5.

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Mille anni e poi mille
Non possono bastare
Per dire
La microeternità
Di quando m'hai baciato
Di quando t'ho baciata
Jacques Prévert

Riccardo si svegliò e l'odore di caffè e la radio accesa parvero provenire da un altro universo, così come la sagoma di Alessandro nel letto vuoto non pareva reale. Le sensazioni provate la sera prima l'avevano ubriacato e adesso i postumi delle labbra di Alessandro sulle sue gli davano uno strano senso di euforia: lui aveva baciato Alessandro – e Alessandro aveva baciato lui, e ora canticchiava al di là del corridoio, preparando la colazione o forse leggendo un libro, e anche se Riccardo pensava che fosse illegale posare gli occhi su qualsiasi parola prima di mezzogiorno, impazziva all'idea di trovarlo seduto al tavolo a sfogliare pagine con le dita calde.
Si stiracchiò, in testa flashback della sera precedente, mescolati a imbarazzo e trepidazione. Cosa avrebbe fatto, adesso che era certo di quello che provava? Adesso che sapeva che il desiderio che gli formicolava nella bocca dello stomaco non era altro che attrazione, e forse anche qualche sentimento più complesso?
Si prese altri due minuti per riflettere sulla sensazione di appagamento che aveva provato quando aveva baciato Alessandro, sul modo in cui le sue mani erano andate naturalmente a cercare i punti adatti a cui ancorarsi al corpo di lui, che la sera prima era caldo e accogliente come le case la vigilia di Natale – come il camino della sua bisnonna e i biscotti alla cannella.
Uscito dal bagno, pochi minuti dopo, si dirigeva verso la cucina, e all'improvviso non sapeva dove mettere le mani, come fare a infilare un passo dopo l'altro lungo quel corridoio.
Alessandro gli dava le spalle, dentro quella cucina immensa, e stava strapazzando le uova nella padella, il ticchettio del tostapane e una stupida canzone di Adele facevano da sottofondo.
«Non mi piace Adele» si lamentò, non trovando modo migliore di annunciarsi; e l'altro gli mostrò mezzo viso da sopra la spalla e sorrideva ed era bellissimo.
«Non so perché, ma me lo immaginavo» rispose, riportando l'attenzione sui fornelli. «Mangi dolce o salato?»
«Mangio tutto, Ale...» e si avvicinò di qualche passo, dubbioso – avrebbe dovuto toccarlo? Baciarlo? Mostrargli che quello che era successo tra di loro per lui era importante?
Alessandro si girò del tutto e questa volta lo guardò più a lungo, il volto così neutro da essere una tavolozza bianca. «Ma se potessi scegliere, cosa vorresti?»
Riccardo si passò una mano sul viso, come a voler scacciare un pensiero intrusivo, e poi piantò gli occhi nei suoi; lo stomaco gli brontolava per la fame e per la voglia di aver Alessandro di nuovo vicino.
«Vorrei te».
Era totalmente impreparato ad una risposta simile, Riccardo lo vide dal cambio di colore dei suoi occhi, dal guizzo incontrollato delle labbra, che si lanciavano verso un sorriso che Alessandro tentava in tutti i modi di trattenere – ma che non gli riuscì di fare, mentre abbandonava la spatola delle uova sul piano cottura e si dimenticava dei fornelli, mentre appoggiava i palmi sul bancone, i piedi incrociati e addosso la maglietta più brutta che Riccardo avesse mai visto.
«Me?» gli fece eco, l'espressione di sfida stampata sul viso – come a volergli dire dimmelo, dimmelo ancora che mi vuoi.
Riccardo annuì mentre gli andava incontro e lo incastrava tra lui e il bancone, le mani appoggiate sulle sue. «Davvero brutta, questa cosa che indossi» gli disse, e non sapeva dove trovava l'autocontrollo per non affondare i denti in quelle labbra rosse, che immobili lo chiamavano come le sirene di Ulisse – e anche se conosceva ben poco della mitologia e degli dei, ricordava abbastanza da sapere cosa succedesse ai marinai che ascoltavano il loro canto.
«Preferisci quella che avevo ieri sera?»
Alessandro era dannatamente bravo in quel gioco, ma quella mattina Riccardo aveva fame e voleva la sua colazione – fianchi caldi e labbra di pesca.
«Sì, Alessandro» e nel frattempo si avvicinava, gli accarezzava i polsi con il pollice. «Decisamente».
Lo baciò lentamente, perché le mattine d'estate sono pigre e tiepide come le fusa di un gatto, come la mano di Alessandro sulla sua schiena e la luce delle stelle contro il viso. Riccardo lo strinse piano, mentre alle sue spalle il caffè saliva e il tostapane sfrigolava, e finalmente Adele aveva lasciato il posto ad una canzone sconosciuta, che aveva il sapore del dentifricio di Alessandro e di violoncelli.
«Si brucia il caffè» sussurrò, staccandosi appena per far sporgere ulteriormente Riccardo, in cerca di un altro bacio.
«Siamo entrambi abbastanza svegli, lascialo bruciare».
Alessandro sorrise contro i suoi denti e poi si girò tra le sue braccia, che erano appoggiate al bancone e tremavano appena, perché di baci così non ne aveva mai ricevuti né dati e questo gli spaventava il cuore.
«Ho scritto un po', mentre dormivi» gli disse, versando il caffè ad entrambi. «Credo di aver finito la seconda strofa».
Riccardo si diede la forza di staccarsi da lui e di sedersi al tavolo, mentre Alessandro ci appoggiava sopra le uova strapazzate e il pane tostato.
Bevendo un sorso di succo d'arancia, Alessandro continuò: «Mi mancava l'inizio, ricordi? L'ho trovato, ma non so se ti piacerà» e sembrava preoccupato, il piatto di uova abbandonato a se stesso e quasi intoccato.
«Perché?» chiese: era raro che a Riccardo non piacessero le cose che Alessandro scriveva – era più facile che fosse il contrario.
L'altro non rispose, ma si alzò per recuperare un quaderno dal bancone della cucina; poi glielo porse, in viso un'emozione che Riccardo non riconosceva – era apprensione? vulnerabilità? timore?
Erano due righe quelle scritte sul foglio e tutt'attorno un milione di scarabocchi: la tua paura cos'è? Un mare dove non tocchi mai.
Riccardo fissò il quaderno per qualche secondo di troppo e percepì Alessandro muoversi a disagio sulla sedia (e i suoi respiri veloci), ma non riusciva a pensare a niente che potesse essere all'altezza di quello che aveva appena letto: Alessandro aveva tradotto in parole quello che Riccardo sentiva da una vita, e l'aveva capito – come poteva credere che non gli sarebbe piaciuta?
«Di' qualcosa» borbottò, grattandosi una guancia con fare imbarazzato. Riccardo adorava quel lato insicuro di Alessandro e quando sollevò lo sguardo sul suo viso gli piacque ancora di più: aveva gli occhi liquidi di chi li tiene aperti per troppo tempo senza sbattere le palpebre e si mordeva le labbra nervosamente.
«Sta' calmo» ridacchiò. «Mi piace».
«Ti piace?» era sorpreso, ma un sorriso rilassato gli arricciò presto il naso e gli angoli degli occhi. «Sei sicu–»
Riccardo si sporse sul tavolo e gli chiuse la bocca con un bacio morbido, facendolo sospirare contro il suo viso. Ogni muscolo di Riccardo vibrò di desiderio quando Alessandro fece scivolare una mano dietro il suo collo e gli accarezzò la nuca; poi lo spinse via e lo guardò con un principio di risata in volto, dicendo: «Quanti baci che vuoi, ragazzino».

Afrodite | Mahmood e BlancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora