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Mercoledì pomeriggio viene convocata una riunione straordinaria per le ore sedici.

Alle sedici e zero uno in sala riunioni siamo in tre. Erjona è in tailleur viola vinaccia. So-yon è in bilico sulla sedia e ha i piedi sul tavolo, posso ammirare le suole dei suoi anfibi. Siamo sedute in tre punti perfettamente equidistanti gli uni dagli altri, come magneti che si respingono. Nessuno parla.

Alle sedici e zero tre Erjona rompe il silenzio. «Voi... Voi sapete perché siamo qui?»

Io lo so, ma non voglio rovinarle la sorpresa. So-yon si limita a scuotere la testa blu. Lei sembra più interessata al suo smartphone: a intervalli di trenta secondi lo estrae da una tasca dei pantaloni cargo, guarda lo schermo e rimette il cellulare a posto. Se dovessi tirare a indovinare direi che aspetta una comunicazione. Magari dai suoi complici.

Mi ritrovo a pensare che siamo tre donne molto diverse tra loro, e che mai avremmo respirato lo stesso ossigeno per così tanto tempo se non fosse per quella cosa che abbiamo in comune.

Erjona si alza e So-yon tira giù i piedi dal tavolo quando, alle sedici e zero cinque, entra Martello, sneaker jeans e blazer su T–shirt bianca. Ha in mano un mazzo di flûte da champagne. «Scusate il ritardo», dice, «c'è voluto un po' per procurarci il necessario».

Lo segue un valletto in tuta di acetato che tiene per il collo un'elegante bottiglia incappucciata d'oro. «Moët e Chandon Brut Imperial» legge Walter sull'etichetta. «Non è Dom Perignon, ma può andare».

Martello sistema i calici sul tavolo mentre Walter circoncide la bottiglia. «Cosa si festeggia?» chiede Erjona.

Walter fa saltare il tappo. «Festeggiamo la Strawman» risponde Martello. I calici iniziano a essere riempiti. «Tutti noi», dice Martello, «e l'ottimo lavoro che svolgiamo ogni giorno». Prende uno dei calici già pieni e lo porge a Erjona, che nel riceverlo sorride e s'imporpora in viso, una nuance che a mio parere fa a cazzotti col suo attuale outfit.

Martello prende altri due calici. «Ma oggi, nello specifico», precisa, «festeggiamo soprattutto lei». Mi passa uno dei due flûte e solleva l'altro in mio onore. La faccia di Erjona vira verso una tonalità più pallida, decisamente più in linea con il suo stile.

«Stiamo per chiudere la trattativa con la Cannon Fodder» proclama Martello. «Gaspar Puletti in persona ha esaminato la nostra proposta e si è detto entusiasta. La Strawman S.p.A. collaborerà con uno dei principali marchi del settore alimentare a livello europeo. Un matrimonio piuttosto vantaggioso, per quel che mi dice l'esperienza. E il merito è esclusivamente della signorina Tutto».

«Bravissima!» esclama Walter, levando un calice al cielo.

«Viva» cigola Erjona, con lo champagne che le ristagna nel bicchiere.

« È stato facile» mi schermisco, ma in realtà non è stato affatto facile. Da quando mi sono occupata del caso Puletti, qualche anno fa, la cerchia interna della Cannon Fodder è stata quasi del tutto rinnovata. Ho dovuto fare circa un milione di telefonate e spedire un miliardo di mail prima di trovare un amico di un amico di un amico che mi mettesse in contatto diretto con Gaspar. Alla fine però l'ho avuta vinta io. Alla fine vinco sempre io.

Ci metto un istante a capire che le note di We are the champions non sono solo nella mia testa, è la suoneria di un cellulare. Per l'ennesima volta So-yon tira fuori il suo smartphone e lo guarda, ma stavolta non lo mette via. «Devo rispondere» dice, in un tono più da dato di fatto incontrovertibile che da giustificazione. Comunque nessuno solleva obiezioni, perciò So-yon trangugia in un'unica sorsata l'intero contenuto del suo calice, una performance che se fossi un uomo non mancherebbe di impressionarmi, e scappa fuori dalla stanza col cellulare all'orecchio. L'ultima cosa che le sento dire è «Hola».

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