3.

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Ma sta' attenta
sta' attenta a non dirmi «avvicinati»
mi sembra che se la tua mano toccasse la mia
     cadrei morto sul pavimento.
Nâzim Hikmet

La chiamata di Michelangelo fu sbrigativa – venerdì vi voglio qui. Dobbiamo andare avanti con questa maledetta canzone –, prepararsi a rivedere Alessandro un po' meno. Non si sentivano da giorni, Alessandro aveva continuato a vivere con tranquillità anche senza di lui – come avevano confermato i suoi post sui social–, ma Riccardo?
Riccardo aveva il terrore che quello che provava si manifestasse attraverso i suoi occhi, che il dubbio insinuato da quel pensiero si mostrasse su tutto il suo viso, vedendo Alessandro. E – più di tutto – aveva paura che fosse vero.
Si era chiesto per ore intere cosa significasse per lui provare qualcosa per un'altra persona, aveva cercato di ricordare come si era sentito quando si era innamorato per la prima volta, ma tutto quello a cui riusciva a pensare era che con Alessandro fosse diverso. E si chiedeva cosa Alessandro significasse per lui: aveva creduto che fosse un buon amico – forse uno dei migliori che avesse mai avuto – ma lo pensava ancora? Adesso che si era accorto di quanto gli facesse male il petto ogni volta che ricordava di non poterlo avere sempre attorno? Adesso che se lo vedeva venire incontro, più bello del cielo e del mare e di un assolo di violino?
«Ciao» mormorò, abbassando appena gli occhi. Si erano dati appuntamento in un bar vicino allo studio di registrazione e adesso Riccardo non sapeva se alzarsi e salutarlo per bene o se rimanere seduto. Alessandro fece il lavoro al posto suo: si chinò su di lui e gli sfiorò la guancia con un bacio.
«Ciao» rispose; aveva di nuovo gli occhi dolci, quelli per cui una volta Riccardo l'avrebbe preso in giro, ma che adesso non facevano che confonderlo. Una settimana prima Alessandro lo cacciava dal suo letto, e ora? Ora gli sorrideva dall'altra parte del tavolino, come se non fosse mai successo nulla – come se non avesse percepito e ascoltato il caos che creava in Riccardo.
Il cameriere portò il cappuccino che Riccardo aveva ordinato e chiese ad Alessandro se gradisse qualcosa. «Sono a posto, grazie» disse, sorridendo gentilmente.
Riccardo si sistemò sulla sedia con nervosismo, iniziando a mescolare il cappuccino con troppa attenzione – il suo cuore era lì in bella mostra, sotto gli occhi teneri di Alessandro, che disse: «Ti sei ripreso dalla sbronza? Mi sembri ancora un po' verdastro».
«Scusa se ti ho chiamato. Sai che faccio sempre quello che non dovrei» borbottò. «Ma non è importante adesso...» tentò di cambiare argomento. «Hai scritto qualcosa?»
Alessandro arricciò brevemente il naso, poi tornò impassibile come sempre. «Qualche frase, sì, ma non funzionano tra di loro, perciò...»
«Scommetto che non è così, a Micky piacerà».
Alessandro prese a giocare con una bustina di zucchero senza distogliere gli occhi da Riccardo, e disse: «Vorrei che piacesse a te».
Silenzio – nella testa di Riccardo si fermò tutto, il cuore gli salì in gola, le mani pressate sulle cosce tremarono per un secondo. «Mi piacerà» soffiò, il respiro lento, la fronte bollente per il caldo e per l'agitazione. Guardò Alessandro dritto negli occhi e non seppe leggerci niente, eppure erano aperti e aspettavano lui – lo sentiva.
Prese un sorso di cappuccino nel tentativo di calmarsi, ma Alessandro non smetteva di fissarlo, e sorrideva appena, gli angoli della bocca sollevati all'insù, a prendersi gioco di lui. «E tu?»
«E io cosa?» non ricordava neanche di cosa stessero parlando, vedeva solo Alessandro, Alessandro, Alessandro.
«Tu cos'hai scritto?»
«Oh...» mormorò. «Principalmente delle schifezze». Aveva scritto pagine intere di con i tuoi occhi da vipera e tu sei il contrario di un angelo, e nulla di più – la penna si era fossilizzata lì, non scriveva altro che quelle parole. Ma come poteva mostrarle ad Alessandro?
«E allora che hai fatto questa settimana, a parte ubriacarti di martedì?» gli chiese Alessandro, una punta di divertimento nella voce.
«Innanzitutto non c'è bisogno che dici martedì in quel modo, stronzetto che non sei altro!» disse, alzando un sopracciglio con fare piccato. «E poi cosa vuoi che abbia fatto? Il mio lavoro è scrivere e non sono neanche più capace di fare quello. Dovresti stupirti che non fossi ubriaco tutte le sere, invece che solo martedì».
Alessandro cercò di trattenere un risolino, ma davanti alla faccia sconvolta di Riccardo scoppiò a ridere. «Scusa, scusa» disse, toccandosi il petto. «Non vorrei ridere, te lo giuro».
Riccardo gli fece una boccaccia e alzò una mano per chiedere il conto; il cameriere arrivò con un sorriso imbarazzato in viso e lo scontrino in mano, lo posò sul tavolo, guardando Riccardo, e mormorò: «Offre la casa». Mentre questo si allontanava, Riccardo guardò Alessandro, che aveva smesso di ridere e stava fissando lo scontrino con la mandibola contratta; sorrise soddisfatto, mentre si alzava dalla sedia e si infilava in tasca lo scontrino, il numero del ragazzo scritto a penna sopra il totale. Uscendo dal locale, Alessandro non ricambiò il saluto del cameriere.

Afrodite | Mahmood e BlancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora