2 Capitolo

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La decisione di separarsi, ovviamente, fu di mia madre, nonostante fosse lei il problema principale e non mio padre. Lui, purtroppo, aveva il solito vizio di giocare alle macchinette, quelle che si trovano nei bar, e molte volte non dava importanza alla famiglia. Ma, nonostante questo suo problema, non era capace di far del male a nessuno, nemmeno a una mosca. Proprio per questo motivo non voleva separarsi da mia madre; in un certo senso, era totalmente preso da lei e non riusciva a gestire la situazione. Ho sempre pensato che non fosse capace, che non fosse all'altezza e che fosse succube dei comportamenti di mia madre.

Un giorno, nostra madre fece un discorso all'oscuro di nostro padre.
«Ragazzi, probabilmente lasceremo questa casa. Le cose con vostro padre non vanno più bene e così abbiamo deciso di separarci.»
Gli risposi:
«Mamma, perché? Non c'è un modo per recuperare?»
E lei, con un tono più tosto e insistente, rispose:
«No! Non c'è assolutamente nessun modo. Si fa come dico io, punto e basta. Siete i miei figli, per cui decido io e dovete seguirmi.»

Mia sorella non parlava; guardava sempre nostra madre con un'aria di sfida. Mi guardò con un sorriso e mi fece un cenno con la testa per tranquillizzarmi.

Iniziai anche io a diventare nervoso; non mi andava bene più nulla e, per qualsiasi motivo, rispondevo male a chiunque. Per non parlare della scuola, assumevo comportamenti piuttosto inopportuni e, a causa di questo, spesso litigavo con mia madre, purtroppo senza uscirne mai vincitore. Anzi, le prendevo di santa ragione.
Dissi a mia sorella:
«Mary, adesso non vedremo più papà?»
«Sì, credo di sì. Stai tranquillo, vedrai che papà farà qualcosa per non farci andare via.»
«Ok, e se non fosse così?»
«Tu non preoccuparti, e ricorda Mario: rimaniamo sempre uniti.»

Mia sorella era la mia forza; da lì iniziai a capire che era a lei che dovevo appoggiarmi, e a nessun altro.

Il giorno dopo, nostra madre ci ordinò di preparare le valigie. A malincuore, non potevamo fare altro che seguire ciò che ci obbligava a fare. Mio padre gironzolava in casa senza capire ancora cosa stesse accadendo. A quel punto lo fermai:
«Papà, non voglio andare con mamma, preferisco rimanere con te, per favore.»
«Stai tranquillo, papà troverà una soluzione. Troverò un modo per parlare con qualcuno e per farmi aiutare.»

Speravo tanto che le parole di mio padre potessero davvero fermare tutto, salvare l'impossibile. Nel frattempo, mia madre continuava a bere senza fermarsi, peggiorando di giorno in giorno.

«Mario, andiamo, prendi tutto e muoviti!»

Piangevo e non riuscivo a muovermi. Guardavo continuamente mia sorella, il mio porto sicuro, ma anche lei ormai sembrava obbligata dalla furia di mia madre. Prese in braccio Miky, quasi come se fosse un bambolotto e non un bambino che avesse ancora bisogno del padre. Ma probabilmente anche mio padre aveva commesso degli errori, oltre all'errore di rimanere incapace davanti a una situazione del genere e di non poter far nulla.

Mia madre è sempre riuscita ad avere nei confronti di mio padre il sopravvento in tutto e per tutto, e l'alcool certamente non era stata la soluzione al problema; purtroppo, peggiorava ulteriormente la situazione.

«Mamma, dove andremo ora? Dove andremo a vivere?»
«So io dove andremo, certamente non a casa con tuo padre; lì non ci voglio più stare.»

Mio fratello continuava a girare il ciuccio in bocca e mi guardava con occhioni ingenui, probabilmente gli occhi di chi guarda il mondo da una prospettiva diversa. Forse, negli occhi di mio fratello, c'era tutta la verità per essere felici. Così lo abbracciai forte e gli diedi un bacio sulla guancia. Dopo di che, senza avere alcuna scelta, ci affidammo completamente a nostra madre e alla sua furia scatenante.

Non è stata mia madreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora