17. Un'ora nello spazio

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POV: Manuel

Mentre cammino verso casa, ripenso alle parole di Sbarra: sono andato da lui per ammettere che ieri non me la sono sentita, che non ho bruciato la libreria e che voglio chiudere con questa storia.

"Lo so già che non hai portato a termine il compito che ti avevo affidato...Ma vedi: da certe storie, regazzì, se esce solo coi piedi davanti."

Il sangue mi si era gelato nelle vene, ma nonostante il timore, ero riuscito a sostenere il suo sguardo. L'ho visto alzarsi dalla sedia, per posizionarsi davanti alla scrivania che sta nel suo "ufficio".

"Dovresti fa' attenzione alle persone che frequenti, perché potresti farte male", ha detto con aria minacciosa. "Ora sparisci, nun te voglio più vede."

Mi ha voltato le spalle senza aspettare che uscissi: così ho deciso di sgattaiolare via prima che cambiasse idea.

Ora sto correndo a casa: penso a Simone che mi starà aspettando già da un po'.

Non posso credere che finalmente io abbia chiuso con Sbarra, Zucca e con tutta questa merda: non dovrò allontanarmi dalle persone a cui tengo per paura di ferirle. Accelero il passo, felice di avviarmi sano e salvo verso casa: Simone mi sta aspettando, penso con un sorrisino idiota.

Imbocco la via di casa, ma mi giro di scatto appena sento una macchina sgommare: riconosco l'auto e, con il terrore che mi attanaglia le viscere, inizio a correre verso l'officina. D'improvviso, tutto il discorso di Sbarra comincia ad avere senso.

Sento il cuore fermarsi nell'istante esatto in cui vedo Simone riverso a terra, di fronte alla rimessa, ricoperto di sangue. Corro da lui, urlando il suo nome.

- "SIMONE! SIMONE!"

Mi inginocchio accanto a lui, circondo la sua nuca con una mano per mantenerlo, mentre tengo l'altra ben salda sul suo addome per cercare di tamponare la ferita: continuo a gridare e inizio a piangere senza sosta. Con delicatezza appoggio la sua testa sulla mia gamba, quindi cerco il cellulare in tasca per chiamare un'ambulanza.

Mi dicono di mantenere la calma, arriveranno presto: intanto devo cercare di tappare la ferita, magari con un panno.

Mi tolgo la giacca e gliela presso sulla pancia:

- "Resta con me, ti prego", gli sussurro con le labbra vicinissime alla sua fronte.

Avverto il sudore freddo di Simone bagnarmi la bocca: lo vedo mentre a stento riesce a tenere gli occhi aperti.

- "Ti prego, non farmi questo, resta con me", ripeto per altre tre o quattro volte. Sento lacrime bollenti solcarmi il viso mentre cerco di stare calmo e di aiutare Simone in qualsiasi modo.

Gli sfioro lo zigomo, lasciandovi sopra una striscia di sangue.

- "Ti prego", sussurro di nuovo. Sento il cuore battere all'impazzata: inizio quasi a singhiozzare mentre cerco di tenerlo sveglio.

Poi i suoi occhi si chiudono ed io mi sento morire.

L'ambulanza arriva subito dopo: lo mettono sulla barella, lo attaccano ad un respiratore e lo caricano su.

Senza neanche chiedere il permesso, salgo sul mezzo insieme ai paramedici: non lo lascerò da solo. Non lo perdo di vista neanche per un secondo: ha il volto pallido e la fronte sudata. Sento le viscere attorcigliarsi alla visione di lui, steso e inerme, attaccato ad un respiratore, che lotta tra la vita e la morte.

È colpa tua.

La voce nella mia testa sputa maligna quelle tre parole e io, con gli occhi gonfi e le guance bagnate dal pianto, non posso che darle ragione. È tutta colpa mia.

Non c'è un finale. ~ SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora