CAPITOLO 9: VECCHIA AMATA HARLEY

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Dopo quella chiamata inaspettata, l'anonimo mi aveva trascinata con sé nel bosco lungo una via sterrata.

Una piccola casettina in legno, senza finestre, sorgeva nascosta tra gli alberi.

Un lucchetto alla porta, ma il ragazzo già sapeva la combinazione.

Apre e, nascosto all'interno, c'è un semplice telo bianco adagiato su qualcosa.

Ormai ho la fobia dei teli bianchi: penso sempre celino un cadavere.
Qui, però, si trattava di tutt'altro.

Afferra il lenzuolo polveroso per i bordi e lo trascina via con un solo movimento di polsi, sollevando una nube di pulviscolo atmosferico.

Rimango estasiata, affascinata; non ne avevo mai vista una così bella.

Un'Harley Davidson Sportster del 1990.
Nera, lucida, con i dettagli opachi: ammaliante.
Si potevano percepire l'adrenalina ed il ruggito del suo motore anche solo così: a prima vista.

Le ho girato attorno a braccia conserte, scrutandola attentamente.

Perché tenere un gioiello simile in una casetta nel bosco?

Perché, soprattutto, vicino al carcere?

Domande inutili; la mia attenzione era stata catturata dal suo fascino.

Sembrava appena uscita dalla concessionaria, se non fosse per due lievi ammaccature sul fianco destro.

"È pazzesca" mormoro tra me e me, abbassandomi per sfiorare con le dita le rifiniture puntigliosamente dettagliate.
Abbasso nuovamente lo sguardo specchiandomi nella marmitta argentata.
Era da giorni che non osservavo il mio riflesso così da vicino; così attentamente.

"Lo so" risponde l'anonimo intento ad aprire una piccola botola sottostante al pavimento.
Da lì, con naturalezza, ha estratto due vecchie chiavi "possiamo andare"

In un batter d'occhio è saltato in sella alla moto voltandosi con il volto verso di me "allora? Vuoi rimanere qui per il resto della tua vita o vuoi tornare a casa?"

"A casa!?" Ho esclamato, incredula.

"Certo... Dove sennò!?" Ha sbuffato lui, squotendo la testa con disapprovazione "muoviti, salta su" con la mano sinistra picchietta sul sedile posteriore dalle dimensioni decisamente ridotte.

Sono rimasta immobile, dubbiosa "senza nemmeno il casco?"

"Cosa credi!? Mica stiamo andando a fare una gitarella tra i campi..."

Così, ormai convinta di non avere tante altre opzioni, sono salpata sù.

Lui, con voracità, mi ha afferrato le mani fredde avvolgendole ai suoi fianchi "tieniti stretta"

Nemmeno il tempo di reagire che ha sollevato il cavalletto e, con un rombo aggressivo, è sfrecciato fuori dalla casetta imboccando l'ennesima stradina sterrata.

Andava a 150 all'ora, sollevando terra e sradicando radici.
Mi sembrava di rivivere quelle scene nei film dove due banditi scappano dalla polizia tra derapate e scie di gomme sul terreno.

Lui era impassibile; schivava alberi ad un millimetro di distanza e, di tanto in tanto, sistemava gli specchietti.

Io, invece, pensavo di morire da un momento all'altro;
Il mio cuore rimbombava rumorosamente nel petto, quasi stesse per risalire in gola e volesse uscire da un momento all'altro.

Non credevo mi stesse realmente portando a casa, anzi, ne ero quasi certa.
Finché, dopo chilometri di corsa, ho iniziato ad intravedere le mura di Prado.

L'INCANTATORE / "I 12 cavalieri di Prado"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora