Capitolo 2 - La città senza luce

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Dopo ore di viaggio, in cui i miei occhi si sfinirono nell'ispezionare il paesaggio, mi decisi e ruppi il silenzio. «Papà, cosa è accaduto a quel signore? Non riesco a immaginare nulla di più orribile». Mio padre con fare calmo e lungimirante iniziò la conversazione più tormentata della mia esistenza... «Xavier, è ora che tu sappia la verità... non posso più celarti la realtà, dal momento in cui la tua forza potrebbe essere importante in futuro...

Devi sapere che l'universo è un contenitore infinito di energia, la forza più grande di tutte. Quest'energia arriva fino a noi in diversi modi, ma ci sono alcune forze malevoli che nuotano attraverso sconfinati abissi dimenticati con l'insidioso obiettivo di riaffiorare nel nostro mondo, poiché è la nostra forza vitale che bramano. Il male che abita quella dimensione si insinua viscidamente attraverso quel lembo di spazio che c'è tra il nostro e il loro mondo, l'ombra. Gli spiragli di luce, che fanno da richiamo a quelle arcane energie, sono delle zone pericolose e dobbiamo starne alla larga. Il mio amico e illustre scienziato William Morton mi aveva avvertito qualche tempo fa, la vita che tutti noi conosciamo è destinata a mutare. Ho sempre pensato che fosse vicino dallo scoprire qualcosa che avrebbe cambiato il modo stesso di percepire la realtà, avremmo scoperto un mondo nuovo, che è tutto intorno a noi, ma allo stesso tempo celato ai nostri occhi, come il più recondito dei misteri.

Tuttavia, l'ultima lettera mi riempì di un irragionevole senso di follia. Non riconobbi più la sua calligrafia, così maldestra e insicura esprimeva significanza a proposito di una sorta di avvenimento cosmico calcolato per il 24 agosto 1996 e che la sua dislocazione avrebbe rimescolato le leggi stesse della natura che ci circonda. Adesso il termine è ultimo, la nostra vecchia casa iniziava a diventare insicura, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti: le interruzioni di energia, le inquietanti ombre nello scuro e gli sfarfallii di tensione elettrostatica. Tutto cominciò a manifestarsi con maggiore costanza dopo aver sfogliato le pagine di quel dannato libro, l'Infericum... un volume uscito fuori dalle ultime ricerche del dottor Morton».

Successivamente a quell'intensa discussione, in cui tutto il mio essere si immobilizzò in preda al delirio, iniziai a capire il perché mio padre si fosse improvvisamente interessato a quegli strani studi, intere notti insonni intente a tradurre alfabeti e linguaggi decaduti con maniacale e vitale interesse. Soggiogato da quei ragionamenti ogni meccanica logica si interruppe, poiché buttando l'occhio fuori dal finestrino avvistai da lontano una figura che attraverso le campagne si dirigeva a nord. Rallentammo per capirne il significato. L'individuo era lì, solitario, tra il giallume dei campi e si trascinava con passi strascicanti verso una qualche meta. Dapprima non riuscimmo a vederlo in viso a causa della nostra postura, ma la parte superiore del suo corpo ci sembrò stranamente schiacciata e man mano che ci avvicinavamo riuscimmo a scrutarne gli arti, che ci apparvero come degli aculei appuntiti, grondanti una qualche ripugnante lordura giallastra. Alcuni punti ingrigiti ci fecero pensare a dei parassiti che lentamente ne stavano lacerando le carni...

Mio padre si fermò incredulo, quando quella parvenza di essere ci guardò mostrandosi nella sua interezza. I miei occhi si rifiutarono di percepire quell'abominio vagante, in quanto troppo mostruoso per esistere. Ricordo che i suoi occhi mi fissarono come mai fui fissato in tutta la mia vita: quella sua testa abnorme e quel suo collo spezzato e abbandonato a una qualche prematura decomposizione, costringeva il capo a sprofondare quasi interamente all'interno del busto, che flaccidamente lo inglobava in ripugnante verso. L'essere iniziò a proiettarsi contro di noi con movimenti di ingordigia, come se percepisse qualcosa, una brutale voglia di vivo, che famelicamente lo attirava. Ne fummo terrorizzati. In un attimo sfrecciammo alla massima velocità per allontanarci da quella sorta di flagellazione vivente, che non aveva alcun motivo di esistere.

Dopo ore di estenuante viaggio e sconcertante afflizione decidemmo di fermarci un istante, proprio alle porte di una città che iniziammo a scorgere in lontananza. Sul finire di una galleria rallentammo, poiché la strada era malconcia e insicura: la vegetazione grigia e appassita adornava ogni cosa, creando una bigia atmosfera di inquietudine. Lontanamente alcune costruzioni si ergevano sferzanti verso il cielo e il loro malaticcio colore si estendeva avido attraverso gli orizzonti. Entrammo silenti, sulla destra un vecchio cartello riportava la scritta "N wc stle" e quando guardammo l'orologio in auto, verso le14:20, avemmo la sensazione che in quel luogo le leggi naturali fossero diverse. Raggelai, quando presi consapevolezza del fatto che quella sperduta metropoli fosse sorda da ogni rumore: nessun cinguettio, non uno scroscio d'acqua, nessun sibilo di vento proveniva da alcun dove.

Mio padre continuò a guidare cautamente attraverso quelle strade, alla disperata ricerca di qualche umano segno di civiltà, ma invano. In quel peregrinare i malconci ruderi delle case si avvicendavano in una moltitudine straziante di arroccamenti e inospitali stamberghe dalle aride rimanenze. Che posto era mai quello? La vegetazione incancrenita e selvaggia si arruffava su quelle vecchie costruzioni, ingoiandole e smembrandole della loro stabilità. Il terreno aveva una buffa composizione, man mano che procedemmo per quel cammino ci accorgemmo che alcune parti di esso apparivano ricoperte di un curioso olio dal cupo registro, con qualità simili al nero di seppia. Quel denso intruglio ci procurò un forte senso di raccapriccio e a poco valsero le nostre intuizioni.

Fu intorno alle 15:00 che ci fermammo per sgranchirci le gambe e prendere atto della nostra posizione. Avevamo percorso un bel po' di strada, eravamo partiti da Norfolk, eravamo passati per Roanoke e adesso ci trovavamo in questa piccola cittadina dinome Newcastle. Appena scendemmo dall'auto ci trovammo davanti a uno spiazzale abbandonato da decenni o forse più, il verdume molesto della vegetazione si arrampicava lungo le strade e l'aria apparve inquinata di una qualche composizione gassosa difficile da identificare. In lontananza, le case abbarbicate l'una sull'altra avevano un che di minaccioso e stringendo la mano di mio padre tremai di terrore, al solo pensiero che qualcosa ne potesse uscire da lì a poco. Quel che più ci scosse fu la consapevolezza di sapere che la città potesse essere abitata da creature terrificanti come quella che avevamo avvistato sulla statale. La verità che mio padre aveva svelato mi costrinse a una reale tangibilità delle cose.

«Xavier, siamo venuti in questa città per cercare delle risposte. Quando nel 1986 conobbi il dottor Morton mi affidò questo volume e mi disse di ritornare in questa cittadina per assistere all'allineamento cosmico e distruggere il libro. L'Infericum è un portale maligno per l'altro dove ed è portatore di morte e distruzione, non può cadere nelle mani sbagliate. In quell'anno le cose si erano messe molto male, William insieme ad altri uomini coraggiosi provarono a rimandare indietro quelle cose, ma il destino ebbe a riservare brutte sorprese, le creature che si trovarono ad affrontare erano custodi di un potere quasi insormontabile. Poco prima dello scontro prepararono tutto nei minimi dettagli, ogni cosa doveva essere perfetta e ben congeniata.

All'epoca lavoravo alla Deacon's library di Newcastle, lì conobbi Allan e Darren Morris, Paul Wilkinson e l'inesplicabile Dottor William Morton. Quando gli eventi furono propizi si avvicendarono alla battaglia e a me fu affidato il compito di custodire il volume, metterlo al sicuro e riportarlo qui, proprio in questo giorno. Alla mezzanotte di oggi dovremo aprire il volume su di una specifica pagina, assorbire il potere dell'eclissi lunare e intrappolare il libro oltre la dimensione, che insieme all'intercessione degli astri si aprirà». Mentre ascoltavo quelle incredibili rivelazioni imboccammo uno stretto viale disfatto e malridotto da anni di incuranza. Sulla sinistra un piccolo sentiero si arrampicava verso un podere abbandonato e sorvegliato da un grosso albero di ulivo, le case accasciate in triste orma si allungavano verso l'orizzonte e il cielo si mostrò leggermente annuvolato.

Fu lì che fummo raggiunti da una tagliente folata di vento che ci scosse con veemenza. Le urla che quel fenomeno provocò ci raggelò il sangue, poiché dopo che la massa d'aria sbuffò tutta intorno si ammutolì e lasciò al contempo un lieve rantolo indefinito.

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