Capitolo 14

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Mycroft raggiunse l'uscita accompagnato dalle prese in giro del fratello minore, Astrid avvertì quando arrivò alla fine della scalinata e aprì la porta per andarsene sulla solita auto di lusso dai vetri oscurati. Il fratello di Sherlock era il mandante dell'assassinio di Sebastian Moran, un sassolino tra gli ingranaggi in grado di fermare l'intero congegno.
Agì d'impulso, dalla voglia di schiacciare la sua aria di superiorità, di veder il suo mento sempre elevato abbassarsi.
Scese le scale e varcò la porta principale, ignorando i calzini che si inzupparono dall'acqua piovana, depositata dalla pioggerella cessata qualche ora prima.
<Cosa c'è adesso?> Chiese Mycroft con tono irritato, rivolgendo le spalle verso la ragazza e gli occhi su Anthea, la sua assistente.
<Ne hai mai sentito parlare?> Una domanda che lasciava inevitabilmente spazio ad una nuova domanda, la pazienza dell'uomo era al limite.
<Immagino ti debba chiedere di cosa.>
<Del vento dell'Est.>
Nonostante non avesse modo di vedere il suo viso, percepiva un cambiamento radicale nel suo portamento, come se tutta la sicurezza si fosse eclissata.
Girò il corpo di 180°, Astrid sentì fuoriuscire dai suoi occhi un raggio di minaccia, di ispezione.
Stava entrando in un gioco più grande di lei, non aveva idea di cosa significasse questa storia dei venti, ma in qualche modo aveva intuito che Mycroft ne fosse dentro fino al collo.
Il Governo Inglese era smorto in faccia, riuscì a mantenere il contatto visivo solo per una trentina di secondi, dopo di ché ordinò ad Anthea di riportarlo al Diogenes Club.

Il rumore di passi alle sue spalle preannunciò l'arrivo di Watson. Aveva memorizzato ogni loro andatura, il modo in cui le scarpe sferzavano il pavimento. John aveva un modo di camminare caratteristico dovuto al suo trauma alla gamba di natura psicosomatica, malgrado non zoppicasse più come una volta.
<Sei sbiancata quando hai visto quelle foto, va tutto bene?>
Lei si poggiò sullo stipite della porta, sfregando le mani fra di loro.
<Sì, solo non mi piace vedere persone morte, so che ricorderò a vita i loro sguardi e non è piacevole.>
John prese posto sull'altro stipite, incrociando le braccia e osservando la strada spopolata di Baker Street durante il primo pomeriggio.
<Allora perché proprio questo lavoro? Vedrai cadaveri per tutta la tua carriera.>
<Deve pur essere utile a qualcosa avere questa "super memoria". Sai che c'era un uomo ossessionato da Sherlock?>
Il primo pensiero che passò per la testa dell'ex soldato era che lei stesse cercando di cambiare discorso, ma si dovette ricredere non appena continuò.
Raccontò di una strana figura che si palesò per dieci giorni durante l'inizio del caso. Di come ogni giorno il suo aspetto peggiorasse, così che Sherlock avrebbe pensato si trattasse di un criminale e lo avrebbe attenzionato, ma lui prevedendo le sue intenzioni lo ignorò. Era riuscita a costruire il percorso che intraprendeva ogni singolo giorno così da capire dove abitasse. Il settimo giorno ricevette una chiamata da sua madre, Astrid trovandosi a qualche metro dietro di lui memorizzò il numero e arrivò a scoprire il suo nome e cognome e informazioni sulle, poche, persone a lui vicine.
<Se fosse arrivato a compiere un crimine pur di ricevere le attenzioni di Sherlock avevo i dati necessari per incastrarlo, ma come immaginavo era solo un codardo che cercava di interpretare un antagonista o altre cazzate da malati di film.>
Concluse, intanto che il freddo si fece sentire ai piedi ed era quasi sul punto di rientrare per indossare le scarpe.
<Un tempo ne sarei rimasto stupito, ma poi ho conosciuto Sherlock.>
Lei ruotò la testa dalla parte del biondo.
<Per te è importante?>
<Cosa?> Anche John la guardò.
<Sherlock.>
Calò gli occhi. Fece silenzio, in lontananza si udiva una rondine garrire, il soldato stintignava. Poi schiuse le labbra fini, pronunciando delle parole dette con imbarazzo.
<Lui mi ha salvato la vita. È arrogante, antipatico, a volte avrei davvero voglia di prenderlo a pugni, ma se non fosse entrato nella mia vita non so che fine avrei fatto. È il mio migliore amico, ma non gliel'ho mai detto, credo lo sappia già da solo con l'intelligenza che ha.>
A lei scappò un sorriso genuino, una ciocca di capelli biondi le cadde sul viso, ridacchiò di tenerezza.
<Invece penso non l'abbia capito per niente. Sei l'unico a trattarlo come un essere umano, tutti gli hanno sempre dato del pazzo. Sono certa che non sia in grado di capacitarsi del fatto che qualcuno possa volergli bene.>
Lo vide riflettere, poi fece per tornare dentro, ma non prima di correggere le parole di Astrid.
<Non sono l'unico, anzi, tu lo tratti meglio di come lo tratto io.>
Affermò mentre si avviava verso le scale. Il sorriso della ragazza si spense, consapevole che li stava solo manipolando. Eppure quelle parole, i momenti vissuti insieme a quel detective e al suo collega, le emozioni, le sembravano così reali che non sapeva se stava manipolando loro o se stessa.

Rientrando al piano superiore, Sherlock sembrava intento a riprendere la conversazione di quella notte. Stava seduto sulla sua poltrona color carbone, a gambe accavallate e mani giunte sotto il mento, gli occhi con l'obiettivo di scrutarla.
<Sherlock, non è il caso...> Sentenziò John, diretto verso la cucina. A causa dell'intromissione del fratello non avevano avuto modo di pranzare.
<Possiamo facilmente dedurre che non è stato un incidente dato che non riporti altri graffi o lividi. Il fatto che sei corsa da noi invece che andare in ospedale mi fa pensare che volevi evitare domande da parte dei medici, è stata una persona che volevi coprire.>
L'olio bollente iniziò a sfrigolare, il medico militare doveva aver messo qualcosa a friggere sulla padella. Astrid guardava il detective senza spiccicare parola, con sguardo assente.
<Non un fidanzato, insomma non vai a letto con qualcuno da mesi.>
Accompagnò quelle parole da una leggera risata, che non coinvolse nessun'altro.
<Escludo anche un familiare, non è vero che abiti ancora in un quartiere malfamato. Punterei piuttosto su un coinquilino, non guadagni molto quindi hai dovuto trovare un compromesso per allontanarti dal posto in cui sei cresciuta, stavi dividendo l'affitto. Ma qualcosa è andato storto questa notte.>
Sherlock era finito per fare un buco nell'acqua e la ragazza avrebbe tirato un sospiro di sollievo, ma ruotò gli occhi e si portò la mano del braccio sano ai capelli, simulando la reazione di una persona che era stata appena beccata e stava per rivelare tutta la verità.
<Questioni di droga. Ho scoperto che si faceva e adesso che sono un agente di polizia non posso convivere con della droga in casa. Ha dato di matto quando ho insistito per fargliela buttare. Non rinuncio a questo lavoro per un tossico.>
Sfruttò la storia che le raccontò un cliente all'età di quattordici anni, con la differenza che il tossico era lui.
<Qua è pure peggio, Sherlock ha droghe di tutti i tipi!>
Come aveva potuto confondersi? Aveva appena raccontato di essere stata buttata fuori di casa da un tossico per rifugiarsi in quella di un altro tossico.
<Ma lui tanto lavora con la polizia, ormai non gliene fanno più un problema.>
Si salvò in calcio d'angolo, sfruttando il sarcasmo per ammettere un dato di fatto. La storia sembrava non puzzare per il detective, il quale rimproverò al collega che la droga che utilizzava era "carburante per il cervello" e che lui non avrebbe potuto capire dato che il suo si metteva in funzione solo di fronte a donne nude.

I tre si godettero il pranzo, Astrid infilzò con la forchetta un po' di insalata con un pezzo di pesce e stava per addentare il boccone, quando la forchetta le rimase a mezz'aria. Sherlock posò la sua attenzione su di lei, che se ne stava in cagnesco.
Le due pupille azzurre saettarono in più punti della cucina, in un disperato tentativo di comprendere cosa non le tornasse.
<Non ti piace il pranzo, Astrid?> Domandò John quando finalmente anche lui si rese conto del suo cambio di espressione.
<Qualcosa non va.> Sibilò la ragazza, continuando a ispezionare l'interno con gli occhi.
<Forse il pesce dovevo cucinarlo al forno, ma era tardi e-> Emise un lamento di dolore appena Sherlock lo colpì sulla spalla.
<Non sta parlando del cibo!> Sbuffò <Anche io avevo questa sensazione.> Ammise e si alzò in piedi contemporaneamente a lei. Astrid si avvicinò al microonde, il quale segnava 3 minuti e 45 secondi, questi ultimi continuavano a scendere con il trascorrere del tempo.
<Non hai messo niente a riscaldare, avrei ricordato il rumore dello sportello.>
Disse rivolta a John, che si alzò in piedi esausto da quei due ossessionati di dettagli.
<Sarà solo rotto, sapete com'è, succede quando vivi con un sociopatico che mette a riscaldare sostanze con parti umane.>
Allungò il braccio per aprire lo sportello dal vetro oscurato e dimostrare che non vi era nulla all'interno, ma Astrid e Sherlock scattarono urlando in coro.
<NO! STA FERMO!>
L'ex soldato sobbalzò dallo spavento e lanciò ai due un'occhiataccia.
<Gesù, vi consiglio la tisana che prepara la signora Hudson.>
I secondi continuavano a scorrere e la ragazza girò il microonde per osservare la parte posteriore, trovando un quadrante, ma a pochi centimetri stava il filo connesso alla presa elettrica.
<Da quando questo microonde funziona a batterie?>
Domandò retoricamente e svitò il coperchio del quadrante usufruendo di un coltello affilato. L'appartamento sembrava essere stato prosciugato di ossigeno dato che i tre rimasero senza fiato una volta visto il contenuto.
Un dedalo di fili, di colori diversi, era collegato in modo impreciso a quello che fino a poco prima sembrava un comunissimo microonde.
Ora che avevano scoperto cosa fosse, avevano l'impressione che i secondi sul display scorressero sempre più velocemente.

2 minuti e 20 secondi.

<È una bomba.>

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