Capitolo 17

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Si trovava in una dimensione sconosciuta, non era certa se possedesse un corpo, se stesse poggiando i piedi per terra, nessun pensiero occupava la sua mente. Era come se i magazzini che ospitavano i suoi ricordi, sempre così rumorosi, fossero stati svuotati lasciando una pace tranquillizzante. Per la prima volta non aveva più bisogno di catturare dettagli, di sentirsi un androide. La sua parte puramente umana era lì con sé, in un luogo di cui non si soffermava ad osservare le caratteristiche, sapendo in fondo che fosse il posto giusto per lei.
<Rid.> Una voce chiamò il suo nome, lei si voltò cercandone la fonte. Era buio, forse se lo era immaginato, ma non appena tornò a guardare di fronte a sé scorse Sebastian.
<Sei davvero tu? Io allora sono...morta?> Stintignò a chiedere. La sua voce suonava insolita, non la udiva dalle orecchie ma dal suo interno. Distinse il sorriso del sicario, che mise in risalto le sue gote rosee. Era dannatamente tenero, quella vista le fece credere di trovarsi tra i beati.
<No tesoro, devi solo svegliarti.>
<Non voglio svegliarmi Seb, voglio rimanere qui, con te. Ho rovinato tutto, è per questo che James ha cercato di uccidermi!>
Delle lacrime fluirono limpide sul suo viso come meravigliose cascate, la dimensione che li circondava assunse l'aspetto della natura incontaminata. Un raggio di luce fece splendere le lacrime, qualsiasi dolore sarebbe sembrato un'opera d'arte.
<James non voleva ucciderti, con questa ferita ti ha regalato la libertà, quella che lui non avrà mai. Quello strambo detective e il suo amico capiranno, vivrai una vita stupenda insieme a loro, ma devi lasciarti noi alle spalle.>
I passi che avanzò verso la ragazza producevano il suono di gocce d'acqua che si infrangono contro un lago.
<Io sarò sempre lì con te. Sarò nel sapore del tè caldo al mattino, nel vento dell'ovest che scombina i tuoi biondi capelli, nella luce lunare che illumina la tua stanza quando il buio ti spaventa. Sarò le foglie che cadono in autunno, sarò la tigre che lotta dentro il tuo cuore.>
Si unirono in un abbraccio, lei strinse con tutte le sue forze così da sentire per un'ultima volta il suo petto innalzarsi ad ogni respiro.
Allentò per un secondo la presa e Sebastian non c'era più.

Astrid catturò qualche sussurro prima che si svegliasse del tutto. Parole di cui non riconosceva il significato o il contesto venivano inglobate nella sua memoria, nel mentre che schiudeva timidamente le palpebre e nel mentre che avvertiva due aghi che penetravano la sua pelle.
<Si sta svegliando.>
<Le parlo io.>
<Aspetta che si riprenda prima!>
Distinse la stanza di un ospedale, il suono dei suoi battiti cardiaci, una strana sensazione di vuoto allo stomaco. Delineò le figure di Sherlock e John, tentò di mettersi a sedere nonostante i muscoli indolenziti e il braccio finalmente ingessato.
<Credo tu ci debba delle spiegazioni.>
Disse John e si beccò uno sguardo confuso da parte del detective, dato che fino a poco prima era stato lui stesso a dire di attendere.
Astrid si concesse un sospiro, poi cominciò a raccontare come erano andate veramente le cose. Raccontò della sua infanzia spezzata da Lawrence e di come James la portò via da quella situazione. Raccontò del piano che aveva in mente, dei suoi omicidi, e ad alta voce si rendeva conto per la prima volta di quanto quella storia fosse drammatica.
<...Non avevo nessuno prima di James, è stato il primo uomo a trattarmi come una persona e io non potevo deluderlo. Anche se...non avrei voluto deludere anche voi.>
Nel racconto risparmiò i sentimenti provati con i coinquilini di Baker Street, temendo di risultare patetica ai loro occhi. Aveva già fatto abbastanza, non era necessario che cercasse compassione da parte loro.
<Non è una bella sensazione venir traditi, però non è successo del tutto.>
Esordì Sherlock, incuriosendo la sua interlocutrice.
<Cosa intendi?>
<Secondo il piano John sarebbe dovuto morire. Tu gli hai salvato la vita e in questo modo hai salvato anche la mia.>
Aveva ancora le labbra schiuse, forse voleva aggiungere altro, ma non riuscì ad esprimerlo a parole. Il medico militare capì, accennò un sorriso e posò una mano sulla spalla del collega.
<Sei il mio migliore amico, Sherlock.>
Aveva soppresso quella semplice frase per molto tempo, ma dopo averla detta non risultò così imbarazzante come si aspettava. Sherlock sembrava esser diventato una statua, fissa con gli occhi su John, diventava anche piuttosto inquietante.
Il soldato scoppiò a ridere e la ragazza si fece coinvolgere, tutte le preoccupazioni la abbandonarono e divenne parte di un momento genuino tra amici.

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