Capitolo 4

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La primavera vissuta con una persona di cui si fidava, per Astrid aveva tutta un altro aspetto. Iniziò a notare come il colore delle foglie fosse molto più vivace, come le cortecce sembravano trasmettere un senso di sicurezza. Astrid aveva associato metaforicamente una corteccia, la quale viveva sedentaria nella radura in cui si allenava giornalmente a sparare, a James. Ai suoi occhi lui era forte, nulla poteva spaventarlo e l'avrebbe protetta come se lei fosse una fragile fogliolina. Non le piaceva paragonarsi ad una foglia, aveva forgiato un carattere forte nel corso degli anni, ma in confronto di James la sua mente appariva molto più instabile. Nonostante Jim non fosse il migliore esempio di stabilità mentale, la sua follia le sembrava giustificata in ogni modo possibile. Che in fondo, se il mondo aveva deciso di tirargli calci in faccia, avrebbe dovuto aspettarsi di non riuscire più a tenerlo sotto il suo controllo. Come un cane bastonato e incatenato che, una volta libero, sbranerà il suo stesso padrone.
Quando questo confronto le percorse la testa, Astrid iniziò a domandarsi dove fosse la famiglia del criminale e se, proprio come il cane, anche lui avesse deciso di disfarsi di loro.

<Prima di iniziare la lezione di oggi, ho una cosa da darti.> James aveva nascosto le mani dietro la schiena e, quando le scoprì, tenevano strette una custodia lilla.
<Cos'è?> La ragazza non trapelava nessuna emozione, dato che non stava capendo di cosa si trattava.
<Aprila.>
Lei eseguì e al suo interno trovò degli occhiali. Erano tutti lente se non per il metallo sottile e nero che li circondavano formando un cerchio leggermente appiattito sul sopra. Le aste erano argento e quando le afferrò ebbe il timore di spezzarle da quanto sembravano fragili.
<Sei miope.>
<Oh, non è così grave, non dovevi scomodarti.> Li indossò e si armonizzavano così bene con le caratteristiche del suo dolce viso che le conferivano un'aria più giovane e fresca.
<Ti stanno d'incanto. Prova a sparare adesso.>
Con l'addestramento che durò un mese e con l'aiuto degli occhiali che le agevolavano la vista, Astrid riuscì a centrare tutte le lattine pure in movimento. Jim aveva provveduto a costruirle un percorso da svolgere, ogni giorno diverso. La ragazza doveva nascondersi dietro dei sacchi che torreggiavano uno sopra l'altro, o dei cartoni come a simulare dei muri, e colpire i bersagli mentre si affrettava a trovare un altro rifugio.
Sebastian le aveva insegnato tecniche di difesa personale a cui sembrava avere un'innata predisposizione. In poche lezioni era già in grado di disarmarlo o di liberarsi da una presa. Ogni volta che l'uomo la attaccava in modi differenti, il suo corpo sapeva come reagire, coordinando i movimenti in modo tale che alla fine lui si ritrovava sempre a non sapere più cos'altro insegnarle.

<Tigre, porta la nostra amica a comprare dei vestiti nuovi. Tra non molto inizierà il nostro piano.> "Tigre" era il soprannome che James utilizzava per Sebastian, Astrid associò questa scelta alla cicatrice sul suo volto.
Lui annuì con la testa, ma dovette fermarsi quando la ragazza intervenne.
<Io non so che genere di vestiti vadano bene.>
<Il nostro abbigliamento comunica molto di noi e Sherlock Holmes questo lo sa bene. Devi trasmettere conoscenza, ma soprattutto mistero. I ricordi vivono nitidi in te, quindi i tuoi vestiti non devono essere contemporanei, anche loro come te devono vivere nel passato.>
Lei rispose con un semplice "okay" fingendo di aver capito il compito affidato. Rivolse un'occhiata a Moran, ma lui stava ancora guardando il suo capo.
Una volta usciti di casa, finalmente le si rivolse.
<Sta tranquilla, ho preso delle foto come riferimento da internet. Neanche io avevo capito.>
Gliele mostrò dalla galleria del suo cellulare e lei, dopo averle osservate, voltò gli occhi di lato con fare altezzoso.
<Sbagli, io avevo capito benissimo.>
<Ma smettila.>
Lui ridacchiò, Astrid mise da parte la sua scenetta solo per osservare il suo sorriso e ascoltare la sua risata. Era raro vedergli quell'espressione in viso, era molto professionale, per questo non poteva biasimare Jim per riporre in lui tutta la sua fiducia.

Sebastian si trovava seduto vicino ai camerini, attendendo che lei si facesse vedere. Dopo pochi minuti la scorse sbucare dalla tenda che fino a poco prima la copriva, con addosso un maglione verde scuro, pantaloni grigi percorsi da sottili linee che si intersecavano fino a formare dei quadrati ancora più scuri e una cintura marrone che li sosteneva aderendo perfettamente con la sua vita.
<Sembro una nonna.>
<Una nonna cazzuta.>
<Non mi fido dei giudizi di uno che va in giro con quei pantaloni.>
<Cos'hanno che non va i miei pantaloni?>
<Si vede lontano un miglio che sei un sicario.>
Una signora poco distante da loro, prese con sé il suo bambino e gli raccomandò di stare lontano da quella gente pericolosa.
<Comunque ti piacciono?>
<...Tantissimo.>
Durante gli anni dovette sempre indossare abiti appariscenti, stretti e che la scoprivano quasi completamente. Riceveva continui complimenti per il suo vestiario, ma nessuno di questi l'ha mai fatta sentire veramente apprezzata. Quel maglione che le calzava largo e che le trasmetteva caldo, le dava un forte senso di appartenenza, come se avesse aspettato di indossarlo per tutta la vita.

In fila per pagare, Sebastian sbiancò in faccia guardando di fronte a sé.
<Stai bene?> Domandò la ragazza, notando il pallore dell'uomo.
<Non parlare, copriti.>
Lei si mise in fretta il cappuccio della felpa e si guardò in giro per capire cosa stesse succedendo. Seguendo gli occhi di Moran, vide poco più avanti a loro un uomo insieme ad una donna. Lui aveva i capelli biondo cenere e un portamento che aveva già visto sei anni prima da un cliente che faceva il militare.
Dopo aver pagato, si diresse verso l'uscita tenendo per mano la sua compagna ma, sentendosi osservato, incrociò lo sguardo di Astrid. Le labbra sottili dell'uomo si arricciarono come a volersi chiedere perché lei lo stesse fissando, ma il contatto visivo si interruppe quando Sebastian con un braccio coprì il viso della ragazza.
<Chi era quello?> Chiese lei, una volta che era sicura che lo sconosciuto fosse uscito dal negozio.
<John Watson, il collega di Sherlock Holmes...dobbiamo solo sperare che si dimentichi presto della tua faccia, cazzo stavamo rovinando tutto.>
Non sapeva come rispondere, era anche colpa sua, non avrebbe dovuto trattenersi a scrutarlo.

<Seb.> Astrid spezzò il silenzio che li pervadeva da almeno dieci minuti. In quelle strade senza vita di Londra, risuonavano i passi dei due sopra le pozzanghere, le quali schizzavano piccole gocce sulle loro scarpe vissute.
<Si?>
<Come hai conosciuto Jim?>
Il castano la guardò per pochi secondi, poi continuò a guardare la strada umida dalla pioggia che era appena cessata.
<Pagava di più del tizio con cui lavoravo prima, niente di commovente.>
La ragazza intuì una strana aura che circondava il suo umore, non le stava raccontando tutto.
<Sembra legato a te, si fida molto.>
<Non illuderti, lui non prova quel tipo di sentimenti. La sua è solo follia.>
Abbassando lo sguardo, notò che l'uomo stava grattando dal nervosismo la busta di carta che teneva in mano.
<Ma tu non sei folle e nemmeno interessato solo ai soldi. La fiducia non si può creare sopra al denaro e Jim non farebbe dormire a casa sua un uomo che potrebbe andarsene con il prossimo che lo paga di più.>
Quelle parole attraversarono il cuore del sicario come una doccia fredda. Erano sempre stati lui e il suo capo contro il mondo e adesso una ragazza spuntata dal nulla sembrava aver capito tutto da un mese di convivenza. Era più sveglia di quanto pensava e questo la rendeva perfetta per il piano, ma non per la sua privacy.
<Non me ne fotte niente dei soldi, morirei per lui anche se fosse povero.>

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