Capitolo 3

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Sophie

«Fede! Quanto mi sei mancato!», urlai correndo verso il mio migliore amico.
Lo abbracciai, lui ricambiò il gesto, era tanto che non ci vedevamo.
Io e Federico ci eravamo conosciuti la notte di San Lorenzo di un paio di anni fa, praticamente fui la sua salvezza perché lo trovai seduto su uno scoglio che piangeva, ricordo aveva il collo pieno di graffi e le mani livide.
Ricordavo ancora che puzzava di vodka alla fragola e che aveva i capelli bagnati di acqua salata.
Mi raccontò la sua storia con leggerezza ed io con la stessa semplicità gli raccontai la mia. Tutti i miei traumi li raccontai con uno stupido sorriso, come se ciò che aveva avuto la forza di distruggermi era stato solo un brutto sogno da narrare.
Lo ritenevo parte di me, il mio pilastro portante, e non esistevano lacrime che lui non sapesse aciugare.
«Amore mio! Mi sei mancata tantissimo anche tu!», disse lui mentre mi stringeva. «Com'è andata la vacanza?»
«Noiosa... la prossima volta vieni con me».
Non era il tipo dalla voce sottile e i modi raffinati, sembrava più un criminale con tutti quei tatuaggi che gli riempivano il collo.
«Se solo mia madre me lo permettesse...»
«Ancora problemi con tua madre? Come l'ha presa di Mattia?»
«Non gliel'ho detto... Io e Mattia ci siamo lasciati».
Lo vidi entusiasta alla mia notizia.
«Ne sono felice, meriti di meglio...», disse e continuò con altre parole che non riuscivo a sentire, cercavo di rimanere concentrata, ma come potevo? Davide era là, la sua presenza mi devastava, la mia mente andava a farsi fottere mentre guardavo il suo viso serio fumare quella sigaretta. 
«Cosa guardi?» mi chiese Federico cercando di capire dove stessi puntando gli occhi, poi aggiunse divertito:
«Ti piace qualcuno?»
«Ma no! Non mi piace nessuno!», risposi imbarazzata.
«Sophie! Sei più trasparente dei vetri puliti da mia zia». Sbuffai a ridere e ricercai la concentrazione nei suoi occhi miele.
«Sicura che non ti piace nessuno?», s'irrigidì in voce.
«Levatelo dalla testa, basta!»
«Ti stai arrabbiando, c'ho preso eh? Ti conosco bene, quando ti arrabbi eviti i discorsi e cerchi di cambiare argomento, ti si formano piccole rughe sulla fronte e inizi a tremare».
Mutò improvvisamente espressione. Mi guardava compiaciuto, soddisfatto direi.
Gli sorrisi, lo abbraccia di nuovo e gli sussurrai: «Fatti i fatti tuoi».
«Ti ho capita subito bambolina».
Insieme tornammo dalle mie amiche.
«Ogni volta che ti vedo sei sempre più triste! Non puoi fare così», esclamò Federico, si riferiva a Denise, ancora una volta la vedevo piangere, con le gambe conserte seduta sulla panchina, il trucco sciolto e la pelle lucida, beveva dall'orlo della birra, tenendola per il collo vetro verdastro, la soffocava in una presa decisa. Il liquido ondeggiava all'interno come un mare in tempesta, il gesto si ripeteva più volte nell'arco di secondi, così tante volte che ne aprì un'altra.
«I cazzi tuoi mai eh?» lo accigliò Denise.
Il discorso morì in quell'istante.
Io ero intenta a guardare Davide, notai che lui aveva gli occhi dov'ero io. Cosa stava guardando con quell'aria di superbia e il viso così serio?
«Sophie perché non parliamo un po' dei tuoi peccati!», esclamò Fede.
«Eh?»
Mi accorsi che Federico mi stesse chiamando solo perché sentii la sua mano toccare la mia.
Ripetè la frase, stavolta con più tono.
Il suo voltò era serio.
«Tutto okay?», domandai.
«Sì, non è niente».
Lo tirai per il braccio, allontanandomi un po' dalle altre.
Fumava con le due dita con gli anelli argento, il fumo si sollevava su di noi e si dissolveva prima di ogni nostra parola.
«Cos'hai?»
«Mi stai ignorando», sbottò, era la prima volta che lo vedevo così infastidito.
«Ma che dici!»
«Allora voglio sapere chi ti piace!».
Lo guardai stranita e con la bocca semiaperta, era avvelenato, grigio in volto, la luce della sera si rifletteva sul suo incarnato.
«Valerio?», domandò.
Mi fece notare che accanto a Davide ci fosse Valerio che beveva da dei bicchierini trasparenti.
«No e ora basta!».
«Ti innamori facilmente», dichiarò, e così com'era venuto andò via, senza neanche salutare. Ritornai dalle mie amiche.
«Federico?», chiesero insieme ed io risposi che era dovuto andare via.
Era un noioso sabato sera, Francesca ancora una volta seduta di lato al telefono e le altre che le facevano battute sul ragazzo con cui si scriveva.
Mi sentivo a disagio, non avevo idea di chi stessero parlando, era un altro tipo di solitudine che spesso mi sopraffaceva.
«Basta bere Denise».
Diana tolse la birra di mano a Denise, era ubriaca, non riusciva a tenere la testa sollevata, si vedeva il suo volto lucido, sudato, bagnato dal pianto.
«Io senza lui non vivo, strappatemi il cuore dal petto vi prego».
Cercavano di consolarla, ma sembrava tutto inutile, piangeva come se fosse morto qualcuno.
Tra le braccia di Ginevra si crogiolava e si stringeva il petto.
«Fa troppo male, troppo».
Andò avanti per più di mezz'ora, fino a quando le altre l'accompagnarono a vomitare. «Torno a casa», mormorai a Francesca.
«Così presto?» mi domandò mentre seguiva le altre ed io annuì.
«Aspetta So!», urlò e correndo verso di me aggiunse: «Scusami se non ti ho considerata molto... Denise sta male ed ha bisogno anche di me».
«Certo, infatti devi andare da lei. Io sono solo stanca e poi sai com'è mia madre»
«Ovvio, non fare arrabbiare Elisabeth che poi non ti fa uscire!», borbottò imitando la voce di mio padre.
«Mi fai ridere quando lo imiti», ridacchiai.
«Ci vediamo domani!».
Si avvicinò a me dandomi un caloroso abbraccio e poi continuò: «Sai che per qualsiasi cosa non devi esitare a chiamarmi».
«Per te è lo stesso!», risposi con il viso poggiato sulla sua spalla.
Gli abbracci non vanno sottovalutati, può sembrare banale, ma è il momento in cui: due anime si stringono tra loro, i cuore si sincronizzano; è il momento in cui smetti, anche se solo per dieci secondi, di sentirti sola, sulle tue gambe, ad affrontare la vita. Ci staccammo dall'abbraccio e mi diressi verso casa. Entrai dal portone che dava l'ingresso in salotto e trovai mio fratello con la sua ragazza che guardavano un film. «Ciao Sophie», disse Zoe, la fidanzata di mio fratello.
Sono sempre stata molto legata a lei, praticamente è stata una sorella maggiore per me, sta insieme a mio fratello da tanto, lui è otto anni più grande di me e quando si mise con lei avevo 6 anni. Ero cresciuta con Zoe, veniva con noi a Roma tutte le estati.
«Ciao Zoe! Ciao fratello che non mi considera!», esclamai lanciando un'occhiataccia a Riccardo che si era dimenticato di salutarmi.
«Ciao sorellina».
Staccò finalmente gli occhi dal televisore mandandomi un bacio con la sua solita faccia tenera.
Non era vero che non mi considerava, anzi l'opposto, a volte era pure un po' invadente, ma era normale, essendo la sorellina aveva paura che qualcuno mi potesse fare del male. 
Quando ero piccola quel diavoletto dai capelli neri e gli occhi azzurri curiosava tra le mie cose, in seguito a un'accesa disputa imparò che era giusto preoccuparsi per me, ma allo stesso tempo che non doveva esagerare, rispettando i miei spazi.
«Come mai così presto a casa?», chiese Zoe incuriosita. «Presto? È mezzanotte passata!», replicò mio fratello.
«Sì è presto: è estate, sono grande e alcune delle mie amiche sono maggiorenni, in più eravamo in piazzetta dove c'erano altre persone, quindi tranquillo!», risposi infastidita.
«Ma tu sei piccola ancora!», disse lui mentre abbassava il volume della TV.
Poggiai tre dita in fronte e dissentii con la testa.
«Dai sto scherzando... è successo qualcosa? Qualche ragazzino ha fatto qualcosa che non doveva?», chiese.
«No! Assolutamente, sono solo stanca, buonanotte».
Zoe aveva capito che avevo la testa tra le nuvole e lo si vedeva da come mi guardava, mi fece l'occhiolino e mise un dito davanti le labbra, restava tra me e lei. Le sorrisi e andai dritta in camera. Perché il mio pensiero ricadeva sempre su di te, Davide? Cos'era successa quella mattina quando ci siamo guardati negli occhi? Hai scavalcato il mio muro di difesa come se niente fosse, è stato come se mi avessi presa per mano e mi avessi sussurrato dolcemente che quello era solo l'inizio.
Ebbi paura di non riuscire a giocarci. Volevo fermarmi, ma tentava la mia mente, mi diceva che potevo dimenticare il passato.
Erano le 09:00 ed io, da mattiniera, ero sveglia sul letto con il pensiero della colazione che mi aspettava giù in cucina.
Trovai mamma con il suo solito cappuccino in mano e una tazza di latte affiancata dai biscotti per me, ero felice, il sabato mi metteva di buon umore.
«Buongiorno tesoro», disse dandomi un bacio in fronte. «Buongiorno mamma», la mia voce era ancora un po' rauca.
«Stasera devi uscire con le tue amiche?»
«Sì!»
«E dove andate?».
Stirò la fronte e mi guardò bene con quei suoi occhi neri, era pronta ad interrogarmi e a capire sé stessi dicendo la verità.
«Mi hanno accennato che c'è un locale carino dove andare».
«Mmh... l'importante che stai attenta!»
«Certo, come sempre».
Mia madre era molto protettiva, aveva la costante paura che mi poteva succedere qualunque cosa, forse anche perché mi aveva sempre vista come la sua bambina, piccola e indifesa. 
Posò la tazza nel lavabo e si avvicinò a me per darmi un lungo bacio in fronte.
«Tesoro sto uscendo, ci vediamo a pranzo».
«Sì mamma, a dopo!», trasformai la mia voce in quella di una bimba, mi strofinai gli occhi con il dorso e bevvi il mio latte.
Poggiai lo sguardo sul telefono e vidi dei messaggi da Valerio:
"Hey Sophie! Stasera venite tu e le tue amiche in discoteca? Sto vendendo le prevendite se vi interessa". Pensai subito che avrei rivisto Davide ed un brivido mi risalì dal ventre come qualcosa di incontrollato. 
Chiamai Francesca.
«Pro-pronto», rispose, aveva la voce assonnata.
«Pronto! Scusa se ti ho svegliato, ma Valerio mi ha chiesto se vogliamo andare a ballare con lui e i suoi amici, sta vendendo le prevendite e ho paura che si finiscano».
«Valerio? Ah sì, l'amico di mio fratello... ora parlo con Davide e mi faccio dare i biglietti da lui. Sophie ma che ore sono?»
«Sono le 09:30, scusa, scusa, scusa per l'orario, ti voglio bene lo sai».
«Che scema! Mi vuoi bene solo quando ti accordo nelle tue idee?» ridacchiò.
«No! Ti voglio bene sempre».
«Mmh... va bene, facciamo che ti credo».
«Fammi sapere cosa ti dice tuo fratello».
Staccai la chiamata, non stavo più nella pelle.
Tornai in camera per contemplare l'armadio e scegliere il vestito da mettere per la sera, ero indecisa, volevo essere bella, volevo che mi notasse.
All'improvviso non andava bene nulla, guardavo il mio riflesso che mi scrutava incerto, il mio viso così triste dalle emozioni trasparenti.
Mi guardavo dritta negli occhi e immaginavo i suoi, sentivo appena il ricordo sfiorarmi le mani e ripassare nella mia mente così insistentemente che mi faceva dimenticare tutto il resto.
Lo squillo mi spaventò, distogliendomi dall'infinità di pensieri; era Francesca.
«I biglietti li sta vendendo anche mio fratello. Io oggi ho troppi impegni quindi non ci possiamo vedere, ma alle 18:00 vai in piazzetta da Davide, già ho parlato con lui, sa che appena ti vede ti deve portare il biglietto». Il cuore mi batteva forte nel petto, ma amavo tutte quelle sensazioni, mi travolgevano e mi davano un motivo per sorridere.
Mi truccai per uscire quei cinque minuti, con attenzione passai il pennello su tutte le imperfezioni; infine, il lucido rosa che attirava l'attenzione sulle mie labbra. Arrivai in piazzetta ed era deserta, anche lui era assente. Mi sedetti sulla panchina ed aspettai che arrivasse, avevo ansia, sembrava che mi stessero tirando per le guance e che avessero spento il mio cervello, stavo perdendo il controllo.
«SoFia», mi sussurrò la sua voce alle spalle. Mi girai di scatto spaventata, non lo avevo sentito arrivare.
«È Sophie, non Sofia».
Scandii bene le consonanti, imbronciai appena le labbra e restai a fissare i suoi canini dal sorriso che stava pronunciando.
«Scusa ricciolina».
Gli piaceva prendersi gioco di me, ormai lo avevo capito, più io accennavo fastidio dalle sopracciglia aggrottate più lui rideva e si divertiva.
«Chi ti ha autorizzato a chiamarmi così?».
Si sedette al mio fianco, sentivo i suoi jeans sfregare nelle mie cosce, poi si poggiò allo schienale con le braccia lungo il bordo in pietra, mi costrinse a voltarmi rimanendo molto vicino al suo viso, tra le sue braccia.
«Io!», esclamò alzando gli occhiali da sole.
«Beh... non mi piace».
«Scusa ricciolina».
Il suo essere così sfacciato mi spaventava.
Intrufolò una mano in tasca e quando estrasse qualcosa gli volò via finendo ai nostri piedi.
«Il biglietto!», esclamò e si chinò per raccoglierlo. Quando si alzò era ormai vertiginosamente vicino alle mie guance rosse.
Mi guardò dritto negli occhi, lasciai che facilmente le nostre pupille si potessero scontrare, eravamo alla ricerca della stessa chimica provata la prima volta, come l'astinenza di una droga, così potente, così essenziale.
«Grazie!», sussurrai accennando un timido sorriso.
Distolsi lo sguardo, volevo mi cercasse, che provasse di nuovo a stabilire quel contatto visivo.
«Quindi ci sei pure tu stasera, mmh... buono a sapersi». Rise maliziosamente, stava giocando con l'intesa che c'era tra noi..
«Ci-ci sono anch'io. P-presumo anche tu», balbettai, ma riuscii a riprendermi distogliendo per la seconda volta lo sguardo dal suo viso, volevo dare poca importanza alla sua risposta.
«Sì certo, allora ci vediamo stasera!».
Mischiavo le parole, facendo uscire persino dei suoni strani, gli guardavo il sorriso singolare, con quei canini affondati sul labbro inferiore.
«A stasera», risposi riguardandolo dritto negli occhi; mi fece un sorriso e si allontanò.
Il vestito che avevo scelto era nero, interamente coperto di paillettes, perfetto per una serata in discoteca, pensavo che gli sarebbe potuto piacere, risaltava il punto vita e le forme, era elegante e appariscente.
Mi andai a fare la doccia e come al solito canticchiai qualche canzone per alleviare lo stress, asciugai i miei riccioli specchiandomi nel vetro appannato del bagno.
«Ricciolina», mi sussurrai e portai gli occhi al cielo.
Tornai in camera e feci scivolare il vestito lungo il mio corpo, misi le scarpe e poi mi diressi nell'angolo trucco con le cuffie alle orecchie.
Cercavo di alleviare l'ansia e, nonostante la musica forte, le parole di Davide erano più rumorose; mi rimbombavano in testa, soprattutto quella frase: "Buono a sapersi", diceva tutto e, allo stesso tempo niente, niente... 
Avevo la testa piena di dubbi e un forte formicolio allo stomaco quando lo pensavo.
«Sophie! C'è Ginevra alla porta, sei pronta?», urlò mia madre dal piano di sotto.
«Sì, sto scendendo!».
Uscimmo dal cancello di casa mia e Ginny mi fece segnale di seguirla.
«Sophie, non dobbiamo prendere la metro, siamo in macchina con Valerio e mio cugino», disse Ginevra a bassa voce.
«Cosa?! Se lo sa mia madre mi uccide!»
«Infatti non le devi dire niente, tanto non lo saprà mai!» «Mmh... va bene, però la prossima volta ditelo prima!». Corremmo al buio sul marciapiede, il cielo blu incorniciava le nostre sagome, le mie paillette riflettevano la luce dei lampioni, ed io irrequieta al pensiero di vederlo, di stare nella stessa macchina, con il formicolio agghiacciante sul mio stomaco.
Per la prima volta dopo tanto stavo provando qualcosa, la mia vita si era tinta di grigio, costantemente insoddisfatta, capace di non provare neanche paura su un filo con dei trampoli, avevo bisogno di essere scossa, il mio incontro con i suoi occhi aveva colorato tutto di verde. E non era un caso se proprio le sue iridi riflettevano un futuro a cui aspirare.
«Tranquilla! La prossima volta sarai informata. Dobbiamo solo girare l'angolo, i ragazzi ci aspettano lì», affermò Ginevra.
Salii in macchina, trovai Francesca illuminata dal display mentre scorreva le canzoni, con i capelli legati in una coda che lasciava le sue ciocche accarezzargli le spalle; al lato guida c'era Valerio con il gomito poggiato sullo sportello e al suo fianco Davide con una sigaretta tra le dita.
«Ciao ragazzi!», dicemmo quasi in coro io e Ginevra. «Ciao Ginny! Ciao bella!», disse Valerio guardandomi attentamente, mi osservò da capo a piedi ben due volte. «Va bene, ora partiamo che la discoteca tra un po' chiude se non ci muoviamo!», ironizzò Davide, sembrava infastidito dal tono di voce, aspirava con forza il fumo, quasi finiva la sigaretta in un tiro.
«Davide rilassati, arriviamo in due secondi», rispose Valerio, Davide fece un sorriso sarcastico e si girò con la testa per guardare fuori dal finestrino.
«Sophie sei fidanzata?», mi chiese Valerio.
«No, single».
La domanda mi fece sorridere, ma gli occhi delle mie amiche mi parlavano, Ginevra spalancò lo sguardo e mi sussurrò all'orecchio:
«Ma ci sta provando con te?».
«Anch'io lo sono», affermò Valerio guardandomi dallo specchietto retrovisore, subito dopo guardò Davide.
«Non sei fatto per stare con una ragazza Valè, hai la testa fra le nuvole», scherzò Francesca con aria antipatica.
«E chi lo dice? Se trovo la ragazza che mi piace divento un fidanzato modello». Allisciò i suoi ciuffi castano mogano, osservandosi allo specchietto.
Francesca portò gli occhi al cielo e alzò il volume della musica. 
Arrivammo in discoteca e, dopo l'ingresso, mi diressi al bancone per prendere da bere.
Mi si affiancò Valerio e, tra la musica a palla e le persone che cantavano, all'orecchio mi disse:
«Non è come sembra!».
Mi girai e lo guardai stranita, lui ridendo alzò le spalle e continuò:
«Pago io!».
Cercai di fermarlo, ma non ci riuscii, così lo ringraziai, presi il bicchiere e mi diressi dalle mie amiche.
Mentre ballavo mezza ubriaca nella mia mente si susseguirono scene di un possibile nostro primo bacio, la voglia era troppa, l'alcol mi aveva dato quella giusta dose di coraggio, insabbiando la paura e l'ansia.
Lo vidi.
Era lì, davanti a me con i suoi tremendi occhi verdi puntati sul mio viso, trattenni il fiato come si fa andando sott'acqua, nonostante l'alcol si fosse miscelato perfettamente con la mia voglia di lui, l'ansia che era stata sotterrata stava riemergendo.
Iniziò a camminare verso me, avevo paura che le mie amiche e in particolare Francesca ci vedessero insieme, così trovai una soluzione.
Con gli occhi gli feci cenno di venirmi dietro; lui mi guardò e divertito mi seguì.
Mentre scappavamo da strade diverse ci rincontrammo, ma stavolta ci ritrovammo faccia a faccia. 
Mi sentivo viva all'interno del nostro gioco, la paura nel non farci scoprire dava quel tocco di adrenalina pura. Mi accarezzò il viso e, avvicinandosi al mio orecchio disse:
«Sai, le domande che ti ha fatto Valerio erano da parte mia».
Ecco cosa significava la frase detta da Valerio. Dovevo togliermi a tutti i costi un dubbio, così mi avvicinai al suo orecchio.
«Sappi però che non do confidenza ai ragazzi fidanzati».
Lo fulminai con gli occhi, lui ridacchiò.
«Chi ti ha detto che sono fidanzato? Io sono più che disponibile».
«Perché vuoi saperlo? Sei gelosa ricciolina?», finì.
Mi accarezzò la guancia mentre si ondeggiava appena per la musica, il suo cocktail sembrava un mare in tempesta, che avvolgeva il ghiaccio sciolto. «No, no, assolutamente, io e te non siamo niente». Fece scivolare la sua mano sulla mia vita passando per la curva della mia schiena, il tempo si fermò, la musica soffocante del palco si opacizzò diventando un suono di sottofondo, sentivo in rilevanza i battiti del mio cuore.  Si avvicinò nuovamente al mio orecchio e con il tono caldo disse:
«Vuoi che io e te rimaniamo niente?».
Mi guardò negli occhi e iniziò ad avvicinarsi lentamente alle mie labbra, ricambiai lo sguardo, poi mi spostai vicino all'orecchio evitando il bacio e lo sfidai:
«Non bacio il primo ragazzo che capita».
Sentii la sua aria un po' imbarazzata, strizzò gli occhi e mi guardò con un sorriso furbo.
«Allora facciamo in modo che io non sia più il primo ragazzo che capita».
Sollevai lo sguardo e mordendomi il labbro assentii con la testa.
«Devo tornare dalle mie amiche prima che sospettino qualcosa».
«Resta un altro po' qui con me, lontano da tutti».
Mi tese la mano e proprio quando la mia si stava poggiando sulla sua, mi tirai indietro. I nostri polpastrelli si sfiorarono appena.
L'invito mi stuzzicava, ma sapevo che non potevo. Non ragionavo mai d'istinto, una come me che doveva controllare tutte le decisioni da prendere, non poteva farsi accecare da una frase perfetta.
«Devo tornare dalle altre», urlai. Mi facevo spazio tra le persone per scappare via e lui cercando di non perdermi esclamò:
«Ci vediamo domani allora!».
«Domani? Dove?»
«Mi farò sentire io principessa», si sollevò sulle punte dei piedi, io ero riuscita a sentirlo, ma lui mi aveva persa tra la gente.
Erano rimaste solo Elena e Ginevra.
«Le altre dove sono?», domandai.
«Fuori, Denise piange e noi stavamo cercando te, dov'eri?».
«In bagno. Andiamo fuori da Denise».
Annuirono e ci dirigemmo fuori dal locale.
Trovai Denise con il trucco sciolto e due strisce nere di mascara sulle guance, gli occhi rossi ed emetteva forti gemiti; io mi avvicinai senza dire niente e l'abbracciai, lei ricambiò e poi, staccandosi dall'abbraccio, urlò:
«Tuo fratello è un bastardo!». 
Il mio cuore si fermò.
«Dai amò, basta!», affermò Francesca, le accarezzò le ginocchia bagnate dal suo pianto.
Sapevo della gelosia che provava nei confronti di Davide ed era uno dei motivi per cui dovevo togliermelo dalla testa.
«Amò guardami! Non ti puoi rovinare la vita per un ragazzo, hai 17 anni e di conseguenza una vita davanti a te». Diana cercava di farle dei discorsi sensati, senza tenere conto però che l'amore è incoerente.
L'amore è incoerente e irrazionale, non c'è ragione dietro i comportamenti di noi umani sotto effetto dell'amore. Diventiamo sabbia, così fragili, così malleabili; rischiamo di scomparire, basta che solo per un istante qualcuno provi ad aprire la mano in un giorno di vento e noi semplici granelli scomposti a volare chissà dove. Eppure poi ritorniamo al punto di partenza, perché l'amore dissolve i comuni legami della logica e della ragione, avvolge tutto e prende solo ciò che vuole.
Le sorresse il viso e le asciugò le lacrime.
«Era fidanzata con Davide?», sussurrai a Francesca. «Sì, si sono appena lasciati, lui le ha mandato un messaggio dicendole che non l'ha mai amata e che non si vuole rimettere con lei».
Ripensai a ciò che stavo per fare e capii che era la direzione sbagliata, dovevo interrompere il gioco prima di farmi del male e non era facile per me che scappavo dalle situazioni soffocanti senza mai mettere un punto. Sempre virgole o puntini di sospensioni, nella mia storia non c'era mai una fine di un capitolo, rimanevo bloccata con tutte le mie paure, sospesa ed incastrata nelle situazioni che non riuscivo a chiudere.
Rimasi a fissare il vuoto, come una sciocca mi stavo rifidando di qualcuno, ed era in quei momenti che non potevo far altro che pensare alle parole di Mattia.
«Credi che vogliono essere tuoi amici? Sophie sei bella, ma sei completamente stupida, nessuno vuole essere tuo amico! Ma quando hai intenzione di capirlo?», diceva ogni qualvolta mi fermavo a parlare con i miei amici, così di fatto ben presto rimasi senza.
«Solo io sono in grado di amarti e nessuno ti vorrà come ti voglio io».
E forse aveva ragione, ero solo un'ingenua quando pensavo di poter piacere davvero a qualcuno, solo lui riusciva a farmi sentire a casa, tra le sue braccia, dentro una campana di vetro, per il resto gli altri mi riempivano di complimenti che poi mi lasciavano piena di niente. La nostalgia mi risalì il corpo, mi accarezzò le tempie, così lo chiamai, un'altra volta... un'ultima.
«Mattia», singhiozzai appena sentii la sua voce.
«Sophie».
«Mi manchi...»
«Mmh... ti manco eh? Ho visto che sei andata a ballare, a fare la puttanella in giro per Roma eh. Ma non ti vergogni?» – volevo rispondere ma non mi diede il tempo – «Dicevi di essere diversa, che eri cresciuta, ma a me sembri solo più superficiale delle altre, pronta ad aprire le gambe al primo che passa. Tu non mi hai mai amato, sei una stronza, un'arpia maledetta, se mi amavi davvero perché non hai fatto la guerra con i tuoi genitori per restare al mio fianco», mi sgridò, sputò via tutto l'odio che provava per me ed io non potevo far altro che dargli ragione, ero pessima.
«Io... ti amo Matti».
«Sei brava anche a fingere di piangere. Sei una troia e lo sarai per sempre».
Staccò la chiamata, avevo la pelle d'oca ed un insolito freddo che correva sulle mie braccia.
Mentre cercavo di asciugare le lacrime con il gesto maldestro delle mani che mi tremavano notai in lontananza un'Audi parcheggiata, sembrava quella di Valerio.
Continuai ad osservare attentamente, al fianco dell'auto vi era fermo un ragazzo che non conoscevo; aveva i capelli neri, di statura medio alta ed era molto magro, l'unica cosa che riuscii a vedere con chiarezza del suo viso fu il naso sporgente. 
Non era vestito elegante, tutt'altro, aveva dei jeans strappati a cavallo basso, una maglietta nera sbiadita e delle scarpe palesemente sporche, insomma sembrava non si cambiasse da una settimana. Il modo in cui si atteggiava lasciava pensare che avesse paura di qualcuno, si girava spesso per vedere chi ci fosse alle sue spalle e camminava a destra e a sinistra quasi innervosito.
La cosa mi incuriosì molto.
Lo squillo del telefono mi fece spaventare, mi aspettavo la chiamata di scuse di Mattia e le parole dolci per rimediare, forse mi faceva male perché era la verità, mi sentivo una lama sul petto affondata per bene fino a frantumarmi lo sterno.
Non era lui, così realizzai che era finita per sempre...
«Pronto».
«Pronto Sophie! Dove siete? Io sono uscito ora dalla discoteca e sto andando a prendere la macchina», spiegò Valerio.
«Vale noi siamo fuori dal locale, ma... non sei già in macchina?», dissi continuando a fissare quell'Audi. «No! Sono appena uscito dal locale e sto andando al parcheggio, perché?»
«No niente, mi era sembrato di vederti, comunque noi siamo qui, ti aspettiamo!», esclamai, nella mia voce si sentivano ancora frammenti di pianto.
Ad un tratto vidi Davide avvicinarsi a quell'auto, salutò il ragazzo e salì in macchina.
Era tutto molto strano, sembrava stesse aspettando lui per andare via, Davide era in macchina con noi, perché salire con quel ragazzo? E poi chi era?
«Sophie c'è Valerio! Dobbiamo salire in macchina», annunciò Francesca toccandomi il braccio.
Rimasi dubbiosa con la fronte appoggiata al finestrino, a guardare fuori mentre digrignavo i denti, stringendo il braccio fino a farlo diventare viola, per poi accarezzare la pelle d'oca per l'aria fresca che arieggiava quella sera, per il vento freddo che proveniva dal mio cuore squartato da quelle parole.
«Davide?», domandò Francesca non appena ci sedemmo in macchina.
«Lo sta accompagnando Kevin», rispose Valerio.
«Non mi piace quando sta con lui, è un drogato!».
«Stai tranquilla! Davide ha la testa sulle spalle». Francesca rimase pensierosa in viso, si notava, Ginevra cercò di rassicurarla:
«Ma sì stai tranquilla! Sai com'è tuo fratello, esce con tutti, ma non si fa trascinare da nessuno; è sempre se stesso».
Annuì con la testa e io, seduta al lato guida accanto a Valerio, mi girai poggiandole una mano sul ginocchio per trasmetterle conforto.
Ad essere sinceri quel ragazzo non piaceva neanche a me, sembrava uscito da qualche carcere.
Arrivata a casa salii le scale in punta di piedi, accompagnai la porta della mia cameretta per evitare rumori, misi il pigiama e mi stirai sul letto. 
Presi il telefono e, sulla schermata di blocco, trovai un messaggio di Davide:
"Hey principessa! Sei arrivata a casa?"
Il messaggio era stato mandato alle 03:55, guardai l'orario ed erano le 04:04, c'era ancora la probabilità che fosse sveglio così risposi: 
"Hey! Sì, sono a casa".
Poggiai il telefono sul mio petto, aspettavo una sua risposta, anche se il mio mal di testa mi ricordava il dolore che provavo per Mattia. E mi sentii vuota, nuovamente, su quel letto ad aspettare che mi perdonasse.

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