Risentimento-past

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Clycia

Ti ho amata.. per tanto tempo.. Ho sentito la tua mancanza.. per tanto tempo.. Ho vissuto momenti meravigliosi.. Ho vissuto incubi spaventosi.. Sono finito in ospedale due volte a causa di quello che c'era tra noi e del bigottismo di certe persone.. Sono stato male ed ho dovuto mentire e sorridere.. come me anche a tu.

Ho continuato ad amarti facendo finta che non fosse accaduto nulla... Poi ci siamo persi di vista per tanto tempo.. Poi ti ho odiata quando ho saputo alcune cose.. Poi ti ho perdonata perché l'amore che provavo era più forte dell'odio.. Poi ti ho odiato ancora di più.. Poi ti ho amato ancora.. Poi ti ho persa...E qui è arrivata la parte più difficile.. rassegnarsi e accettare che tu non avresti più fatto parte della mia vita...

Non è stato facile... Non è facile.. ci vorrà ancora del tempo...ancora e ancora.Ma quell'amore che provavo per te sta cambiando.. sta diventando il sentimento di qualcuno che ti accetta così come sei e che ti vuole bene. Per davvero.   

Ho letto sul foglio di carta, che mi è stato consegnato indirettamente da lui, accorgendomi all'ultimo che lo stavo stropicciando talmente tanto da disintegrarlo. 

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Alek continuò a guardarmi e in risposta accennai un sorriso piuttosto spento per animare quel silenzio assordante, talmente assente che marchiava il mio più remoto sentimento ancora galleggiante, di un'infinito immenso. Chi? Lo vedevo, percepivo e notavo il tormento che si rifletteva nei suoi occhi. I miei pensieri, rimpianti o rimorsi su cui rimurgino spesso dove come titolo c'è "Che ti succede?" in primo piano, come una lastra di vetro sopra una soglia che devo oltrepassare, di cui so la risposta ma non voglio esprimermi.

Non c'era bisogno di parlare, e lui lo sapeva, perché era diventato ormai me ma del sesso opposto, bastava lo sguardo per capire tutto dell'altro, stato psichico, fisico e morale.


Si avvicinò un po' di più, tanto da poter sentire il suo respiro o vedere i dettagli che già conoscevamo a memoria, azzardò a posare un dito delicatamente su una delle mie profonde occhiaie, piano, delicatamente cauto, come le gocce di acqua piovana sulle foglie. qualche millesimo di secondo e poi, il diluvio. La tempesta che faceva bagnare i passanti coraggiosi senza ombrello, tutto quel coraggio da dove riuscivano a prenderlo, non ne ho idea, ma per me a quanto pare il coraggio ha deciso di iniziare la strada lunga. Mi mossi appena, sussultai involontariamente, i miei muscoli contratti reagivano con difficoltà, quasi controvoglia, come arrugginiti. 

Lasciai sfuggire un sospiro flebile sull'incavo del suo collo, come un pezzo di ossigeno che con prepotenza voleva ed è uscito forse per mancanza del suo spazio vitale, mentre le sue mani tentavano disperatamente di sfiorarmi la pelle, provocandomi la pelle d'oca per tentare di alleviare il mio dolore, ormai incastonato nelle cellule della mia essenza.

"Non... non toccarmi" sussurrai, mentre lentamente andavo ancora più in pezzi, forse con l'ironia della sorte, quella sarebbe stata l'ultima volta e forse con il briciolo di speranza inpolverata che era rimansta in me.

Ero rotta, dentro, fuori e per mezze vie. Mi stava guardando, forse studiandomi, cercando di trovare in qualche modo una cura a quella "malattia" talmente rara che non sapeva da dove iniziare, con tanto di raggi X, mentre mi sgretolavo lentamente, quasi a vista d'occhio. Io; nuda, vuota ancora una volta, di ogni mia particella, ma stracolma di debolezza. Tremavo, mentre dentro i miei occhi avevo un po' di mare che vedendolo da lontano sembra essere più pacato, quando invece ci si avvicina è peggio di un diluvio universale. 

Mi sentivo come una bambola di pezza nella bocca di un cane randagio, una playstation passata di moda ormai forse dimenticata, di una qualità tutt'altro che sopravvalutata. Avevo caldo. Il sangue sembrava che si stesse ribellando. Sudavo, freddo; le labbra secche, la testa intontita dalle voci, il gelo nelle ossa. Freddo. Avevo tanto freddo. La vista mi si appannava, per tornare nitida, e di nuovo sfocata, per tornare imperterrita al punto d'inizio. La luce inondava noia, il silenzio mi marchiava e aumentava la tachicardia. C'era tutto e contemporaneamente niente.

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