Sindrome di Stoccolma

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Era sera. Io e Will stavamo cenando insieme, divisi dal lungo tavolo in legno  di noce della mia sala da pranzo.
"Hannibal" mi disse lui, rompendo il silenzio.
"Dimmi, Will"
"Io non voglio lasciarti..."
"Non devi, infatti"
"Ho paura che i poliziotti ci scoprano...se mi lasci fare una vita normale io- io dirò che mi ero preso una pausa allontanandomi da tutto e da tutti, e io e te potremo stare insieme alla luce del sole"
La proposta mi lasciò sbigottito.
Che mi stesse manipolando affinché lo liberassi, per poi denunciarmi per sequestro? No, Will era troppo spontaneo per farlo. Si trattava della sindrome di Stoccolma, un meccanismo psicologico per cui una vittima di rapimento si affeziona al proprio rapitore. Ciò significava che ero riuscito nel mio obiettivo: Will mi amava. Questa consapevolezza mi riempiva di gioia, mi appagava come niente prima di allora. C'era solo un problema: non si trattava di vero amore, ma di un mero meccanismo di difesa della sua mente, innescato dal terrore. Will mi amava perché mi temeva, e questa consapevolezza mi distruggeva. Volevo che mi amasse per quello che ero, e non perché la sua vita dipendeva da me. Penso che l'unica cosa che abbia mai davvero desiderato in vita mia fosse essere amato. La mia esistenza è costellata di morte, sangue, ossa, e il mio cuore non è altro che pietra, una pietra che Will era capace di scalfire e modellare come un artista modella un blocco di marmo in una bellissima statua. Non mi sono mai sentito amato, e volevo cambiare questo paradigma.

How can you love me? [Hannigram]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora