~Chapter one~

538 17 4
                                    

Posai la tazza di cioccolata fumante sul tavolo della cucina e lasciai che il mio sguardo si soffermasse sulle spirali di vapore che si levavano dalla tazza, salendo verso l'alto per poi dissolversi.

La mia testa e il mio cuore erano terribilmente pesanti e come se non bastasse un nodo mi chiudeva la gola, impedendomi di respirare profondamente. Volevo solo sprofondare, scomparire, essere inghiottita dalla terra. Davvero, stavo male. E molto.
Non ero ancora riuscita a superare la morte di mia sorella.

Come un flash mi apparve l'immagine della sua tomba e l'iscrizione incisa nella pietra: 'rimarrai sempre nei nostri cuori,con affetto, i tuoi cari'
13/07/1994 -- 21/10/2014.
Iniziai ad essere scossa dai singhiozzi, la mia vista divenne sfocata e calde lacrime mi rigavano il viso. Sempre la stessa storia. Tutti i giorni, da cinque mesi. Cercavo una distrazione,un modo per togliermela dalla testa per almeno un maledetto minuto, ma niente... il suo sorriso raggiante mi appariva davanti non appena chiudevo gli occhi.

E la cosa più assurda è che non sapevo ancora come fosse deceduta. I miei abbassavano lo sguardo appena la nominavo ed evitavano l'argomento. Qualche volta persi le staffe e gli urlai contro cose poco carine, ma poi mi scusai sempre, giustificandoli. È un periodo difficile per tutti pensavo. Ora però basta. Ero stanca di aspettare una spiegazione che nessuno aveva intenzione di darmi.

Versai la cioccolata rimanente nel lavandino e non mi preoccupai nemmeno di sciacquarla: avevo cose più importanti da fare.

Mi vestii velocemente e montai in bicicletta, dirigendomi verso il centro di quella "cittadina", più precisamente verso la stazione di polizia. Lo sceriffo Atwood aveva indagato molto sul caso di mia sorella, rimasto comunque irrisolto.

Quello di cui ero fermamente convinta era che Alexis non fosse morta per cause naturali, come qualche ebete sosteneva. Era stata assassinata.

Abbandonai la bici nell'erba e con grande falcate raggiunsi il portone dell'ufficio dello sceriffo. Vuoi davvero entrare? Mi chiesi.
Per un momento pensai di tirarmi indietro: se addirittura i miei esitavano a parlarne, doveva essere una cosa davvero orribile. Tuttavia non potevo ignorare la verità.

Spinsi il portone ed entrai. Un odore acre di muffa mi fece arricciare il naso.

Non era la prima volta che entravo lì, tuttavia rimasi senza fiato. Era appensa esplosa una bomba o cosa?

La stanza era oggettivamente grande ma lo stato di disordine in cui si trovava la rendeva poco più grande di uno sgabuzzino.

Il parquet opaco, ormai ricorperto di polvere, era cosparso di fogli e libri, riversi ovunque. Al centro della stanza troneggiava una massiccia scrivania di legno, dell'800 probabilmente.

A Danville tutti avevano la fissa per il legno. Se fosse caduta anche solo una piccola brace da un caminetto, l'intera città si sarebbe ridotta a un mucchietto di cenere, in meno di dieci minuti.

La scrivania era occupata da diverse lampade(spente) e una miriade di cartelle, cartelline, cartellette contenenti documenti di vario genere.

"Sceriffo Atwood?"
lo chiamai.

Purtroppo non ottenni risposta.

"Sono Katherine Hastings"
Niente.

Iniziavo a credere di essere sola, in quella stanza.

Per un momento mi sfiorò l'idea di rovistare tra i fogli e cercare di scoprire qualcosa in più rispetto a quello che mi avrebbe detto lo scerifffo. Ma no, non ero quel tipo di persona.

Feci per girare i tacchi e andarmene quando una voce gentile mi chiamò

"Signorina Hastings, aveva bisogno di me?"

Era un uomo abbastanza in carne, sulla cinquantina e aveva l'impressione di uno che si era appena scolato una bottiglia di vodka.

"ehmm"balbettai "si..." non era uno dei miei migliori inizi.

"volevo sapere qualcosa sulla morte di mia sorella."

Intanto si era avvicinato a me, con passo fermo.

Ora il rossore sulle sue guance sembrava essersi improvvisamente spento.

Mi guardava con aria vagamente triste.
"vorrei vedere le foto del suo corpo" ritentai, sforzandomi di assumere un tono fermo.

Si rabbuiò in viso. "Ne è davvero sicu..."

"si, certo"lo anticipai.

Si diresse verso la scrivania e dopo diversi minuti di rovistamento nei cassetti, mi porse una foto.

Eccola lì, la mia Alex. Anche se non sembrava affatto lei. Dei lividi le ricoprivano il corpo, cenereo, e un vistoso taglio alla gola la costringeva ad assumere una posizione innaturale.
Del sangue secco circondava la ferita, non ancora chiusa, rendendo la scena ancora più raccapricciante.
Gli occhi erano chiusi,
chissà...forse potevo ancora illudermi che stesse dormendo e che presto l'avrei riabbracciata.

"Quando l'abbiamo ritrovata era già morta, dissanguata" mi comunicò.

Una fitta di dolore mi lacerò il petto, facendomi piegare in due, come il fusto di un fragile fiore.
Mi cadde la foto di mano, provocando un leggero fruscìo.

Mi mancava l'aria.
Dovevo uscire subito da quella stanza opprimente, che mi stava soffocando poco a poco.

Con uno spintone uscii e iniziai a correre, ignorando i richiami di Atwood.

Non riuscivo nemmeno a piangere, dalla disperazione.

Chi diavolo poteva averle fatto una cosa simile?!
Il vento mi sferzava i capelli, spettinandoli e facendoli ricadere ritmicamente sulle spalle, ad ogni falcata.

Mi fermai nei pressi di un boschetto e mi appoggiai al tronco di un albero.

Respirando più a fondo riacquistai lucidità:ora era tutto più chiaro.

Sarei andata fino in fondo a questa faccenda.

Chi aveva commesso un'azione del genere doveva pagare.

E io me ne sarei occupata personalmente.

'The Last One'Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora