18 Capitolo

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Dopo qualche anno trascorso a Milano, Miky era cresciuto. Era sempre stato il più piccolo tra noi, quello di cui mi ero preso cura, quasi un fratello da proteggere. Vederlo crescere e decidere di arruolarsi nell'esercito mi colpì profondamente. Nonostante la sua giovinezza, aveva una forza interiore che lo rendeva capace di affrontare il mondo con una determinazione che invidiavo. Ero fiero, incredibilmente fiero di lui. Vedevo nei suoi occhi la stessa voglia di riscatto che avevo avuto io quando avevo deciso di trasferirmi a Milano. Era come se entrambi, insieme a Mary, avessimo tracciato il nostro percorso lontano dalle ombre che ci avevano perseguitati.

Il merito non era solo nostro. Le nostre zie ci avevano sostenuto in ogni modo possibile, con amore e dedizione, come se fossimo i loro stessi figli. Ci avevano insegnato il valore del sacrificio, l'importanza di non arrendersi mai, e noi avevamo imparato a farci strada nel mondo, anche quando tutto sembrava crollarci addosso. Il loro supporto ci aveva permesso di costruire vite che potevamo finalmente chiamare nostre.

E poi c'era nostra madre, un ricordo sempre più sbiadito. Non era più parte di noi. Non perché non l'avessimo voluta, ma perché lei stessa si era allontanata, lasciandosi risucchiare in un vortice di alcol e tristezza. Ogni tentativo di riportarla indietro, di farle vedere i nostri successi, le nostre vittorie, era fallito. Era come se avesse smesso di lottare per noi, per se stessa. L'alcol aveva preso il controllo, e la sua mente si era rinchiusa in un mondo da cui non riusciva a uscire.

A volte, mi chiedevo se le mancassimo, se pensasse a noi, a quello che avremmo potuto essere insieme. Ma non c'erano mai segni, mai un gesto che facesse pensare che volesse tornare. Il suo disinteresse ci feriva, anche se non lo ammettevamo a voce alta. Era doloroso sapere che, mentre Miky stava costruendo la sua strada e Mary ed io raccoglievamo i frutti dei nostri sacrifici, lei si stava perdendo tutto. Non c'era nei nostri momenti di gioia, nei nostri successi, e non poteva assistere ai frutti di quelle lotte che un tempo forse avremmo combattuto insieme.

Il dispiacere era sempre lì, nascosto sotto la superficie. Non per quello che lei ci aveva fatto, ma per quello che noi non eravamo riusciti a fare per lei. Non eravamo riusciti a salvarla, a portarla con noi in quella vita che, nonostante tutto, ci stavamo costruendo con fatica. Lei era rimasta indietro, intrappolata in un mondo che non conoscevamo, e che ormai non potevamo più raggiungere.

Ciccio ormai si era stabilito definitivamente al nord, con suo padre. Per noi, era stata una perdita difficile da accettare, una distanza che non riuscivamo a colmare. Non avevamo lo stesso padre, e questo rendeva le cose più complicate. Nonostante il legame che ci univa, non potevamo fare nulla per tenerlo vicino. Il destino sembrava averlo trascinato lontano, in una vita che non avevamo il potere di influenzare. Anche lui aveva attraversato momenti duri, momenti critici che avrebbero potuto spezzarlo. Senza una madre accanto, senza quella figura che avrebbe dovuto sostenerlo nei momenti di sconforto, Ciccio aveva conosciuto il dolore di affrontare il mondo da solo.

Eppure, in qualche modo, era riuscito a rialzarsi, a trovare la sua strada e andare avanti. Ne ero sollevato, forse persino orgoglioso, anche se la sua distanza ci aveva lasciato un vuoto. Di tanto in tanto, ci siamo incrociati a Milano, quando io lavoravo lì. Ogni incontro era come un balsamo sulle ferite del passato, un momento in cui il tempo sembrava fermarsi e, per qualche ora, riuscivamo a ritrovare quella complicità che ci aveva uniti da ragazzi. Passare del tempo insieme era un dono, una tregua in una vita che ci aveva portati su strade diverse.

Ma nostra madre... nostra madre aveva perso anche lui. Come con me, come con Miky e Mary, aveva lasciato che anche Ciccio scivolasse via, troppo concentrata su se stessa per accorgersi di ciò che stava accadendo. Non sapeva più niente dei suoi figli. Non chiedeva di noi, non cercava di riavvicinarsi. E così, mentre le nostre vite continuavano a scorrere, la sua si consumava nell'ombra, lontana da tutto ciò che avremmo potuto condividere. Ormai, era come se non ci conoscesse più.

Non è stata mia madreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora