𝟗. 𝑰 𝒂𝒎 𝒏𝒐𝒕 𝒂 𝒉𝒆𝒓𝒐

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I minuti scorrono lenti, quasi come se la lancetta dell'orologio nenache si muovesse. Il rumore dell'acqua che atterra violentemente sull'asfalto non ci disturba affatto, anzi, con Peter tutto passa in secondo piano.
Siamo solo io e lui.

Le mie mani si fanno strada nei suoi capelli bagnati, troppo presa da lui per bloccare un movimento che sembra essere necessario per me. Attorciglio le sue ciocche more tra le mie dita, e con i polpastrelli dell'altra mano gli accarezzo il collo bagnato di pioggia con estrema lentezza. Sento il respiro del ragazzo farsi pesante contro le mie labbra. «Gwen...» Biacascia, schiude le labbra ed arpiona il suo sguardo al mio. Peter non prosegue, ma le sue iridi scure sembrano sussurrarmi qualcosa.

Ho appena il tempo di aprire bocca per dire qualcosa, quando la suoneria del suo cellulare interrompe qualsiasi cosa stessimo facendo. Il ragazzo stringe forte gli occhi, forse più deluso di me per l'interruzione. Sgancio le braccia dal suo corpo interrompendo definitivamente ogni nostro contatto, e rimango in silenzio mentre lui risponde al telefono.

A quanto pare l'unica persona da ringraziare è la dolce zia May, preoccupata di non vederci tornare con questo brutto tempo. Non so se esserle grata o infastidita, troppe emozioni contrastanti si aggirano dentro di me, ed io non riesco a controllarle tutte in una volta.

Il rientro a casa è una marcia silenziosa con metri di distanza tra di noi, a testa bassa e guance color rosso fiammante.
La pioggia ed il freddo non sono le uniche cose a circondarci, si aggrega anche il buon e vecchio imbarazzo, preceduto dalla paura di aver rovinato ogni cosa.

Il leggero scricchiolio della porta annuncia il nostro ritorno, e subito veniamo accolti dal calore ed il profumo di casa. «Zia May?» La chiama Peter, appoggiando la giacca fradicia sull'appendiabiti. Entriamo in salotto e troviamo il corpo minuto della donna addormentato sul divano, la tv ancora accessa ad illuminarle il volto. Sorrido intenerita dalla scena, e mi avvicinano senza fare alcun rumore per tirarle su la corperta avvolgendola bene. Afferro anche il telecomando per spegnere la tv ancora accesa, ma la presa ferrea di Peter sul mio polso me lo impedisce. Alzo confusa lo sguardo su di lui cogliendolo con gli occhi vuoti e fissi sul televisore. Lo imito, posando anch'io lo sguardo sulla tv, e finisco per ascoltare con attenzione la notizia riportata dalla giornalista.

«Il carcerato Harry Osborn, figlio del rinomato e deceduto Norman Osborn, è scappato dal carcere di massima sicurezza proprio questa mattina, aiutato da due complici. La polizia lo sta cercando in lungo ed in largo, e grazie alla testimonianza di alcuni passanti, sembra che la sua direzione sia proprio New York»

Il solo udire di quel nome mi blocca il respiro, ed il panico si impossessa di ogni cellula del mio corpo. Raggielo impietrita, oservando per bene le immagini di questa nuova versione del mio incubo. Le mani mi tremano causando la caduta del telecomando in un rumoroso schianto. Sullo schermo appare la foto di una ragazzo, uno nostro coetaneo, nei suoi occhi un guizzo di pazzia ed il sorriso tanto simile a quello che mi ha tormenta per giorni.

«Non è possibile...» Sussurra Peter a denti stretti, lo stupore che si mischia con la rabbia nel suo tono. Stringe le mani in pugni tanto forte da far diventare le sue nocche bianche, e lo sguardo lo tiene ancora fisso sulla tv nonostante il servizio su quel mostro sia definitivamente finito. L'udire della sua voce, delle sue parole, mi riporta quasi del tutto alla realtà. Chiudo gli occhi ignorando prontamente il doloroso e fastidioso groppo in gola, e con fatica riesco a regolizzare il respiro.

«Stavolta lo uccido sul serio!» Nel suo sguardo solo odio e violenza. Mi volto rapida verso di lui, preoccupata ed intimorita allo stesso tempo. Compio un passo in sua direzione cercando un qualsiasi contatto con lui, ma il ragazzo scuote energicamente il capo allontandosi da me, e si dirige a passo deciso verso la porta di casa. «Che stai facendo?» Lo guardo afferrare con prepotenza il cappotto ed aprire la porta, per poco non rompe la maniglia. «Peter!» Gli urlo dietro, e senza esitare lo seguo. «Aspetta un attimo...» Le mie dita ancora tremanti si stringono attorno al suo polso, fermandolo del tutto. Lo sento respirare a fondo, come un toro impazzito, mentre dietro la tempesta si abbatte sul vialetto. «Guardami...» Lo prego, la voce vacilla annullando completamente la mia sicurezza. Non si muove di un solo centimetro, così alla fine mi sposto io affinché mi abbia di fronte. «Peter, ti scongiuro, qualsiasi cosa tu stia pensando adesso, non farla. Lascia perdere, è una battaglia già persa» Guardo il moro serrare la mascella affilandola contrariato. «Tu non riesci proprio a capire...lui mi ha portato via tutto!» Avvicino una mano verso di lui, e questa volta mi permette di accarezzare la sua guancia con le dita. «Non ti riporterà ciò che hai perso se lo uccidi, perderai solo te stesso» Stringe le labbra in un'espressione afflitta, ed i suoi occhi si riempiono di lacrime. «Tu sei un eroe, Peter. Non lasciare che...» Mi interrompo quando si sottrae all'improvviso dal mio tocco come se si fosse scottato. Lascio scorrere lo sguardo su di lui, fino ad incontrare il suo. «Ti sbagli. Io sono tante cose, ma non un eroe. Non più, almeno...» Abbassa gli occhi non reggendo più il mio sguardo. «Mi dispiace, Gwen...» Lo sento sussurrare prima che scappi via. Lo seguo sotto la pioggia, ma lui è più veloce di me. «Peter!» Gli urlo dietro, ma non si ferma, incombe alla sua distruzione lasciandomi sotto la pioggia in pena per lui.





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Spazio Autrice

Hey! Come va?
Mi scuso per il capitolo breve, ma sono stata a corto di inspirazione e tempo in questa settimana. Molto probabilmente riuscirò ad aggiornare solo nei fine settimana, ma non mi odiate please :)
Comunquee, che ne pensate del capitolo? Avete considerazioni o teorie per il prossimo capitolo? Fatemi sapere tutto nei commenti, grazie a tutti <3

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