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Oggi stavi nel mio sangue
e io me ne accorgevo
ogni volta che il sangue
entrava dentro il cuore.
Franco Arminio

Era ubriaco, talmente ubriaco da non reggersi in piedi. Paulo gli teneva un braccio dietro la schiena ed aveva la spalla sudata – e gli stava dicendo qualcosa.
«Mh?» disse, facendo ciondolare la testa da un lato. Aveva voglia di sdraiarsi sul prato e perdere conoscenza mentre guardava il cielo.
«Devi sboccare o domani ti svegli morto» ripeté. La voce tradiva lo sforzo di trascinarlo per il giardino del locale all'aperto in cui erano andati a ballare, ma quella constatazione sfiorò la mente di Riccardo soltanto per un momento, poi si perse nel turbinio di alcol e stanchezza che gli circolava nelle vene.
«Lasciami qui» biascicò, indicando la panchina vuota oltre la quale Paulo cercava di spingerlo. «Voglio sedermi».
Paulo sospirò e poi si lasciò cadere sulla panchina insieme a lui, che buttò la testa all'indietro per guardare le stelle. Le luci stroboscopiche del locale, alle loro spalle, davano al cielo una strana sfumatura violacea e vibravano nell'aria attraversata dalla musica – lo stomaco gli si rivoltò in un attacco di nausea improvviso.
«Ricky» lo chiamò Paulo, toccandogli l'avambraccio con dita calde. «Adesso ho bisogno che vomiti».
Quando Paulo gli parlava così dolcemente significava che le cose erano ben peggiori di quanto pensasse e Riccardo non se ne stupì, considerato che per metterlo a fuoco gli ci volle qualche secondo di troppo. «Mi ficchi tu le dita in gola?»
Mentre spalancava la bocca e i polpastrelli di Paulo gli sfioravano la lingua, l'immagine di Alessandro gli si formò dentro le palpebre chiuse; e, insieme al cuba libre e al gin tonic, vomitò anche l'amaro delle due notti insonni che aveva passato nel suo letto, lontano da Alessandro e dal senso di euforia che scoparselo gli aveva messo addosso.
«Paulo» lo chiamò, mentre si rimetteva dritto su quella panchina e si passava una mano sulla bocca. «Se noi due passassimo una notte insieme, di quelle che ti stringi le mani e ti baci in continuazione e vieni guardandoti negli occhi, tu penseresti che è solo sesso?»
«Ma cosa stai dicendo?»
Riccardo si portò una gamba al petto e appoggiò il mento sul ginocchio. «Rispondi e basta».
«Be', non lo so» si grattò la testa. «Partendo dal fatto che io a letto con te non ci verrei... ma–» si bloccò per qualche secondo. «Che cazzo di domanda è, Riccardo? Non lo so».
Riccardo chiuse gli occhi per una quantità di tempo indefinita, incapace di formulare un solo pensiero che non avesse il nome di Alessandro dentro, poi la mano di Paulo sulla sua testa lo riscosse. «Cosa succede, Ricky?»
«Succede che sono innamorato...» biascicò. «E non voglio esserlo».
«È per questo che hai spento il telefono e me l'hai dato? Per non avere la tentazione...»
Annuì appena e si mosse per riprendere a guardare il cielo; ubriaco com'era, le stelle erano i nei e il blu che faceva loro da sfondo la pelle morbida di Alessandro – in quel modo, poteva sentirselo ancora addosso, respirare il suo profumo, che sapeva di baci, di caffè, di tutte le volte che Riccardo aveva desiderato sussurrargli ti amo all'orecchio, mentre si spingeva in lui quella sera.
«Ogni volta che respiro mi viene voglia di chiamarlo» borbottò, senza neanche accorgersi di star rivelando all'altro più di quanto intendesse.
Paulo era proprio l'amico di cui aveva bisogno, perché gli si fece più vicino e gli passò un braccio sulle spalle. «È così grave?» chiese.
«Essere innamorato? Assolutamente» e sospirò. «Sento che mi si è incollato su tutte le ossa e mica posso aprirmi in due per tirarlo fuori».
Paulo gli accarezzò la spalla e poi ridacchiò. «Stavo parlando del motivo per cui sei arrabbiato con...  lui, o lui con te. È così grave?»
Riccardo sentì gli occhi farsi lucidi, pizzicati dall'aria notturna e dal dolore che si risvegliava dall'intontimento dell'alcol, e si strinse le braccia al petto. «Non mi vuole. Siamo stati insieme, ma ero sempre io a fare il primo passo, a chiedergli di fare questo e di fare quello. E mi sarebbe anche andato bene, ma...»
Paulo aspettò che parlasse, ma Riccardo non sapeva cos'altro dire; Alessandro era stato chiaro nelle sue – poche – parole: Riccardo era stato un divertimento e nulla di più, quello che aveva visto nei suoi occhi non era altro che il riflesso del suo stesso sentimento, che non poteva bastare per entrambi, perché l'amore non è cumulabile come i punti del supermercato.
Alla fine, Paulo sospirò e disse: «Sono sicuro che risolverete, tu e...»
«Alessandro» sibilò, facendo cadere la testa su di lui. E sussurrò il suo nome aspro un altro paio di volte, cercando di fargli perdere di significato, come succede ad ogni parola ripetuta troppo a lungo – ma finì soltanto per singhiozzare contro la spalla di Paulo, che lo strinse più forte e non disse niente.

Afrodite | Mahmood e BlancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora