Capitolo 3 - L'ombra di rabbia

34 7 2
                                    

Il crepitio si fece sempre più forte e a ogni passo la nostra palpitazione cardiaca crebbe a dismisura. Dentro di me cominciai a pensare che la creatura che torturava i miei incubi mi avesse raggiunto e che il vento fosse il suo mezzo di movimento, a quel punto cominciai ad averne ferma certezza. Alla fine del viale ci trovammo di fronte a un piccolo gruppo di alberi, erano circa le 18:35 quando vedemmo l'indicibile. L'enorme palazzo che sovrastava quel piccolo boschetto era enorme, l'ombra che proiettava imbruniva l'intero punto e le nuvole già raggrumate ne intensificarono la scura visuale. 

Quando sollevammo lo sguardo verso le piante scorgemmo quasi subito alcune movenze serpeggiare oltre i rami, i movimenti erano rapidi e intermittenti, come sibili di vento o sfolgoranti schegge di elettricità. Dopo alcuni secondi ogni fenomeno si attenuò e in prossimità di un tronco finalmente lo vedemmo. «Non temere Xavier, stringi questa pietra, è un frammento di Onice e ti proteggerà da quelle cose». In poco tempo mi resi conto che la guerra non era una fantasia, che i miei incubi avevano sempre avuto una tangibile concretezza e fu a quella inoppugnabilità che mi arresi. «Papà, la creatura si muove, ti prego cacciala via... è spuntata fuori dai miei incubi e adesso è reale, ma forse è sempre stata verace... per favore, falla sparire».

La mia giovane età all'epoca condizionò molto le mie scelte e mio padre fu senza dubbio la mia roccia. Fu così che con uno slancio energico lo vidi avanzare verso gli alberi e urlando al vento provò a stanare la creatura. Quando fu abbastanza vicino al boschetto non vedemmo più la cosa, come se mutamente si fosse dileguata nel nulla. Il raccapriccio che provai in quei momenti fu grande e le gambe mi cedettero. «Xavier, sali sulle mie spalle, è tutto passato», esclamò con voce dolce. All'epoca avevo solo dieci anni, il candore della mia mente fu distrutta da quegli avvenimenti e la maturità mi fu imposta celermente. Dopo che la creatura scomparve perlustrammo la vegetazione nei dintorni e ci accorgemmo che l'essere aveva lasciato degli sfregi sulla corteccia degli alberi. 

I segni imputriditi da una sostanza simile a condrite carbonacea si pronunciavano sul legno e sulle fronde di alcuni arbusti, che morenti si adagiavano al suolo. Quella scena ci lasciò un forte sentore di paura e la nostra già precaria stabilità fu messa a dura prova. Da lì a poco fummo investiti da un fetore infernale, continuando in direzione di quella che ci sembrò la piazza principale notammo alcune avvertimenti governativi che poco ci rassicurarono. La città era stata evacuata da circa nove anni ed era stata abbandonata dai residenti per questioni indefinite. Mio padre ricollegò tutto all'avvenimento che aveva vissuto in parte nel 1986: il governo, con tutta probabilità, aveva ritenuto utile evacuare Newcastle per via delle radiazioni che per un momento avevamo già notato all'arrivo. In effetti l'aria ci rassembrò subito rarefatta e inquinata da un agente estraneo e innaturale. 

Alle 19:45 ci recammo verso il centro della piazza con la speranza, ormai abbandonata, di trovare un qualche umano segno di civiltà. Il nauseabondo puzzo che percepimmo scaturiva dalle esalazioni che quel melmoso liquido dalla composizione scura e ferrigna provocava. Intorcinammo delle stoffe intorno al collo, al fine di attutire il disgustoso senso olfattivo e avanzammo. «Papà, credi che stanotte quelle cose torneranno? Cosa faremo se quell'orribile creatura dovesse tornare a pedinarci?» Con fare sicuro mio padre disse: «Non temere, siamo ormai arrivati, questo è il punto dove alla mezzanotte di oggi compiremo il nostro dovere. 

Adesso aprirò il libro per capire se la fiera che abbiamo incontrato può essere in qualche modo contrastata». Il volume conteneva un sapere unico nel suo genere, i riferimenti alla goetia gotica erano molto rilevanti e il bestiario che conteneva era anch'esso strabiliante e terrificante allo stesso tempo. L'Infericum aveva origini molto antiche, indefinibili e rappresentava un pericolo enorme per tutta l'umanità, mio padre era deciso a distruggerlo il prima possibile. Quando ci trovammo a sfogliare le pagine di quell'oscuro compendio prendemmo consapevolezza che l'essere in questione corrispondeva a Stolas, un grande principe infernale esperto di astronomia, piante e pietre preziose. Il suo aspetto ci era già apparso inquietante e in stato di renitenza ci augurammo di non rivederlo più. 

Dopo aver sfamato la nostra curiosità ci accasciammo di fronte a una fontana, nel tentativo di riposare le nostre ossa. Erano ormai le 21:00 quando avvertimmo degli strani movimenti nell'ombra. Il crepuscolo ci aveva abbandonati da un pezzo e mio padre aveva acceso un piccolo lume a gas, l'odore intenso a cui fummo sottoposti ci aveva assuefatti e il respiro ci venne più facile. Quando sentimmo i primi fruscii ci allertammo parecchio e balzammo in piedi di scatto, come a presagire degli infausti avvenimenti da lì a poco. Quel che vedemmo ci rese increduli, la notte aveva aperto le porte a delle cose inaudite, delle bestie informi e flagellanti. L'assenza di luce non ci permise di vedere a lungo raggio quegli esseri, ma lo strascicare di quei passi ci sconvolse oltre ogni limite, soprattutto quando gli sbraiti animaleschi che emisero riempirono il vuoto silenzioso di quella bieca metropoli. 

Ci avrebbero attaccati? La luce della lanterna pareva tenerli a bada, così la lasciammo sopra il marmo della fontana e ci nascondemmo all'interno della vasca, che per nostra fortuna era priva di acqua. Fu lì che ci sentimmo pienamente perduti e senza una via di fuga. Il vento iniziò a ululare insistentemente tra le case del sobborgo e di nuovo fummo in balia del suo lamento. Qualcosa sarebbe arrivata insieme a esso e ne avemmo piena coscienza. Dopo che il vento si fu dileguato tutto si tacque ancora una volta e un pietoso silenzio invase ogni cosa. Mio padre alzò lo sguardo con circospezione per capire se gli esseri strascicanti avessero abbandonato la piazza, ma quello che vide lo paralizzò. 

«Papà, va tutto bene? Cosa vedi? Possiamo uscire?» Non ebbi risposta a quelle domande, così in uno scatto di adrenalina mi affacciai a mia volta. Stolas aveva fatto la sua estrema comparsa e questa volta riuscimmo a vederlo in tutta la sua tracotanza. Le sue sembianze ci inquietarono alquanto, poiché esposero una geometria estranea al nostro mondo: il suo corpo assomigliava a un corvo, con zanne aguzze, una pelle simile a carbone e delle gambe molto lunghe e informi. Il suo capo era sormontato da quello che ci sembrò una corona composta da un materiale viscido e ripugnante. Non sopportai quella visione e in uno sfogo liberatorio urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. 

Dopo quell'urlo mio padre mi abbracciò e la creatura si mise a tracciare una specie di simbolo, aiutata dal viscidume di cui la strada era pregna.

Dopo quell'urlo mio padre mi abbracciò e la creatura si mise a tracciare una specie di simbolo, aiutata dal viscidume di cui la strada era pregna

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
La città del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora