Capitolo 11

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Trascorsi due mesi di lavoro, il risultato delle indagini era pressoché nullo.
Era estate inoltrata, se così era possibile dire a Londra, le precipitazioni avevano deciso di offrire una tregua agli abitanti, che potettero concedersi un sospiro di sollievo. I turisti ne approfittarono per visitare le attrazioni principali.
Astrid non si concedeva giorni liberi, tenersi occupata aveva giocato un ruolo importante per scacciare i pensieri negativi. Si recava giornalmente a Baker Street seguendo lo strambo detective in una corsa contro il nulla.
Tornava a sentirsi in colpa, ma rammentò le parole di James.
Quella domenica di luglio era il suo primo giorno libero. Sherlock era troppo impegnato nel caso per ricordarsi di avere empatia verso il prossimo, fu John ad insistere affinché lei si riposasse.
Ormai era già in città, era certa di non sapere come ammazzare il tempo in casa di Jim, quest'ultimo le sconsigliò di allenarsi con la pistola o avrebbe dovuto togliere accuratamente ogni traccia di polvere da sparo in lei, quindi decise che per una volta godersi una passeggiata in centro come una persona normale non le avrebbe fatto male.
Acquistò un biglietto dell'autobus e salì sul primo, destinazione: Piccadilly Circus.
Si rese conto che in 21 anni di vita non si era mai soffermata a visitare i luoghi principali della sua città, o almeno per gli undici che ricordava alla perfezione.
Osservando il paesaggio cittadino scorrere oltre il vetro, ascoltò la conversazione fra due adolescenti.
<Almeno ammetti che ti piace!> Lamentò una a quella che sembrava la sua amica più stretta. Con la coda dell'occhio Astrid scorse dei capelli castani, lunghi fino a poco sotto le spalle e raggruppati in due trecce che partivano dall'attaccatura sulla fronte.
All'altra dei capelli a caschetto fucsia e una frangia che si arrestava proprio sopra i suoi occhi verdi, sembravano nasconderle il viso macchiato da una spruzzata di lentiggini.
<Non è così, sono solo gentile con lui.>
<Se non ti piace allora non ti serviranno questi due biglietti per il concerto di quei fattoni che vi ascoltate.>
Il viso dell'amica si illuminò di gioia e fece qualche saltello seguito da uno stridulo urlo, il tutto fece mugugnare un'anziana signora che voleva solo completare il suo sudoku.
<Meg sei la migliore!>

Non appena il bus annunciò di essere arrivato a Piccadilly con uno sbuffo, Astrid si catapultò fuori scontrandosi contro la spalla di un uomo e ciancicando un flebile "scusi!".
Quei discorsi le stavano dando la nausea.
Due amiche coinvolte in una conversazione comunissima, ciò che non aveva mai sperimentato.
Le altre ragazze che lavoravano con lei per Lawrence erano come compagne di cella, come camerati in guerra che finivano per fraternizzare dalla disperazione. In quel fosso, nessun rapporto era sincero e se qualcosa di vagamente umano si fosse creato, veniva distrutto.

Di fronte i vasti schermi pubblicitari, troneggiava la statua di Eros, circondata da turisti intenti a scattare foto o ad assidersi sui margini.
Astrid non aveva mai visto così tante persone concentrate in un unico posto. La cessazione temporanea della pioggia doveva aver dato il via libera a chiunque avesse deciso di concedersi un giorno di ferie, in particolare notò un affollamento di famiglie. Ne capì il motivo quando poco più avanti vide piazzato un chioschetto ambulante che vendeva zucchero filato e palloncini ad un prezzo spropositato.
Accennò due passi, i suoi piedi sembravano intrappolati in due blocchi di cemento. Troppe persone, troppe voci che si accavallavano l'una sull'altra, fino a provocare un tinnito che le sembrava far sanguinare l'apparato uditivo.
I suoi occhi si piantarono su una famiglia. Il padre comprava lo zucchero filato alla sua bambina dai biondissimi capelli, raccolti in una fontanella in cima alla testa, il dolcetto era quasi più grande della bimba stessa.

Lei aveva dei genitori.
E tu nemmeno quelli ti sei meritata dalla vita.

Portò le mani alle orecchie, uno di queste mozzato, sentì i suoni esterni attudirsi e percepì solo il suo battito cardiaco. Il cuore batteva all'impazzata. Tentò di calmarlo regolando i respiri, ma l'ossigeno sembrava non arrivarle mai ai polmoni, si arrestava alla gola creando un groppo sempre più grande fino a darle la sensazione di apnea.
La bocca smise di produrre saliva, tutto era così secco che avvertì la superficie della lingua graffiarle il palato.
Il mondo intorno a lei girava, iniziava a sciogliersi. Le persone continuavano a camminare ma non erano reali, non ai suoi occhi, tutto aveva smesso di avere un senso.

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