Un tocco

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Pov William

Un fascio di luce gli arrivò dritto negli occhi facendolo girare dalle parte opposta del letto. Non sapeva come ci fosse arrivato ma era sollevato di non aver passato la notte sulla poltrona.

Quella mattina avrebbe dovuto incontrare Albert, finalmente faceva rientro alla tenuta dopo settimane. Si decise così a riaprire gli occhi, rimasti fino ad allora serrati, ritrovandosi con sua sorpresa davanti a sé niente che meno di uno Sherlock addormentato, seduto sulla poltrona che destreggiava il letto in cui si trovava. Indossava ancora i vestiti del giorno prima, stropicciati e sudati, ma sul suo volto pareva esserci aria di freschezza, quell'energia che solo un sereno sonno è capace di dare.

Si alzò, anche lui indossava gli stessi vestiti del giorno precedente, e si accostò la detective intenzionato a svegliarlo. La sua testa era persa fra i cuscini della poltrona mentre gl'arti andavano ognuno in esplorazione di una direzione diversa, come a voler coprire il più possibile la soffice imbottitura della seduta. L'osservava, in silenzio di fianco a lui, in piedi, rapito dalla serenità che campeggiava sul viso dell'uomo posto dinanzi a se. Era quasi "strano" vederlo senza il suo solito sorriso canzonatorio. Gli passò, senza pensarci poi troppo, il dorso della propria mano sulla guancia: la pelle morbida, rilassata; un'espressione assente, sognante. Gli sfuggì un sorriso, uno di quelli caldi, di quelli veri. Le sue dita solcarono ogni linea del volto di Sherlock: i polpastrelli, delicati e leggeri, tracciarono le linee delle labbra; le dita, lunghe e sottili, andarono a ripercorrere la curva della mascella; infine, con le nocche la mano andò a salire fino agli zigomi, esattamente dove il suo sguardo si fermò. Anzi si pietrificò perché solo in quel momento si accorse che l'uomo che stava ad ammirare si era destato dal sonno, e solo Dio sapeva da quanto.

Forse, per la prima volta in vita sua, fu preso dal panico. Non sapeva perché, e neppure da dove venisse questa nuova agitazione. Si scansò di istinto indietreggiando di qualche passo. Non sapeva cosa dire, non sapeva come spiegare ciò che, fino ad un attimo fa, stava facendo. In questa marea di pensieri il suo sguardo non si era staccato da quello dell'uomo di fronte a sé, che a sua volta ricambiava lo stupore, la confusione e sì, anche lo stesso rossore che si era fatto largo sul viso di William.

Fece per andarsene, non riuscendo a sorreggere ulteriormente lo sguardo dell'uomo, ma uno strattone al polso lo fece demordere. Era stata la mano di Sherlock che, brancandolo con fermezza, lo costrinse a sedersi sul letto difronte alla poltrona da cui non si era ancora alzato.
Attimi di silenzio colmarono lo spazio tra loro. Lo sguardo di William basso, a terra pur di non incrociare quello dell'altro fisso sulla sua figura.

Domande, domande e ancora domande in sospeso che premevano per uscire e pretender risposta. Domande fugaci che in fondo avevano già la loro risposta.

Fu Sherlock il primo a parlare -Pensi davvero che ti possa lasciare andare via così: senza dire nulla.-

Il sangue di William non scorreva più, i suoi occhi era diventi chiodi fissi alle assi del pavimento -Volevo solo svegliarti. Dovremmo scendere per la colazione e raggiungere gl'altri.-

Non ci credeva. Come poteva pensare che Sherlock, questo Sherlock, avrebbe mai potuto credere a una menzogna così banale. Eppure era quello l'obbiettivo iniziale: svegliarlo. Non stava mentendo in fin dei conti. Eppure, adesso che si ascoltava, adesso che sentiva le sue stesse parole, adesso anche a lui sembravano solo un misero pretesto. Un qualcosa d'inreale nato all'unico scopo di nascondere la verità. Una verità che neanche lui conosceva però.

Non sapeva come comportarsi, non povera rispondere sinceramente e non poteva andarsene: era costretto a sedere a letto dal detective che, ormai a pochi palmi di distanza da lui, lo fissava. Era lì, di fronte a lui: immobile affamato di risposte che William non sapeva dare, non voleva dare. Gl'occhi di lui lo ricoprivano secondo dopo secondo. Insistevano e pretendevano con una fermezza delicata, unica, ma che, forse inconsapevolmente, lo stavano privando dell'ossigeno. Non lo stavano ferendo sicché erano una forza silenziosa. Un veleno che indisturbato scava nell'io colpendo, martoriando la parte più delicata dell'uomo: l'anima.

Il silenzio di Sherlock lo stava uccidendo.
A cosa stava pensando? Cosa avrebbe fatto?

-Parlami... dimmi perché?- la sua fame cresceva -Ciò che stavi facendo ha un suo motivo. Non faresti mai nulla tanto per fare, ti conosco... forse da tanto più tempo di quando noi stessi immaginiamo.-

Non capiva il perché dell'ultima frase che pronunciò Sherlock ma per qualche motivo si sentì come partecipe di quell'affermazione. Come se anche per lui fosse così, senza però comprendere il motivo.

In tutto ciò nella mente di William un vortice di domande, mezze risposte, contro-domande e continue, indefinite ombre impedivano al biondo di destarsi da quello stato di blocco. Fisso col capo chino, i capelli a coprirgli il volto, la schiena leggermente incurvata a seguire la linea data del capo basso, le braccia lungo il busto a finire sulle cosce, unite tra loro.

Nulla usciva dalla sua bocca, le forze di reagire lo stavano abbandonando. Cosa poteva rispondere? Perché l'aveva fatto? La verità è che neanche lui lo sapeva. Era stato come se una forza senza identità l'avesse spinto a muoversi.

Un sospiro e Sherlock abbassò lo sguardo. Spinse in dietro la poltrona nell'alzarsi, questa stridette contro il pavimento riportando alla realtà William. I loro sguardi si rincontrarono: uno di fronte all'altro, muti, immersi nella flebile luce filtrata dalle tende della finestra. Il blu e il rosso: due mari distinti fra loro che si incontrano, combattono fra loro senza sapere come o perché, ognuno vuole dominare l'altro, ognuno vuole resistere l'altro. Senza sapere, senza accorgersi, che con ciò pian pian si mischiano, assorbono e cedono parte di sé, divenendo acque della stessa acqua, anime di una sola anima. In silenzio.

Ma qualle piccola bolla di sapone dura poco, una frazione di secondo rispetto a ciò che vorrebbero. Sherlock si allontana, in silenzio volta le spalle a William, senza dire nulla giunge alla porta.

-È finita- si ritrova a pensare William sollevato, e con un'inspiegabile punta di tristezza -Si è arreso...- concluse con un sospiro, rilassando l'intero corpo. Sherlock sarebbe uscito dalla stanza, scordando l'intera vicenda, e così tutto sarebbe tornato come prima... nessun silenzio, nessun errore, nessun rimpianto.

La porta però non si aprì mai. Un "click" ruppe per un attimo il silenzio all'interno della stanza: Sherlock aveva appena chiuso nella stanza lui e William. Lo fissava, e lui ricambiava.

Un passo, due passi. La distanza fra loro si accorciava nuovamente. Più essa scompariva più i due fermevano, dentro di se, nascondendoselo a vicenda.

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Sono tornata don don doooon.
Scusate per la lunga attesa, potete odiarmi lo capisco e vi chiedo scusa per questo.

Ciaooo alla prossima
ʕ•ᴥ•ʔ <3

𝐔𝐧 𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥 𝐜𝐫𝐢𝐦𝐢𝐧𝐞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora