5 Capitolo

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A volte mi sentivo davvero sfinito. Ogni giorno era una lotta, un campo di battaglia in cui assistevo ai continui litigi tra mia madre e il suo compagno. Le parole volavano come proiettili, ferendo chiunque si trovasse a tiro. Poi c'erano gli assistenti sociali, che entravano e uscivano dalla nostra vita, portando con loro promesse di aiuto che sembravano sempre più lontane. La situazione degenerava giorno dopo giorno, come se fosse impossibile fermare quel declino.

In quei momenti, quando tutto mi sembrava insopportabile e avevo bisogno di un posto in cui rifugiarmi, il mio angolo di pace era il bagno. Sembrava strano, lo sapevo anche allora, ma per me il bagno era più di una stanza: era uno spazio sacro, un luogo dove potevo isolarmi dal caos del mondo esterno. Lì, tra quelle quattro pareti, c'era una tranquillità che non trovavo altrove.

C'era uno specchio grande, che occupava quasi tutta una parete. Passavo minuti, a volte ore, a osservare il mio riflesso. Gli specchi servono a pettinarsi, a sistemarsi, ma io lo usavo per qualcosa di diverso: per guardare dentro di me. Mi fissavo negli occhi, cercando qualcosa di più profondo, cercando risposte che non riuscivo a trovare altrove. I miei occhi, spesso umidi, mi restituivano un'immagine di me stesso che faticavo a riconoscere. Era come se il mio riflesso portasse con sé tutta la sofferenza che provavo, come se il dolore avesse un volto e fosse il mio.

Mi interrogavo spesso, come in un dialogo silenzioso con la mia immagine nello specchio: "Cosa vuoi davvero? Cosa speri di diventare? Se potessi mandare avanti il tempo, vent'anni, lo faresti?" La risposta era sempre sì. Avrei voluto accelerare il tempo, superare in fretta quegli anni difficili, come se il futuro potesse guarire tutto ciò che il presente rendeva insopportabile.

A volte, restavo chiuso lì così a lungo che qualcuno, inevitabilmente, veniva a bussare alla porta. Spesso era mia sorella Mary, impaziente di usare il bagno.

«Sono due ore che sei chiuso lì dentro!» esclamava, esasperata.
«Lo so, volevo solo stare un po' in pace, da solo,» rispondevo con un sospiro.
«Nel bagno?» mi chiedeva incredula.
«Sì, nel bagno. Perché? Cosa c'è di strano?»
«Ma vai in soggiorno, o in camera mia se vuoi.»
«Sì, sicuro... lì starò proprio da solo,» rispondevo ironico.

Mary doveva prepararsi per uscire. Stava cercando lavoro e spesso passava il pomeriggio in città, alla ricerca di un'opportunità. A volte avrei voluto andare con lei, ma sapevo che non sarebbe stato possibile. Mia madre mi permetteva a malapena di scendere giù dal palazzo per giocare a calcio con i miei amici. Così, rimanevo in casa, intrappolato in quel loop di giornate tutte uguali, circondato dagli stessi odori, gli stessi quadri, gli stessi volti. Ogni tanto, come una boccata d'aria fresca, aspettavo impaziente che arrivassero le 17:00. Era quell'ora magica in cui, finalmente, potevo uscire a giocare.

Fabio, il mio caro amico, abitava nella porta accanto. Con lui avevo vissuto gran parte della mia infanzia, e le nostre giornate insieme erano un rifugio sicuro. In casa sua c'era una PlayStation, e spesso ci divertivamo a giocare per ore, quando mia madre me lo permetteva. Fabio conosceva tutto di me, della mia storia, dei problemi con mia madre. Era più di un amico: era un rifugio, una via di fuga. Quando le cose a casa si facevano troppo difficili, sua madre veniva a bussare alla nostra porta, cercando di convincere mia madre a lasciarmi andare da loro. Ogni volta che ci riusciva, per me era come evadere, anche solo per qualche ora.

Tuttavia, sua madre preferiva che rimanessimo in casa a giocare, piuttosto che uscire. Ero costretto a convincerla, come dovevo fare con mia madre, solo per poter scendere giù a giocare.

Alle 17:00, sapevamo che il momento era arrivato non dall'orologio, ma dal suono del megafono del gelataio che, puntuale come un orologio, passava nel nostro quartiere. Quell'annuncio era il segnale: finalmente si scendeva. Ed era una piccola festa. Finalmente, per un po', tutto sembrava tornare al suo posto."

Non è stata mia madreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora