~Chapter seven~

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Quel rumore, quei passi, di nuovo.

Senza voltarmi iniziai a correre, mentre la disperazione si insinuava nel mio corpo:sarei morta, come mia sorella, uccisa dalla stessa persona.

I passi erano sempre dietro di me, leggeri, mi seguivano e io non avevo nemmeno il coraggio di urlare.

La milza cominciava a farmi male e i muscoli mi dolevano per l'insufficienza di ossigeno.

Il respiro accellerava facendosi irregolare, e per un attimo sentii solo quello.

I capelli, appicicati al viso, mi ricadevano disordinati sulle spalle.

Inciampai in fottuto tombino e caddi di faccia sull'asfalto, tentando di attutire la caduta con le mani.

Il mio cuore batteva all'impazzata, non avevo scampo.

I passi si erano fermati.

Era li, dietro di me, aspettava solo che mi voltassi, per assassinarmi.

Ero una preda in trappola.

Con le mani sanguinanti mi tirai a sedere e mi voltai lentamente.

Non mi stupii: una figura, incappucciata, mi fissava.

E io feci lo stesso.

Per alcuni minuti, lo guardai, anche se nel buio non riuscivo a distinguere i lineamenti del suo viso.

Fece alcuni passi verso di me, e io, disperata, iniziai a piangere, silenziosamente.

I miei occhi divennero lucidi in un attimo, e poi le lacrime cominciarono a rigarmi il viso, scendendo fino al collo, dove mi procuravano un certo solletico.

"Lasciami stare" singhiozzai.

"Non posso" disse, quasi sconsolato. La sua voce era profonda e tenebrosa.

"E non piangere che mi infastidisce" aggiunse, scocciato.

Sgranai gli occhi.

"Tu hai ucciso mia sorella! Figlio di puttana!" lo accusai, scossa dai singhiozzi, non mi ero mai sentita così fragile.

"Non sono stato io." Abbassò lo sguardo, triste.

Sembrava sincero. Ma decisi comunque di non fidarmi.

Improvvisamente smise di fissarmi e lanciò un'occhiata alle sue spalle.

Non so cosa mi prese: in un secondo mi alzai e cercai di fuggire.

Ma una mano calda mi afferò il braccio e mi tirò bruscamente verso di sè, costringendomi ad alzare lo sguardo.

Quegli occhi di ghiaccio e il modo in cui osservavano i miei mi fece rabbrividire.

Eravamo così vicini che sentivo il suo respiro freddo solleticarmi il collo, e il suo profumo di colonia inebriarmi le narici.

La sua vicinanza mi elettrizzava e mi agitava.

Il mio cuore perse qualche battito.

Non so per quanto tempo rimanemmo in quella posizione.

Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quegli occhi azzuri.

Ero praticamente incantata.

"Stanno arrivando" annunciò allarmato, guardandosi di nuovo alla spalle e lasciandomi andare.

Non mi ero accorta di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo.

Il mio cuore ricominciò a battere di nuovo.

Ma che diavolo mi aveva preso?!

Mi guardò di nuovo, e con il pollice mi asciugò le lacrime rimaste a metà guancia.

"A che gioco stai giocando?" Chiesi acida.

"A quello che ti salva" rispose, indifferente.

"Ah davvero? Io invece pensavo quasi che volessi uccidermi, guarda un po'!" Lo presi in giro.

"Senti, te lo ripeto di nuovo, lasciami stare altrimenti..."

"altrimenti?" Rise, esortandomi a continuare.

Rimasi un attimo senza fiato quando vidi il suo sorriso perfetto e bianchissimo.

"Ti ritrovi una pallattola in quella testa malata che hai" dissi seria, assumendo il tono più minaccioso che potessi, anche se me la stavo facendo sotto dalla paura.

" mi hai quasi fatto paura ,complimenti, ora andiamo" mi tirò il polso, trascinadomi dietro a lui, come un cagnolino.

"Lasciami!" Mi dimenai, cercando di assestargli un calcio, insomma... lì

Lui si scansò, troppo velocemente per i miei occhi "troppo lenta." Commentò ridacchiando.

"Merda. Loro sono qui" esclamò di nuovo, allarmato.

Io non sentivo nè vedevo qualcuno, in realtà.

Mi squadrò da testa a piedi "scusa bellezza, lo devo fare."

"Ma che cazz..." non ebbi il tempo di replicare che tutto divenne nero.

Svenni.

'The Last One'Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora