Distacco

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Erano passati precisamente dieci mesi, da quando l'avevo visto l'ultima volta, da quando per l'ultima volta avevo sentito il suono della sua voce, escludendo tutte le volte in cui lo sentivo nella mia testa.
Lo ricordavo come se fosse successo all'istante, quel giorno.
Ricordai quando ferma, sotto la pioggia battente, fuori dall'ospedale, ero rimasta a fissare il vuoto per un lasso di tempo che neanche riuscii a calcolare.

Morì alle sette di un gelido mattino di fine gennaio. L'aria era pungente, il freddo entrava nelle vene e scorreva con il sangue per tutto il corpo.
La pioggia continuava a battere sul soffitto di quel vecchio appartamento che avevo affittato il mese prima.
Quando chiamarono ero già sveglia, o meglio, ero ancora sveglia.
Ero rimasta a guardare il soffitto muffoso per tutta la notte, le mani lungo il corpo e le gambe piegate sotto le coperte.
Quando sentii la suoneria del mio telefono lo capì all'istante.

Credo che, fino al momento in cui mi vidi privata di ciò che c'era sempre stato, di ciò che avevo sempre dato per scontato, non avessi capito bene che avrei sofferto come se qualcuno mi avesse pugnalato più e più volte, quando se ne sarebbe andato.
Nonostante fossi, in qualche modo, lacerata dentro, quel giorno, era come se lo sapessi già da tempo.
Me lo aspettavo, come dicevo.
E non fui neanche così sconvolta nel scoprirmi lucida e fredda, perché ormai non faceva più molta differenza.
Ricordai quando lo avevo visto l'ultima volta, quando mi aveva lasciata con uno sguardo prima di dirmi addio completamente.
Neanche lì, in quel momento, avevo reagito piangendo ed urlando, o disperandomi, per quel che vale.
Come se da tempo, pian piano,
avessimo avviato insieme il processo alla distruzione di quel "noi" che non eravamo.
Ricordai come mi trovai li, sulla settantanovesima, quel venerdì mattina, e solo allora capì che il solco che avevamo scavato tra di noi era più profondo di quanto immaginassi.
Quando se ne andò, capii che non l'avrei visto molto presto, che avrei dovuto ricordarmi dei suoi lineamenti, perché da li a poco li avrei dimenticati.
E quando lo fece, quando se ne andò, trovai me stessa privata di una parte.
Non me ne ero accorta, ma poco a poco si era preso alcuni pezzi di me, pezzi così piccolo che non mi ero mai preoccupata.
E per tutte le volte che aveva tolto un pezzo, anche piccolo, mi ritrovai svuotata.
Mi aveva tolto un pezzetto quando aveva deciso di trasferirsi e di portarmi con lui, privandomi della vita che avevo fino ad allora; se n'era portato via un altro ogni volta che il suo sguardo severo aveva incrociato il mio.
Pezzetto per pezzetto, mi ritrovai senza una grossa parte di me.
Ero vuota e non avevo altre possibilità se non quella di ricostruirmi.
Così mi ricostruì, da sola, a mio piacimento.
E mi riempì di ciò che non ero mai stata, di cattiveria e di freddezza, mi riempì di bugie e di forza, di una spietatezza che non avevo mai avuto, e che non mi era mai stata insegnata.
Mi riempii di cemento, ricostruendo sulle macerie di ciò che ero.

E quando mi vidi, finalmente, ricostruita, quella Rose che ero sempre stata, non la vidi più.
Rose aveva lasciato il posto a qualcosa di più grande di lei, a qualcosa che le aveva sempre fatto paura, e che l'aveva cacciata per sempre dal suo posto.

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