14. E in fondo un inganno non è

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POV: Simone

Un raggio di sole entra senza trovare ostacoli dalla finestra della mia camera e si piazza giusto all'altezza del cuscino: mi sveglio, un po' rintronato e confuso. La sbronza non sembra passata del tutto ma, almeno, non mi sembra di avere postumi esagerati. Mi stropiccio gli occhi con il pollice e l'indice della mano destra nella speranza di tornare lucido: "Manuel, dobbiamo alzarci: mio padre potrebbe tornare da un momento all'altro". Nell'allungare il braccio sinistro verso il suo lato, finisco per toccare solo le lenzuola stropicciate: mi giro e trovo l'altra metà del letto vuota. Sarà sicuramente in bagno, o giù in cucina.

Mi alzo e mi guardo intorno: anche le sue cose sono sparite. Una sensazione di malessere inizia ad irradiarsi dal cuore: non può essere andato via.

Provo a chiamarlo a telefono: il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Impreco a denti stretti e butto il cellulare su quel letto, ormai pregno di un rapporto proibito. Esco dalla stanza con addosso solo il pantalone del pigiama e scendo al piano inferiore a piedi nudi, sperando di trovarlo di sotto a preparare la colazione: te piacerebbe.

Appena arrivato giù, noto un giaccone sull'attaccapanni all'ingresso.

Cazzo, è già rientrato.

Mi dirigo verso la cucina, da dove sento dei rumori di stoviglie.

- "Buongiorno, ben svegliato", inizia mio padre in tono ironico.

Mi guardo intorno spaesato come se Manuel potesse uscire a sorpresa dalla dispensa.

- "Giorno".

- "Com'è andata ieri?" chiede. "A giudicare dall'orario e dalla tua faccia, vi sarete dati alla pazza gioia."

Mi passo una mano sul viso per scacciare via il sonno.

- "Ma perché? Che ore sono?"

- "Le undici passate".

Strabuzzo gli occhi: ma quanto cazzo ho dormito?

Chissà Manuel da quanto tempo è andato via. Da quanto tempo è scappato via, vorrai dire. La vocina che avevo tentato di mettere a tacere, appena saltato giù dal letto, torna imperterrita ad infestare i miei pensieri.

Faccio per uscire dalla cucina: "Non fai colazione?" mi chiede papà.

- "No, non ho fame, aspetto ora di pranzo."

Senza attendere una replica, salgo di nuovo al piano superiore e mi dirigo in camera, cercando il telefono tra le lenzuola in caos. Nessun messaggio. Nessuna chiamata. Ancora nessun cenno da parte di Manuel. Ripesco il suo numero dalle telefonate recenti e riprovo: il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Maledico ancora una volta quel ragazzo, poi decido di fare un giro sui social per distrarmi e vedere cosa hanno postato i miei compagni dopo la festa di ieri.

Alcol. Alcol. Risate. Musica. Ancora alcol. Luna che balla sul tavolo. Matteo che si spoglia e si fa scrivere col pennarello indelebile la parola "RESILIENZA" sul petto. Laura che prova per la prima volta in vita sua il beer bong mentre indossa uno stupido cappellino.

D'improvviso, mentre scorro tra le varie foto che ha postato Monica, rimango paralizzato di fronte ad una delle ultime, in cui mi imbatto. Tra i primi commenti leggo: "Ma da quando sono tornati insieme? / Galeotta fu la festa di Laura e chi la organizzò / Si sapeva che prima o poi se lo sarebbe ripreso."

La foto in questione ritrae due persone abbracciate mentre si scambiano un bacio.

Chicca da un lato.

Manuel dall'altro.

Sento il sangue defluire dalla testa: se fossi stato in piedi, probabilmente sarei svenuto. Deve esserci una spiegazione plausibile. Mentre scuoto la testa, continuo a sussurrare "No, non può essere vero" ... "Non può aver baciato Chicca e poi aver...". Le parole mi muoiono sulle labbra: le stesse labbra che qualche ora prima Manuel aveva baciato, morso, assaggiato. Mi porto una mano alla bocca, per sfiorarle: riesco ancora a sentire il suo sapore.

Povero illuso! Credevi davvero che ciò che è successo stanotte avrebbe cambiato le cose?

Tu, per lui, manco esisti.

Chiudo gli occhi e serro la mascella. Provo a richiamarlo: nada. Ho la gola in fiamme a causa delle lacrime che sto cercando di trattenere: gli mando un messaggio, nella speranza che mi risponda, mentre la rabbia ribolle nelle vene. Non posso crederci che stia accadendo ancora, non di nuovo: cerco di ricordare ogni singolo particolare della notte appena trascorsa, giusto per assicurarmi di non essermi immaginato tutto. Manuel aveva detto di volermi, ma non sei tu quello che bacia nella foto. Aveva detto di avere bisogno di me: solo perché Chicca gli avrà dato buca, come è successo con Alice al tuo compleanno. E mi aveva promesso che non sarebbe scappato: eppure non mi sembra che tu lo abbia trovato nel letto accanto a te, dopo esserti svegliato.

Scuoto la testa e poso il telefono sulla scrivania: ho bisogno di una doccia per scacciare via i pensieri.

L'acqua tiepida riesce a dare sollievo ai muscoli intorpiditi: su qualunque parte del corpo posi il mio sguardo, sento le mani di Manuel passarvici sopra. Il ricordo di ciò che è accaduto tormenta la mia mente: stringendo le dita nel palmo chiuso, con la parte laterale della mano, tiro un pugno al muro della doccia, imprecando.

Non sta accadendo di nuovo, non è possibile. Per favore, fa che non stia accadendo di nuovo, mi ritrovo a supplicare chissà chi.

Dopo aver finito, esco dalla doccia, indosso un asciugamano in vita e indugio con lo sguardo sul mio riflesso allo specchio: dai ciuffi corvini e bagnati ancora cade qualche goccia.

Oh, cazzo!

Un succhiotto spicca in bella mostra, in contrasto col lembo di pelle chiara, che congiunge il collo alle clavicole: speriamo che papà non ci abbia fatto caso. Schiocco la mano sulla fronte, quasi a volermi picchiare da solo: che gran bella giornata!

Mentre mi maledico per essere sceso senza maglietta prima, sento la vibrazione del telefono provenire dalla camera e mi fiondo per vedere se è un messaggio di Manuel: la sua risposta mi fa attorcigliare le viscere.

S: "Che fine hai fatto?"

M: "Nessuna, ho solo voglia di stare per conto mio. Non mi cercare, ciao."

Non c'è un finale. ~ SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora