Erano circa le 22.00, quando in un'aura di arroganza l'essere rimase immobile per alcuni momenti e come soffocato da una folle rabbia si espresse subito dopo: «Vi stavo aspettando, pensavate di sfuggire al vostro destino? Io ho memoria di tutti gli avvenimenti astronomici che si sono susseguiti nel cosmo sin dall'alba dei tempi, non riuscirete nel vostro intento». La voce di quella creatura era stridula e terribilmente avvelenata da un'indomabile furia, un risentimento eterno e di perpetuo rancore. Chissà da quale impenetrabile recesso proveniva, la sua vista ci causò uno sconcertante senso di apprensione.
Con un ingenuo sprezzo del pericolo estrasse dal suo zaino uno strano miasma luccicante contenuto in una sorta di ampolla globiforme e la lanciò verso la creatura, che di poco si smosse. Fu lì che Stolas corrispose con supponenza: «Pensate che questa misera quantità di energia blu possa a vostro piacere ostacolarmi? I vostri frammenti di Onice si stanno affievolendo e non avrete via di scampo». Non ci perdemmo d'animo, ma con remissione provammo a barattare le nostre vite.«Non ho alcun interesse per le vostre anime, consegnatemi il volume», apostrofò la creatura. Fu lì che guardai mio padre in maniera sfuggente e quando lo vidi avvicinare il tomo alla bestia mi sentii perduto. «Papà, deve esserci un altro modo». Appena il libro fu alla sua portata Stolas lo afferrò e in men che non si dica svanì in un turbinio di vento e sfarfalli elettrostatici. «Xavier, su, prendi lo zaino e corriamo via da qui», gridò quel grand'uomo che fu mio padre. Quando ci allontanammo abbastanza lo strinsi stretto e in una brace di emozioni gli dissi:
«Abbiamo condannato l'intera umanità, papà... cosa succederà adesso?» Senza rispondere a quelle domande esclamò: «La mezzanotte è quasi giunta, apri lo zaino, l'eclissi è vicina». Con mio stupore il libro era lì, Stolas era stato ingannato da una banale copia che mio padre aveva realizzato negli anni allo scopo di studiare ed esaminare il volume, senza esporlo inutilmente ai pericoli di una vita sregolata. Ma per quanto tempo quell'inganno avrebbe retto? L'essere si sarebbe accorto molto presto del misfatto e sarebbe ritornato più furioso che mai. Erano le 23:45 quando mio padre si inginocchio al suolo e aprì il libro in un silenzio ossequioso. La pagina su cui si soffermò conteneva dei versi capaci di aiutare l'intercessione degli astri e l'apertura di un portale verso l'altro dove. Fu a quel punto che lo vidi intonare una strana litania.
Questi furono i versi che l'arcano volume propose e che mio padre pronunciò a ritmo singhiozzante. Da lì a poco in uno scoppio di energia elettrostatica si spalancò davanti a noi quella che ci sembrò una fenditura spazio-temporale e le nuvole ebbero a intensificarsi, come raggruppate da un evento astronomico eccezionale. Un fortissimo vento cominciò a rumoreggiare attorno a noi e le abnormi creature che popolavano la città furono richiamate da un rantolo di rabbia e collera. In pochi minuti fummo circondati da deturpanti esseri di puro sdegno e Stolas ritornò sui suoi passi. Cosa ne sarebbe stato di noi? Alle 23:58 il portale davanti a noi spalancò la via a una regione fosca e inenarrabile: la morfologia del terreno ci apparve composta di un materiale nero e polveroso, alcune strane composizioni simili a rocce affioravano dal suolo con prepotenza, come spinte da fenomeni di vulcanismo.
Il cielo imbruniva malamente a ogni istante, scosso da energie gassose e frecce di elettricità. Lo scenario si sperse a perdita d'occhio e ci sembrò vuoto e informe, anche la vegetazione che per un momento avvistammo non assomigliava a niente di terrestre. Fu quasi allo scoccare della mezzanotte che vedemmo comparire oltre la fenditura spazio-tempo delle creature, degli esseri incappucciati simili a sacrileghi monaci dal demoniaco dominio. Le gambe prive di piedi erano inglobate al terreno e coadiuvate da una specie di tinta inchiostrante che ne aiutava, forse, il movimento. A quel punto sentimmo il disturbante sussurro vocale di Stolas che colmo di ira rantolò:
«Non oserete distruggere il libro, è la vostra unica protezione, senza il suo potere le vostre pietre di Onice non avranno alcun potere... sarà a quel punto che vi inghiottiremo l'anima. Non vi salverete dalla mia furia». Gli attimi seguenti furono decisivi e al contempo furono i più dolorosi. Con un senso di rammaricante angoscia mio padre si voltò verso di me ed esclamò: «Xavier, non abbandonarti alla tristezza e vivi, la vita è un fulmine a ciel sereno e finisce ancor prima che essa possa cominciare!» Prima che potessi anche solo reagire chiuse il libro e corse verso il portale, in contiguità della fenditura si fermò lanciando uno sguardo di sfida alle creature, che con fare spasmodico lo attaccarono con irruenza. Fu a quel punto che mi gettò un ultimo sguardo, mi sorrise e si gettò oltre la soglia stringendo sul petto quel maledetto volume, l'Infericum.
Le creature lo inseguirono e Stolas si lanciò oltre il portale al fine di recuperare il suo premio. La mezzanotte portò con sé un'aura di tremenda agitazione e in balia del dolore e dell'incertezza me ne rimasi incredulo accasciato a terra. Dopo che il portale si fu chiuso, ogni meandro della città apparve vuoto e con molta irrequietezza mi incamminai verso l'auto, dove lasciai esplodere il mio dolore. Quel grande uomo che fu mio padre, mi aveva lasciato un senso di estrema perdizione e tra lacrime e spasmi di paura mi addormentai sul sedile posteriore, sfinito e avvilito. La mattina seguente mi risvegliai in pieno smarrimento e fuoriuscii immediatamente dalla vettura, come a voler maledire la luce del sole. Dove sarei potuto andare?
La mia tenera età non mi lasciò molto scampo e così con rassegnazione iniziai a guardami attorno. Fu lì che vidi da lontano la figura di un essere vivente. Man mano che la silhouette si avvicinava riconobbi le sembianze di un uomo alto e dai tratti inusuali: i capelli lunghi di un bianco scintillante, dei vestiti semplici ma insoliti e sulla cui cintura pendeva una spada di un colore bianco fantasma. Quando si avvicinò abbastanza mi fissò con uno sguardo di pietà e irradiando dagli occhi bontà e pacatezza illuminò il mio cuore e con esso tutta la mia anima. «Non temermi, io sono armonia, sei stato un ragazzino sin troppo coraggioso, non disperare la perdita di tuo padre, Edgard Durand è in pace adesso».
Con grande meraviglia mi persi in una sequela di insensati farfugliamenti e con il cuore in gola domandai: «Conoscete mio padre? Da dove venite? Chi siete?» L'uomo con fare sereno rispose: «Il mio nome è Mumiah. Dopo che quel nome arrivò nei miei timpani caddi come in un sonno pesante e i miei sensi si affievolirono rapidamente oltre l'oblio della dimenticanza.
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La città del vento
HorrorNon so cosa fosse, ma lo avvertivo ogni qualvolta avevo paura. Ne avevo sentito parlare a scuola: un bambino schivo e inquieto raccontava che di notte una sorta di entità con sembianze inumane veniva a trovarlo, spiandolo dalla finestra e sfoggiando...