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Sulla porta d'ingresso della Strawman non c'è più la targhetta che dice STRAWMAN S.P.A.

Quando suono al campanello, una frazione di secondo prima di rendermi conto che la porta è solo accostata, viene ad aprirmi un operaio di una ditta di traslochi. All'interno, altri operai stanno smontando mobili e imballando computer. Mentre avanzo tra i pannelli di legno del corridoio, spogliati dalle gigantografie di fauna marina, butto l'occhio verso quella che per un mese è stata la mia postazione: là dove c'era la tavola rotonda ora c'è uno spazio vuoto, una vista che per un attimo mi riempie di un'inspiegabile malinconia.

Arrivo davanti alla porta dell'ufficio del capo. Entro senza bussare.

Le gigantesche labbra femminili intente a succhiare dalla cannuccia non ci sono più. Non c'è più nemmeno il divanetto nero. Però la scrivania di cristallo c'è ancora, c'è ancora il trono a rotelle e soprattutto c'è Martello.

Alza la testa dal suo portatile e, diversamente da quanto avevo preventivato, non sembra reagire alla mia presenza con imbarazzo o fastidio. Ha l'aria non di essere nemmeno sorpreso. Malgrado ciò, le prime parole che mi rivolge sono

«Signorina Tutto. Che sorpresa».

«È sorpreso di vedermi?» chiedo.

Lui allunga le gambe sotto la scrivania e si sistema sul trono con la consueta grazia da felino Alfa. «Sono sorpreso di vederla così tardi» risponde. «Ero convinto che sarebbe venuta a cercarmi molto prima».

Cosa intende? Ha capito che ho capito?

Siamo vestiti quasi uguali, camicia pantaloni e scarpe da ginnastica. Lui ha la giacca sistemata sulla spalliera del trono. Io ho la maglietta degli Yankees avvolta intorno a un braccio.

«Mi ha riportato la mia maglia», dice Martello, «molto gentile. Anch'io ho qualcosa di suo».

Apre un cassetto, ne estrae un indumento intimo femminile e, reggendolo con due dita, lo deposita sulla superficie di cristallo. Tra tutte le mutandine che sono passate da quella scrivana, queste sono le prime delle quali so chi è la proprietaria.

«Cos'è successo alla Strawman?» gli domando.

Lui alza le sue belle spalle definite. «Quello che succede a sei startup su dieci... Non ha funzionato. Niente di grave, tutta esperienza, ho già un nuovo progetto in testa. Sto ancora lavorando da qui perché il capitano ha il dovere di essere l'ultimo che lascia la nave, ma appena avranno finito di sgomberare me ne andrò anch'io».

Ok, al diavolo i convenevoli, veniamo al sodo. Mi avvicino alla scrivania. «Ha qualche notizia delle ragazze?» chiedo.

Martello allarga le braccia. «Si sono licenziate tutte e tre circa un mese fa, forse subodoravano il fallimento, sesto senso femminile. Da allora non le ho più sentite, però mi è giunta voce che Erjona sta per sposarsi, finalmente. Il suo fidanzato è rimasto ad aspettarla fin troppo».

«Erjona ha fatto carriera» lo informo. «L'hanno chiamata a lavorare come Project Manager in una grossa agenzia di comunicazione, la filiale italiana di una corazzata americana. So-yon, invece, è passata all'improvviso da illustre sconosciuta a promessa dell'arte contemporanea».

«Davvero? Mi fa piacere».

«Per quanto riguarda Samantha, è andata a vivere con Arturo in un attico da cento metri quadri, zona centralissima, ben servita dai mezzi, ampia possibilità di parcheggio. L'ha trovato a tempo di record e a una cifra comicamente bassa rispetto agli standard del mercato immobiliare».

«Samantha e Arturo? Chi l'avrebbe mai detto».

«Strano che tre su tre abbiano praticamente vinto alla lotteria, no? E per di più nello stesso periodo. È come se qualcuno, qualcuno con una considerevole disponibilità di fondi e di agganci, avesse tramato da dietro le quinte per garantire a tutte e tre il miglior lieto fine possibile».

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