Capitolo XIII

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Non ricordava come era arrivato a casa di Omi.

Era stato un susseguirsi confuso di immagini e strade, una smania che lo faceva concentrare solo su pedoni, automobili e segnali e sulla presenza calda al suo fianco, che gli faceva accelerare di poco il respiro e sperare di essere arrivati alla prossima curva.

C'era stato un silenzio carico di anticipazione all'interno dell'abitacolo, frizzante di energia repressa e spesso di aspettative soffocate. Era un silenzio molto diverso da quello che aleggiava nei tempi morti del loro chiarimento, che si abbassava ad ogni accusa come un condor su una preda morente. Quello era stato cupo e spento, deluso, impaurito dalle conseguenze. Questo, invece, era vivace e frettoloso, un silenzio voluto da entrambi, rivestito di speranza, gocciolante di desiderio.

Non ricordava nemmeno come era arrivato nella camera da letto di Omi.

Doveva essere sincero, in quel momento preciso era l'ultima cosa ad interessargli.

Spingere Omi contro una superficie verticale a caso e affondare i denti su quel collo bianco e teso era diventata un'abitudine a cui non avrebbe rinunciato presto. Pelle calda e pulita, candida, rovinata dalla sua bocca vorace in un tripudio di segni e macchie sempre più scure, sempre più sanguigne, sempre più grandi.

Riuscire ad appagare il bisogno fisico di marchiarlo e non lasciarlo andare, di premersi contro con canini e incisivi, di succhiare lividi osceni con un solo significato, segnarlo per occhi estranei, indiscreti e fin troppo lascivi.

Adesso poteva farlo senza problemi.

"Smettila di azzannarmi." Ansimò Omi dritto nel suo orecchio, un promemoria molto fisico della sua contrarietà in materia e cazzo, quel timbro basso e roco aveva il potere di svuotargli il cervello e portare tutto il suo sangue a sud. Sentì la sua mano risalire lungo la nuca ad artigliargli i capelli in una presa decisa, tirandolo quel tanto che bastava per staccarlo con un suono umido e concentrare veloce la sua attenzione sulle sue labbra, aprendole svelto senza dargli nemmeno un attimo di respiro.

Erano bagnate e pretenziose, ammorbidite dalla loro saliva. Poteva sentirne la trama contro la lingua, avvertendola leggermente screpolata per i suoi modi nervosi e agitati. Si muovevano affamate, prendendo quello che volevano e non facendo prigionieri, poggiandosi sulle sue come se fossero a casa.

"Se volevi un bacio dovevi solo dirlo." Mormorò Atsumu contro la sua bocca, stirando le labbra in un ghigno predatorio. Omi corrucciò leggermente le sopracciglia, contrariato. "Sta' zitto." Brontolò, prima di spegnere la sua risata arricciando la lingua contro la sua una volta, due, tre, per poi prendergli morbidamente le labbra con fare languido e allontanarsi quel poco che serviva per poter parlare. "Dobbiamo prendere il ghiaccio."

"Dio, Omi, basta con questo ghiaccio del cazzo." Lo beccò di nuovo sulla bocca e gli si schiacciò addosso, sistemando la gamba tra le sue, sentendolo mugugnare e spingere i fianchi in avanti contro la sua coscia. Il movimento lo portò ad un contatto fermo del suo cavallo contro la gamba di Omi e sì, poteva ammetterlo, era un bel déjà vu, quello. "Ormai è tardi e ti voglio nudo." Gli uscì più sfiatato di quanto avesse previsto, una desiderio più che una provocazione. Sperò non se ne accorgesse.

Succhiò un punto sotto la sua mandibola e Omi strinse i denti, abbassandosi sul muscolo teso della coscia in cerca di un attrito più soddisfacente. "Se trovo il tuo sangue da qualche parte te ne pentirai." Sibilò con tono vendicativo.

"Sì, cazzo." Ansimò Atsumu, portando le mani sul suo sedere e prendendolo a manciate piene, spingendoselo più addosso. "Continua a parlare sporco." Omi scoppiò a ridere e Atsumu sentì il petto riempirsi di qualcosa di svolazzante e caldo, una sensazione di affetto e soddisfazione che si allargava a macchia d'olio. Era bella la sua risata, sorpresa e piacevole.

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