xli. la città dove tutto iniziò

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"Quando ti vien nostalgia non è mancanza

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"Quando ti vien nostalgia non è mancanza. È presenza di luoghi, persone, emozioni che tornano a trovarti."
- Erri De Luca.

"- Erri De Luca

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L'ERBA brinata si schiacciava sotto le suole degli stivali dei soldati. Qualcuno inciampava alla cieca in qualche ciottolo o radice, e per poco non cadeva andando addosso a chi gli stava davanti. Un'imprecazione borbottata, il sospiro di un cavallo. Una processione di cappucci rialzati, lanterne puntate sul vecchio sentiero, si faceva strada nel bosco tra le alture a nord di Shiganshina. Il cielo annuvolato era dipinto di un profondo blu notte, e la luce che scaturiva dalle torce impediva l'avvistamento di costellazioni. Le iridi di Manami, nere, da intere ore osservavano la landa desolata del cielo alla ricerca di qualche punto luminoso, ma non ne aveva scovato neppure uno. Neanche lo spicchio della luna era visibile. Si trattava comunque di un requisito fondamentale per non scontrarsi con quei giganti che potevano muoversi anche grazie alla luce della Luna, in quanto in realtà rifletteva i raggi del Sole...
I soldati, per il viaggio, si erano suddivisi in squadre, e non era stata utilizzata la formazione ad ampio raggio. Erano partiti da Trost al tramonto e ora che stava per diventare giorno si trovavano a pochi passi dal distretto di Shiganshina. Fino ad allora, era filato tutto liscio.

«Manca una collina e poi ci ritroveremo davanti a Shiganshina...» disse Manami a bassa voce, riconoscendo il profilo delle alture su cui un tempo sempre gironzolava. Tra i tronchi scuri rivide la sé stessa bambina che vi si nascondeva dietro e saltellava leggiadra qua e là, facendosi rincorrere dal padre. Sospirò, sbatté le palpebre e rivide la sua lapide. Venne percorsa da una scossa di adrenalina, strinse la mano attorno la maniglia della lanterna e il suo sguardo si fece più determinato. Scrutò i compagni che le passeggiavano a fianco e storse il naso.

«Ragazzi... perché state tremando come misere foglioline d'autunno?»
La corvina, dietro di lei, mise una mano sulla spalla al più alto dei due «Eren.»
Armin guardò con gli occhioni celesti Manami «Tu non hai mai avuto paura dei giganti?»
«No.» rispose la compagna, irremovibile. Quel giorno a Trost davanti al colossale non era svenuta dalla paura, solo dallo shock... poi non aveva esitato a dare il meglio di sé sul campo di battaglia, vi era rimasta fino all'ultimo gigante.
«Nemmeno una volta?»
«No. Combattere giganti è quello per cui mi sono addestrata. È da mesi che parliamo della riconquista di Shiganshina - anzi, da anni. Perciò sono pronta anche a morire. Fanculo i giganti, e lasciate a me il corazzato. Lo devo ripagare di aver sfondato davanti ai miei occhi il cancello interno, quel giorno. Vedrete come lo farò a fettine...» già pregustava la sensazione del suo sangue tra le dita, le lame che gocciolavano del liquido cremisi e tiepido. Una strana sensazione di piacere le aleggiò nel petto. Non importava affatto che fosse un suo compagno. Vendetta.
Armin rabbrividì e scrutò Eren dal basso.
«E tu, Eren?»
Il ragazzetto fece un profondo sospiro e aumentò la stretta sulla lanterna. Le dita smisero di tremargli: Manami aveva ragione, come sempre, anche se quel giorno faceva particolarmente paura - ancor più del solito.
«Non so perché, ma quando si parla di riprenderci la libertà... mi sento ribollire di forza. Va tutto bene.»
Il biondino sorrise «Forse, l'anno prossimo a quest'ora staremo guardando il mare.»
«Riconosco questa zona. Ci venivamo sempre a prender la legna.» scattò Mikasa, osservando i dintorni.
Un soldato che era giunto fino alla vetta del colle annunciò a gran voce:
«VEDO LE PENDICI! Ecco le tracce della strada che porta alla città!»
I battiti dei cuori dei ragazzi accelerarono all'improvviso. La rossa soppresse quella sensazione, una fiammata le pervase l'intero corpo a partire dal petto. Le dita le fremevano, impazienti di impugnare le spade. Si sentiva quasi mancare il respiro al solo pensiero di trovarsi proprio lì, a Shiganshina. La sua città natale... dove quel giorno aveva abbandonato ogni cosa a lei cara. Sì, in quell'istante in cui rammentò il motivo che l'aveva spinta a compiere ogni scelta da cinque anni a quella parte... l'originale ardore si ravvivò. Rabbia. Non più impassibilità, bensì un fuoco implacabile che avrebbe bruciato ogni nemico vi si fosse avvicinato. Levi, che procedeva silente qualche metro più avanti, percepì di nuovo quella presenza intensa che fin dall'inizio l'aveva colpito, che fin dal primo istante in cui l'aveva vista combattere quel giorno a Trost gli aveva messo addosso una forte soggezione. Sapeva che si sarebbe scatenata e come all'inizio temette che ella, in preda alla foga, potesse commettere l'errore fatale che le sarebbe costato la vita. Però si ricordò del piano di Erwin: era proprio ciò che voleva lui. Era stato lui a condurla al cimitero. Levi si ripromise che se Manami fosse morta per l'avventatezza causatale dalle mosse subdole di Erwin, non l'avrebbe mai perdonato. Ma, forse, sarebbe morto pure lo stesso Erwin per il medesimo motivo. Allora a chi affibbiare la colpa? Ai giganti? Ma se si era scoperto che erano esseri umani esattamente come loro... contro chi combattevano, in realtà? Che senso aveva tutto ciò? Levi non lo sapeva e trovava stupido porsi domande senza risposta, perciò affidò la propria vita alla guida di Erwin, per l'ennesima volta, e confidò nell'intrinseca intelligenza della ragazza.

SUNLIGHT PUFF • levi ackermanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora