The Cullen Family.

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"Ecco, prendi" tornò alla realtà e prese la tazza di camomilla che le porgeva l'uomo. Non poté non notare il colore dorato degli occhi. Perché tutti avevano gli occhi dorati? Si chiese mentre sorseggiava la camomilla guardando nel vuoto. "Come ti senti?" chiese poco tempo dopo l'uomo con fare quasi paterno. "Meglio, la ringrazio e mi scuso per averla disturbata." rispose lentamente senza guardarlo. "Non preoccuparti, mia figlia Alice mi ha chiamato non appena ti ha vista in crisi, sono un dottore é il mio lavoro. L'importante é che tu stia bene." rispose l'uomo sorridendole. "Ora che sto meglio, può andare...immagino che avrà tanto lavoro" disse debolmente. Voleva restare sola e mettere in ordine i pensieri, l'uomo capì e si alzò. "Sul tavolo ce il mio numero, chiama se hai bisogno. E mi raccomando, riposati e cerca di non pensare troppo, a volte può far male." le disse prima di uscire di casa. Ma la ragazza il resto del pomeriggio lo passò a pensare a ciò che era avvenuto quella mattina.

Lo sguardo di Cedric, anzi di Edward come lo aveva chiamato la ragazza, era impresso nella sua mente, ma era diverso da come lo ricordava. Lo sguardo di quella mattina era freddo, impassibile e il color nocciola era stato sostituito dal dorato. Si chiese cosa fosse realmente successo, se fosse davvero morto, se avesse in qualche modo alterato la realtà. Tante erano le ipotesi, una meno probabile dell'altra, ma almeno la tenevano occupata. Aveva paura di pensare a cosa potrebbe fare se lasciata in balia del nulla più assoluto, avrebbe ceduto dopo un anno di lavoro e non se lo sarebbe mai perdonato. Verso sera, e dopo aver fatto un bagno caldo, si mise a preparare la cena. Mangiò un piatto di pasta veloce e mentre lo gustava senza voglia, al centro del piccolo salottino, dal nulla apparì il suo padrino. "Euphemia" "Zio Rem" e corse tra le sua braccia, braccia che adorava stare quando era triste, o quando voleva del calore. Lo zio la strinse a sua volta e gli accarezzò i capelli. "Come stai?" chiese una volta seduto sul divano. Euphemia non disse nulla di ciò che era accaduto quella mattina, avrebbe solo ingigantito le cose e fatto preoccupare l'uomo. Gli raccontò della scuola, evitando particolari. 

"Lì...cosa si dice?" chiese pensando al fratello. "Sempre lo stesso, non ci sono certezze, solo paura e omicidi. Altre due famiglie babbane sono state uccise dai mangiamorte, la situazione é critica, sono sollevato di saperti qui al sicuro." la informò mentre gli accarezzava i capelli. "Harry...come sta?" chiese cercando di piangere. "Combatte, cerca qualsiasi indizio che lo possa aiutare. Ron ed Hermione gli sono vicini." rispose ponderando la risposta, non volendo ferire quella che considerava come una figlia. "Dovrei esserci io..." sussurrò e l'uomo sorrise. "Harry preferirebbe morire che metterti in pericolo. E poi dopo tu sai cosa, i mangiamorte ti hanno puntato. Qui sei al sicuro, nessuno sospetta nulla." rispose delicato e la ragazza sospirò. Tre ore dopo, l'uomo andò via lasciandola di nuovo sola, nello sconforto più totale e senza sapere quando avrebbe rivisto un volto conosciuto. In preda ai pensieri e al dolore, camminò pet tutta la casa. Voleva fare qualcosa che la distraesse e la facesse stancare. Poi si accese una lampadina, spense le luci della cucina e del salotto, salì al piano superiore e si chiuse in bagno. Si avvicinò al mobiletto dove aveva messo il beauty case e prese da dentro esso una lametta che utilizzava per eliminare i peli sulle gambe.

Sospirò e la guardò. Erano giusto otto mesi che non ne faceva uso, Harry era fiero di lei, e al pensiero del fratello tentennò un momento, ma il dolore provato quella giornata era troppo forte, e così iniziò a sfogarsi incidendosi dei tagli sulle braccia, non profondi, non grandi, piccoli tagli che sarebbero stati coperti facilmente. Se in quel momento si faceva schifo? Si. Se stava deludendo il fratello e venendo meno alla promessa? Si. Se in quel momento era triste per ciò che stava facendo? No, per i sensi di colpa avrebbe avuto tempo. Continuò fino a che tutto il dolore non passò, si lavò e poi si mise delle bende intorno alle braccia, andò dunque a dormire non serena, ma quella notte dormì senza sognare alcunché. I problemi iniziarono il giorno seguente, quando si svegliò e scese in cucina dove trovò non solo il dottor Cullen, ma con lui anche la moglie, Alice e Cedric. "Due domande, come avete fatto ad entrare, e perché state qui." chiese sulla difensiva, spaventata per l'intrusione e ancora scossa dalla giornata precedente. "Sappiamo cos'hai fatto ieri sera, prima di andare a letto" disse con un tono di voce tra il severo e il preoccupato il dottor Cullen. Euphemia si chiese come sapessero e si guardò le braccia, non c'era traccia di sangue, come aveva fatto? L'avevano spiata? "Qui accanto ce il capo seriffo Swan, posso denunciarvi di violazione di domicilio, infrazione e soprattutto nessuno vi ha obbligato a farvi i fatti miei." disse acida, odiando quelle persone che si prendevano diritti che non avevano. 

"Li ho fatti venire io" parlò Cedric o meglio Edward da quando era arrivato in quella cittadina. "Oh tu proprio dovresti stare zitto a vita." rispose ancora più acida guardandolo male. "So che sei incazzata, ma posso spiegare." "Non mi importa, per me sei morto due anni fa. Quello che sei ora non importa, io ho perso il mio ragazzo due anni fa. Tu sei un estraneo ai miei occhi." disse se possibile ancora più acida. Edward la guardò e sospirò. "Posso spiegarti? Almeno se mi devi odiare,  mi puoi odiare dopo che hai saputo tutta la storia." riprovò ma trovò un muro. "Per quanto riguarda voi, quello che faccio del mio corpo non deve esser affar vostro. Sto bene, grazie della preoccupazione ma non ne ho bisogno." aggiunse e tornò in camera. "Ah quando uscite chiudete la porta non sia mai che mi entrano in casa" aggiunse ironica e chiuse la porta della stanza. Era furiosa, arrabbiata e sentiva dentro di sé la voglia di spaccargli la faccia, ma da ciò che aveva visto e capito non ne sarebbe uscita vincitrice. Intanto, Edward sospirò e si sedette sul divano con in mano la foto che la ragazza aveva messo sul tavolino. Ritraeva lei e il fratello a Grimmauld Place. "Non ci hai mai detto quale fosse il vostro rapporto." disse Alice cauta.

"E' stata l'unica ragazza che io abbia mai amato. Era la ragazza perfetta, era la mia ragazza perfetta. Perderla é una delle cose di cui mi pento." iniziò mentre la guardava nella fotografia. "Cosa é successo davvero?" chiese Esme al figlio adottivo. "Iniziò tutto al mio ultimo anno alla scuola di Hogwarts, lei era ed é la sorella del grande Harry Potter, i due erano molto uniti e non li vedevi mai soli. Un giorno, dopo che il preside annunciò il torneo e il ballo del ceppo, mi feci coraggio e la invitai al ballo. Accettò, il ballo si tenne il 2 dicembre, ma prima del ballo siamo usciti più e più volte. A volte erano delle passeggiate nella foresta, altre la portavo al campo di Quiddich, tutto facevamo basta che stavamo insieme. La sera di Halloween ci fu l'estrazione dei tre campioni, io uscì per ultimo e la prima cosa che feci fu guardarla, mi sorrise e mi incoraggiò. Poi successe che anche il fratello partecipò al torneo, lei non aveva più tempo per me, per noi. Così mi sono avvicinato a Cho, una ragazza che mi veniva dietro da due anni. Più Ephemia si allontanava, più il mio rapporto con Cho aumentava e alla fine al ballo del ceppo andai con Cho, mentre Euphemia andò con il fratello. I giorni che seguivano il ballo nessuno dei due parlò con l'altro, troppo orgogliosi." continuò prendendo fiato.

 "Poi, a capodanno i nostri amici ci costrinsero a fare pace chiudendoci in una delle tante aule del castello. Lì parlammo, la cosa più bella che aveva era quella che non urlava, ti lasciava spiegare e soprattutto era matura, più di me sicuro. Così dopo aver chiarito gli chiesi se volesse essere la mia ragazza. Da lì in poi andò tutto liscio, accettai che doveva prendersi cura del fratello e non permisi più a Cho di avvicinarsi, anche se il preside pensò fosse divertente prenderla come ostaggio per la seconda prova e farla salvare da me. Ma anche lì capì e non corse a conclusioni affrettate. Poi arrivò la terza prova, la prova che doveva essere la più semplice, si rivelò un disastro. Harry ed io gli unici rimasti, decidemmo di prendere insieme la coppa, ma essa era una passaporta e ci portò in un cimitero. Lì per farvela breve tornò il mago oscuro Voldemort con l'aiuto di un suo servo. Prima di ciò, come sapete, pensò di avermi ucciso con una maledizione non mortale. Del resto non ricordo nulla, ma quella sera prima che sparissi dietro le siepi, fu l'ultima volta che la vidi." finì di raccontare con un groppo in gola. La sorella gli accarezzò il braccio. 

Mai aveva raccontato la sua storia, o meglio come morì. Euphemia aveva ascoltato tutto e piangeva in silenzio, ricordando ogni momento, ogni sensazione e ciò che accadde dopo. Si alzò da terra e tornò a stendersi sul letto, coprendo il pianto con il cuscino, ma gli altri a pochi metri lo sentirono e Edward si sentì ancora più male. Carlisle lo guardò e gli sorrise paterno. "Va da lei, ora ha bisogno di te e nessuno meglio di te sa come prenderla." detto ciò andò via insieme alla moglie e alla figlia. Edward rimasto solo tentennò prima di entrare nella stanza e di guardarla mentre si asciugava il volto con la maglia del pigiama. I loro sguardi si incontrarono, e come la prima volta, scoppiò la scintilla. 

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