Chapter twenty

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Katherine's point of view

Per un tempo che mi parve infinito rimasi lì, senza pensare a niente, svuotata di emozioni.

Tutto ciò su cui non avevo riflettuto negli ultimi giorni, mi crollò addosso come un muro di mattoni.

Mi sentivo parecchio frastornata, non avevo ancora metabolizzato il fatto di essere orfana, di non aver mai conosciuto davvero i miei genitori e neanche di ciò che stavo provando nei confronti di quell'idiota.

E poi, nemmeno il fatto che ero predestinata a cacciare mostri, aiutava a riscuotermi dalla nebbia fitta che alleggiava nel mio cervello.

Ero sola, di nuovo, in mezzo a delle persone che conoscevo da soli tre giorni.

Non so perchè, ma decisi di andare a casa dei miei genitori adottivi, per fare quattro chiacchere, forse avrei trovato conforto, anche se tra un mare di menzogne.

Rimisi il fucile in spalla e, con le gambe che tremavano, mi feci largo tra i rami scuri, che incorniciavano il sole appena sorto. Il cielo era ancora blu scuro, ma l'orizzonte era un ventaglio di colori: rosso, arancio, giallo, viola e rosa.

In qualche modo riuscii ad orientarmi nella fitta boscaglia e sbucai sulla strada principale di Danville, che si incrociava perpendicolarmente con la sua gemella.

Rimasi sorpresa dalla mia capacità di orientarmi, sembrava che i miei sensi si fossero acuiti improvvisamente.
Percepivo tutto come più amplificato, ma onestamente ero così distrutta da non averci dato molta importanza...

Quando finalmente arrivai davanti a casa mi sembrava fosse passata un eternità da quando ci ero stata l'ultima volta.
Tutto di quella casa era cambiato: crepe che non avevo mai visto percorrevano la facciata principale; quello che un tempo era un prato all'inglese, ora era infestato da cespugli selvatici ed erbacce; le persiane erano chiuse. Mia madre non le chiudeva mai, amava la luce naturale.

Solo quando feci per attraversare il giardino e bussare, mi accorsi di un cartello che, nascosto da un gruppo di erbacce, si notava a malapena.

Mi avvicinai e quando lessi ciò che era scritto a caratteri cubitali, quasi svenni:

"Just sold for $ 215,000"

Loro...se n'erano andati? Mi avevano letteralmente abbandonato a Danville.

Senza lasciarmi un biglietto, avvisarmi, niente di niente.

Fu come ricevere un pugno nello stomaco.

Potevo capire che non avessero voluto rivelarmi la verità, ma a questo non ero davvero preparata.

Come avevano potuto farmi una cosa simile? In fondo ero loro figlia.
Adottiva si, ma loro figlia.

Mi costrinsi a non versare nemmeno una lacrima, già troppe erano fuoriuscite dai miei occhi azzurri e tormentati.

Trassi un lungo respiro e appena mi voltai per tornare indietro, qualcosa di appuntito mi sfrecciò vicino all'orecchio e andò a conficcarsi in una persiana, dietro di me.

Mi girai immediatamente e vidi un uomo con un coltello in mano, di fronte a me e capii di essere stata fortunata: era solo questione di centimetri, e sarei morta.

Non avevo tempo per pensare e così estrassi subito il mio, di coltello.
Non ero un'esperta di lotta corpo a corpo, ma sapevo di non poter usare il fucile, che era, tra l'altro, a dieci metri da me.

L'individuo non si decideva ad attaccare, e così iniziammo a girare in tondo, aspettando che qualcuno facesse la prima mossa.

Indossava una tenuta di un grigio molto chiaro che nascondeva gran parte del corpo; non riuscivo a capire che faccia avesse, sembrava essere inespressivo, a parte il ghigno dipinto sul suo viso.
La sua pelle, se si poteva chiamare così, era diafana, sembrava quella di un morto.

Ero quasi rimasta imbabolata dalla stranezza di quel tizio che non mi accorsi di quando si slanciò avanti e cercò di pungnalarmi alla spalla. Io rotolai di lato, schivandolo e cercai di affondare il mio coltello nel suo petto ma lui mi buttò per terra, non lasciandomi via di scampo.

"Che diavolo vuoi da me?!" gli chiesi, esasperata.
Nessuno prima d'ora aveva mai provato ad uccidermi e credetemi, non era una bella sensazione.

Il suo ghigno aumentò, rivelando una fila di denti aguzzi, come quelli di un luccio.

Sdraiata a pancia in su, appoggiata sui gomiti, indietreggiai inorridita tra le erbacce.

Quando si gettò su di me per finirmi, mi scansai e il suo coltello si conficcò nel terreno, dove un attimo prima c'era la mia testa.

Potendolo osservare da vicino, vidi che al posto di due occhi normali, c'erano delle orbite vuote, nere e terrificanti.

Non persi tempo e, con la mano tremante, impugnai la mia arma e la affondai nel suo petto.

Il ghigno sparì dal suo viso e cadde a faccia in giù nel prato.

Mi coprii la bocca con le mani, inorridita da me stessa: avevo appena ucciso un uomo.
O almeno credevo fosse un uomo.

Girai il cadavere e notai che mio coltello aveva preso a pulsare di un viola intenso, sciogliendo come gelatina il corpo di quell'essere.

Lo estrassi immediatamente e feci dietrofront, intenzionata a dileguarmi più velocemente possibile, ma andai a sbattere contro qualcuno.

Alzai il coltello, pronta a difendermi ma quel qualcuno era Luke, che mi afferrò il polso e lo abbassò e io feci cadere l'arma nell'erba.

Un'ondata di sollievo mi pervase.

"Cosa é successo Luke?" gli chiesi senza fiato, sull'orlo della disperazione.

Mi abbracciò per rassicurarmi "Niente, hai fatto solo il tuo dovere. Quello non era un uomo."

Anche se avrei dovuto essere sollevata, la cosa mi spaventava.

Avrei dovuto uccidere per il resto della mia vita?

'The Last One'Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora