Capitolo 1 - Il giorno più corto

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Immerso nei miei pensamenti si fece buio, il tramonto era già morto da un pezzo e le vie che iniziammo a percorrere si mostravano solitarie e inospitali. Solo qualche luce artificiale spuntava a singhiozzo in mezzo alla nebbia, che nel frattempo si era levata con lo spuntar della luna. Ci fermammo dopo diverse ore di viaggio in una vecchia stazione di rifornimento, entrammo all'interno del piccolo centro di approvvigionamento e ci sedemmo esausti per qualche istante. Il posto apparve da subito malsicuro, sicuramente non molti forestieri passavano da quelle parti, le pompe del carburante erano alquanto inadeguate e tutti gli esterni erano mal tenuti. 

«Xavier, vuoi qualcosa da mangiare?» disse mio padre con tono sereno. Risposi immediatamente di no, poiché il viaggio mi aveva privato dell'appetito, la lordura malsana cosparsa negli ambienti richiamava alla mia mente pensieri inquieti e una sorta di aberrante malinconia mi attanagliava. All'entrata vidi solamente un anziano signore dall'aspetto iroso, seduto a un tavolo e con lo sguardo fisso sull'orologio da polso, come ad aspettare qualcuno. Dopo i primi sguardi finalizzati alla circospezione del luogo fummo accolti dal banconista che con tono interrogativo disse: «Siete diretto a nord? Non molti vi si recano ormai...» A quella frase mio padre rispose con ottimismo: «Perché se posso chiedervi? C'è forse qualche interruzione o finisce semplicemente il mondo da quella parte?» 

Sorridemmo dopo quelle frasi e l'uomo replicò: «Oh nulla signore, non si preoccupi, solo mie sciocche superstizioni fanciullesche... da piccolo abitai per un breve periodo al nord, ma non ricordo granché, qualcosa non mi piacque o meglio... beh, non ho molti ricordi della mia infanzia», disse alla fine con fare poco rassicurante, come a voler tralasciare qualcosa. «Spero facciate un buon viaggio». Nei momenti successivi a quel discorso guardai mio padre con l'angosciosa premura di andare via e riprendemmo il viaggio con velocità, poiché ci urgeva trovare il prima possibile un posto dove dormire. La fosca oscurità delle nubi sovrastanti incupì ogni cosa da lì a poco e la notte arrivò per inghiottirci. 

Erano circa le 2:00 quando mio padre accostò nel parcheggio di un solitario motel. «C'è qualcuno? Avremmo bisogno di un letto!», esclamò mio padre introducendosi nella sala d'ingresso. Io lo seguii subito dopo, provando a insinuare il mio sguardo in prossimità del bancone e cercando di scrutare qualcuno oltre la reception. Durante quei minuti le mie mani gelate si aggrapparono strette all'interno delle mie tasche, finché il silenzio venne corrotto da un uomo di bassa statura, che con fatica si trascinò a noi con il più insicuro dei sorrisi. «Posso fare qualcosa per voi? Se volete una camera posso darvi la numero tre, ha una magnifica vista sul bosco», disse con aria ironica e guardando verso il buio corridoio che portava alle camere. 

Mio padre, esausto, accettò e ci incamminammo preceduti dall'uomo, che si mise a strascicare una stanca e acciaccata gamba. «Ecco a voi signore, vi auguro buon riposo». La stanza era ordinata: il vecchio pavimento di un grigio sfiorito finiva con un'enorme vetrata che dava sul bosco, l'armadio di ferro era un po' malridotto, quasi forzato e la lampada, che pietosa si accasciava a terra, sembrava funzionare a intermittenza. «Puoi riposarti se vuoi Xavier, questa notte sarà lunga se non dormiamo un po'». Acconsentendo a quelle parole mi fermai dunque di fronte alla vetrata che si affacciava sul bosco, come per riposare gli occhi. Era quieto, alcuni alberi spogli dominavano la veduta e i campi erano sormontati da un sottile strato di brina, che leggera vestiva il suolo. 

Fu lì che lo vidi la prima volta... Non so cosa fosse, ma lo avvertivo ogni qualvolta avevo paura. Ne avevo sentito parlare anche a scuola: un bambino schivo e inquieto raccontava che di notte una sorta di entità con sembianze inumane veniva a trovarlo, spiandolo dalla finestra con un sogghignante e virulento sorriso... Raccontava che quelle volte in cui riusciva a vederlo meglio, la sua pelle sembrava fatta di squamoso carbone e i suoi occhi brillavano di un malsano scintillio indefinibile. Quella notte era lì e se ne stava immobile con il suo pestifero ghigno a osservarmi. Quando apparì sotto i miei occhi increduli osservai quelle zanne per alcuni secondi e le vidi brillare attraverso il lercio verdume degli alberi. Quando mio padre accese inavvertitamente la lampada tutto finì e la creatura scomparve. Feci comprensibilmente fatica a prendere sonno, poiché ogni parte del mio corpo fremeva all'idea che ci fosse qualcosa là fuori a osservarmi e che forse, con il proseguir della nottata, sarebbe venuta a farmi visita. 

Mi addormentai stringendo impunemente le braccia di mio padre, fra sibili di vento che sussurravano litanie di inconcepibile significato. Certe volte avevo l'impressione che ogni scheggia di vento corrispondesse a una voce e che, urlante, tentasse di ritornare da una sorta di altrove con vemenza e fagocitazione, coadiuvati da una rabbia che si scatenava fino all'ultimo lembo di forza. Alle prime ore dell'alba fummo svegliati di soprassalto da un frastuono. Degli sconquassi provenienti dalla camera accanto si propagarono sul muro, che fragilmente ne attutiva i colpi. Ci vestimmo in fretta per capire il motivo di quel chiasso e ci affacciammo con cautela dalla porta, lì vedemmo un viavai di persone provenienti dalla stanza numero due. 

Quando andammo a vedere, la scena che si spiegò ai nostri occhi fu raccapricciante. La camera apparve investita da una violenta energia: delle venature di quello che ci sembrò materiale sabbioso era cosparso sopra ogni cosa all'interno, persino i tessuti ne erano intrisi, ma quel che più ci fece orrore fu quello che vedemmo sulla parete. Il corpo senza vita di un uomo anziano era sul pavimento e il muro riportava un orribile alone di sangue, come se con determinazione l'uomo si fosse schiantato deciso e caparbio su di esso. Non ci fu permesso curiosare oltre, perché fummo allontanati e accompagnati all'ingresso, dove un vento impetuoso travolse gli alberi e ogni cosa sul suo cammino. 

Subito dopo aver raccolto gli effetti personali cercammo di sfuggire a quelle intemperie e riprendemmo immantinente il viaggio, al fine di allontanarci dal puzzo penetrante di quella morte. Una volta in macchina mi sedetti sul sedile posteriore in balia dei miei pensieri, la mia mente fu sporcata da quella scena e con violenza cominciò a ripetersi in continuazione. Che cosa era successo a quell'uomo? 

La città del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora