11 Capitolo

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L'idea di diventare zio mi faceva sentire al settimo cielo. Sapevo di avere soltanto 15 anni, ma non vedevo l'ora di capire cosa si provasse.

I primi periodi con papà furono tranquilli; ero concentrato a giocare a calcio e spesso partecipavo a tornei con i miei amici. Mi piaceva l'attività fisica e per questo motivo ho sempre fatto sport insieme a Miky. Papà ci aveva comprato anche la bicicletta e quindi non perdevamo mai occasione per girare in città.

«Miky, sei lento, devi andare più veloce!»
«Dai, aspettami!»
«Corri, raggiungiamo papà al bar!»
«Sì, andiamo!»

Papà cercava di darci il massimo delle attenzioni, anche se sapevamo che non poteva fare di più per questioni economiche. Nel suo piccolo, cercava di accontentarci, anche se a volte perdeva la pazienza. Purtroppo, aveva anche lui il vizio di bere, ma non dava fastidio a nessuno, a differenza di nostra madre.

Mary era concentrata sulla gravidanza ed era molto felice. Sia io che Miky avevamo un buon rapporto con nostro cognato, il compagno di nostra sorella; per noi era come un fratello maggiore. Conosceva bene la nostra situazione e, per questo motivo, cercava a volte di sostituirsi ai nostri genitori: era molto presente.

In un certo senso, anche se in modo strano, papà sembrava tifare per noi. Diceva che avevamo dei talenti perché eravamo bravi a giocare a calcio, e io ero anche bravo a cantare.

A volte pensavo a mia madre. Sapevo che aveva trovato un lavoro al nord, in una struttura per anziani, come operatrice socio-sanitaria. Al telefono ci raccontava che guadagnava bene e cercava sempre di convincerci a raggiungerla, ma senza successo.

«Pronto, mamma?»
«Mario, come stai?»
«Bene, tu?»
«Bene, sto lavorando e mi sento meglio, le cose sembrano andare bene. Sai che vi vorrei qui con me.»
«Lo so, mamma, ma non riesco a lasciare la mia città e i miei amici. Poi qui abbiamo papà e Mary che aspetta un bambino, quindi non riesco.»
«Ma qui ti faresti un futuro, troveresti un lavoro.»
«No, mamma, magari un giorno ti verremo a trovare. Ciccio come sta?»
«Sta bene, è in cameretta che gioca.»
«Salutamelo tanto.»
«Va bene. Mary e Miky invece?»
«Anche loro stanno bene.»
«Tua sorella non risponde quasi mai al telefono.»
«Sì, è molto impegnata.»
«Immagino. Dai, saluta tutti, ci sentiamo domani.»
«Ok, ciao mamma.»
«Ciao.»

In realtà, Mary non aveva molto piacere a sentirla al telefono; rimaneva convinta della sua opinione sul fatto che ci avesse lasciati qui, e non aveva nemmeno tutti i torti. Miky era ancora piccolo e di solito sfuggiva alle chiamate; di solito ero io che aggiornava spesso nostra madre.

Passavano i giorni, i mesi, gli anni, e la situazione sembrava quasi invariata. Spesso ricevevamo telefonate in cui venivamo a conoscenza dei comportamenti instabili di nostra madre e delle continue discussioni con il suo compagno.

Ma cercavamo un modo di distrarci da lei e di pensare alla nostra vita.

Non è stata mia madreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora