Capitolo 16

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Fu un taxi ad accompagnare i tre verso la stazione fantasma. Sherlock sedeva a sinistra, con lo sguardo perso oltre il finestrino, John al centro, intento a cercare qualcosa fra le tasche interne della giacca, infine Astrid a destra che curiosava con la coda dell'occhio verso il soldato. Le passò la sua pistola insieme ad un paio di manette, il tassista non poté fare a meno di controllare la situazione tramite lo specchietto.
<Nel caso le cose andassero bene, penso debba avere tu l'onore.> Ammiccò il biondo, lei tentennò con le mani protese verso l'arma e le manette, poi si decise a prenderle.
<Ti ringrazio.> Fece un cenno di assenso, tra i clacson delle auto che preannunciavano un ingorgo nel traffico e tra il raschiare delle unghie di Sherlock contro il tessuto dei pantaloni.

Pagarono la corsa con qualche banconota stropicciata e un "Tenga il resto" detto di fretta, per poi ritrovarsi di fronte alla facciata rossa della metropolitana. Il catenaccio che proteggeva la porta in ferro era stato precedentemente manomesso, quindi poterono entrare senza difficoltà.
Scesero le scale a chiocciola arrugginite, evitando di tenersi alla ringhiera così da prevenire un possibile taglio infetto, e si inoltrarono nel cupo tunnel. I binari potevano essere anche calpestati dato che non erano mai stati elettrificati.
Quel luogo sapeva di marcio e di claustrofobia, e sembrava che l'ossigeno fosse l'ultimo elemento presente nell'aria che lo infestava.
Sherlock stava per recuperare la sua torcia, John stava facendo lo stesso ma preferì utilizzare quella del cellulare, ma i loro movimenti rimasero incompleti quando si accesero i led all'unisono, alcuni strascicando un po'.
Astrid si trovava a pochi metri di distanza rispetto a John, che a sua volta era dietro Sherlock, dato che quest'ultimo comandava la fila indiana che avevano formato per scendere le scale. La ragazza si ritrovò a guardare il soldato da dietro senza pensarci troppo e dovette ringraziare quel movimento incondizionato, poichè le permise di accorgersi di un punto rosso che interrompeva il naturale colore dei capelli di John.
Il suo corpo si mosse guidato dal puro istinto, senza riflettere se le sue azioni avessero compromesso il piano, e si buttò su di lui con tutto il peso scaraventandolo contro le rotaie e provocando al suo stesso braccio malato un dolore opprimente. La caduta fu accompagnata dal rumore di uno sparo compromesso dal silenziatore, il proiettile trapassò le mura. John gemeva di dolore, le rotaie non erano il posto più comodo su cui cadere.

<John! Stai bene?> Si affrettò a chiedere Sherlock, mentre aiutava i due a rimettersi in piedi.
<Sì...sì...> Mormorò, intento a massaggiare i punti doloranti e a riprendersi psicologicamente dal capacitarsi che aveva appena rischiato di morire. <Mi hai salvato la vita.> Con gli occhi rivolti verso Astrid, la fece suonare più come una domanda che come un'affermazione, forse incredulo lui stesso di essere ancora vivo.
<Già...> Lei non mantenne il contatto visivo con la scusa di liberare il tutore dal terriccio, infine decise di toglierlo definitivamente per quanto questo non avrebbe garantito la sua guarigione. Ma non le importava più, non sapeva a cosa stava andando incontro, non sapeva come avrebbe reagito James a vedere John ancora sulle proprie gambe e chi diavolo avesse sparato quel colpo.
Tutti e tre puntarono lo sguardo di fronte a loro non appena udirono dei passi frantumare il silenzio tombale. Una figura si stagliava, sgranata, con le mani nelle tasche di un Westwood, fino a quando il ghigno accennato sul suo volto non appariva chiaro agli occhi dei suoi pochi spettatori.
Astrid sentì, per una modica quantità di tempo, il cuore venir inondato da un sentimento rassicurante, come se non si fossero visti per anni. Il sorriso che aveva James era lo stesso della prima volta, le bastò solo quello per esimerlo dalla colpa riguardante il suo braccio rotto.
Aleggiava un'atmosfera sospesa, tutti erano guardinghi e le mani trasmettevano un senso di prurito, erano pronte a scattare verso un'arma, quando improvvisamente la sigla dei Ghostbusters suonò dal cellulare di Jim.
<Questa volta non devo rispondere, è solo il mio cellulare che avverte che qui c'è un fantasma. Non è vero, Johnny boy?>
Marcò quel nomignolo per infastidirlo maggiormente. Spense la musica e guardò i tre, ma Astrid percepì un lampo sfuggire dai suoi occhi non appena li posò su di lei.
Un istinto omicida cresceva nel soldato, non mancava molto dal buttarsi addosso a quello stronzetto e strangolarlo con le proprie mani, ma dovette tornare lucido quando si ricordò che un cecchino aveva il dito troppo vicino al grilletto.
<Ma non temete, sono qui per arrendermi.> Levò entrambe le mani, Sherlock dedusse che era disarmato.
<Con il cecchino dietro di noi pronto a farci esplodere il cervello non riesco a fidarmi.> Rispose Sherlock ed estrasse la sua pistola, per poi puntarla verso il nemico.
<Che sbadato! Hai ragione!> Con due dita fece segno di avvicinarsi al cecchino. Quest'ultimo ubbidì, si mostrò un uomo dall'aspetto ignoto abbandonando a terra il suo fucile di precisione. Non aprì bocca e si limitò ad uscire dalla metropolitana sotto gli occhi sospettosi di John, Sherlock e Astrid.
<Come faccio a sapere che non ce ne sono altri?> Il detective sapeva si trattasse di un trucco, ma iniziò a credere che Moriarty volesse farsi arrestare per qualche motivo, doveva scoprire quale fosse.
<Spara quanto vuoi dietro di te, ma non credo ti convenga consumare il caricatore.> Rispose con pacatezza, con il sorriso che aveva già irritato i due colleghi fin dall'inizio.
Sherlock sparò quattro colpi nei punti in cui sospettava che vi ci fosse un uomo appostato, ma risultarono a vuoto e si schiantarono contro i binari o le pareti.
La pistola tornò a puntare James.
<Astrid, ammanettalo.>
La ragazza aveva posato la pistola e le manette in due tasche differenti del lato sinistro del cappotto.
Temporeggiò per pensare alla vita che avrebbe potuto avere con James. Una vita dedita al crimine, all'inganno, alla menzogna. Insieme ad un uomo instabile, di cui ogni mossa era imprevedibile, di cui non riuscì mai a cogliere i sentimenti nei suoi confronti.
Le aveva spezzato un braccio cacciandola di casa e aveva lasciato che il corpo del suo amato venisse dato in pasto ai servizi segreti del governo inglese.

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