente lo specchio d'acqua. La trovo bellissima. Alzo le maniche della felpa e passo un dito sulle cicatrici provocate dai tagli. Riesco a sentire ancora il dolore atroce. Getto uno sguardo allo schermo del telefono che segna mezzanotte e mi metto in piedi sul bordo. Sto morendo e nessuno è lì.
Penso alla mie due famiglie. Ne abbandono una per ricongiungermi con l'altra.
“Mi dispiace. Non ho altra scelta."
Guardo un'ultima volta la luna e mi lascio cadere nel vuoto. Per quei pochissimi istanti mi sento bene. È come se stessi volando. Riesco quasi a vedere tutta la mia vita passarmi davanti gli occhi. Riesco a vedere i motivi per i quali ho fatto quel che ho fatto. Ma ormai è troppo tardi per pentirmene. E non voglio nemmeno farlo. Ero e sono troppo debole per affrontare tutto questo. Ho sempre cercato di andare avanti nonostante tutto ma sono arrivata al limite. Ho semplicemente gettato la spugna liberandomi di tutto il dolore e la sofferenza. Chissà che faranno nei giorni a venire.. Probabilmente il mio armadietto verrà cosparso di fiori e dediche. O magari appariranno dei volantini d'aiuto appesi ai muri. Oh che sbadata.. Ci sono già. È per colpa di quella scuola se ora sono qui. È per colpa loro se mi sono arresa. È per colpa loro se mi sono sgretolata pezzo dopo pezzo. Nessuno è mai corso in mio aiuto. Ero quella strana, l'orfana che tutti prendevano per il culo. Non riuscivano a vedere ciò che stavo affrontando. Non riuscivano a vedere Emilia. Non riuscivano a vedere ME.
Faccio un bel respiro e poco dopo la vista si oscura totalmente. Sento il freddo penetrarmi nelle ossa. Quella sensazione che ho imparato ad amare per quei pochi istanti. Sento l'acqua del fiume entrarmi nei polmoni uccidendomi lentamente e con eleganza.
Ho finalmente ottenuto ciò che volevo.
Loro hanno finalmente ottenuto ciò che volevano.

EmiliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora